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ZIOR Zior Nephenta 1971 (AKarma Records 2004) UK

Gruppo noto per avere rapidamente assaggiato l'effimero piacere della popolarità in madre patria grazie ad una copertina concepita da Keef, noto per aver realizzato il celebre artwork del primo album dei Black Sabbath, gli Zior sono una delle grandi bands underground della prima memorabile stagione hard progressive inglese, un nome minore del rock anni settanta che ha composto brani davvero memorabili legati ad un immaginario oscuro ed esoterico allora in voga. Comunque l'interesse del loro primo disco omonimo, uscito sotto la piccola label Nephenta, non si limita alla spettrale copertina ma è alimentato da una serie di canzoni, dirette e coinvolgenti, profondamente immerse in quelle atmosfere intrise di magia e spiritualità che hanno distinto gli anni a cavallo fra i 60's ed i 70's. Le canzoni in "Zior", scritte principalmente dalla coppia Peter Brewer (batteria, percussioni, pianoforte) e Keith Bonsor (voce, organo, flauto... e membro fondatore dei Monument), uniscono alla tipica componente heavy rock un gusto compositivo ambiguo dal sapore pagano-esoterico estremamente personale. Il brutale ed incalzante boogie sabbathiano dell'iniziale "I Really Do" apre la strada per epici anthems sull'amore selvaggio come "Love's Desire" e "Give Me Love", blues rock lunatici come in "Now I'm Sad" (ad un passo dai Deep Purple...), altrove gli Zior svelano un'interessante identità sinfonico progressiva nella visionaria ballata "New Lands", fra Procol Harum e Jethro Tull, oppure paradossalmente si lasciano andare nella dolcezza folk alla CSN&Y di "I Was Fooling". La chiusura del lato A in particolare ci riserva due pezzi forti dell'album, "Quabala", una macabra danza tribale impregnata di psichedelia malsana e la malignità sulfurea di "Oh Maraya". Le ottime e teatrali parti vocali, portate sovènte all'eccesso, rappresentano uno dei punti di forza dell'album, come nella già citata "Oh Maraya" o nell'ipnotica "Before My Eyes Go Blind", mentre l'unico piccolo difetto in "Zior" è quella lieve mancanza di organicità fra i brani, non tanto qualitativa quanto stilistica, che impedisce a questo disco di essere considerato un capolavoro... D'altronde stiamo ancora parlando di un (brillante) disco d'esordio, gli Zior sapranno perfezionarsi bene nel successivo "Every Inch A Man"... Per scomparire nel nulla in breve tempo.

 

Giovanni Carta

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