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ADRIAN WEISS Criminal record autoprod. 2016 GER

Terzo lavoro interamente strumentale per il tedesco Adrian Weiss, che prosegue l’attività solista in parallelo a quella con la power metal band Gloryful. Se all’inizio il chitarrista pubblicava a proprio nome brani eterogenei composti nell’arco di diversi anni, pian piano – per forza di cose – ha delineato sempre più il proprio stile e ad oggi sembra aver intrapreso in tutto e per tutto lo strada dello shredder. Il lavoro di un paio d’anni fa aveva destato più di una sensazione positiva, anche in ottica della collaborazione con i numerosi ospiti che in molti casi risultavano interessanti. Adesso, perfettamente in linea con la grafica che va a connotare la pubblicazione, quanto proposto è metal strumentale abbastanza duro, asciutto e senza molti fronzoli, tranne alcune ovvie accelerazioni sulle sei corde. Non che i brani siano brutti, in certi casi continua a imporsi la buona lena già sentita in passato, ma spesso sembra che ci sia più fumo che arrosto. Questo perché gli assoli veri e propri durano in realtà molto poco, se rapportati ai riff che compongono i brani. Certo, c’è da menzionare sicuramente “The Dorian Way”, nata dalla ricerca in campo jazz e fusion, che poi ha portato non si sa bene come ad una ballad che si lascia ascoltare benissimo. Anche l’inizio non era stato male, con “Bird Hair Day”, ricordando una specie di Joe Satriani molto più duro e per nulla mediterraneo, un po’ sullo stile del suo primo “Not of this Earth” (ma qui, ad onor del vero, Weiss fa meglio rispetto a quell’esordio che nel suo complesso non risultava molto ispirato). Di positivo c’è sicuramente che il musicista tedesco ha confermato la sezione ritmica, creando così un forte senso di affiatamento. A tal proposito, risulta davvero buona la prova offerta dal bassista Marcel Willnat, anche autore della struttura portante di alcuni brani, dove poi Weiss ed altri ospiti contribuiscono con i loro assoli. Un basso molto presente in “Beguiled (The Fanboy), “Bassment Laughter”, “Anticipatory Obedience” – che fa parte della trilogia dei pezzi ispirati all’Egitto, partita nel primo album e poi andata avanti nel corso delle pubblicazioni – e in “Everything’s Gonna Be Alright”, con una ritmica spezzata in stile quasi funky; in quest’ultima, dopo l’ospite Michael Dietz si destreggia alla chitarra anche Niels “Spoony Loeffler”, bassista degli Orden Organ, che qui mostra una gran bravura anche come axe-man, impegnando e tirando fuori il meglio del batterista Lars Zehner. Altro pezzo interessante è “Three Wishes”, con una ritmica dura di chiara origine blues, abbastanza trascinante, in cui fanno la loro comparsa il chitarrista Stephan Weber degli Axxis ed il tastierista Jimmy Pitts, il cui assolo (stile metal di fine anni ’80) non sempre risulta molto calzante.
Rimangono da citare “Completely Cut Loose”, composta con l’amica Jen Majura che dal 2015 suona con gli Evanescence, grazie alla quale Adrian ha creato quel brano durissimo di cui secondo lui necessitava l’album; poi ci sarebbe anche la conclusiva title-track, descritta dall’autore come il vero cuore dell’album, formata da tanti assoli improvvisati, che in effetti mette definitivamente in mostra l’estro del chitarrista preso in esame.
Un album per shredder, per l’appunto. Prendere o lasciare. E come sempre, con il prog non c’entra nulla.



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Michele Merenda

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