Home
 
ZETTAIMU Miroque Poseidon/Musea 2007 JAP

Pianoforte sinfonico e sinistro, vento, vocalizzi femminili… “Red Moon”, breve prologo strumentale, ci fa capire che sta per iniziare una sorta di viaggio verso la malinconia e l’elegia. E infatti ecco “I don’t need anything else” che conferma un po’ la cosa, con le sue venature dark, tra ritmi che trasmettono inquietudine, melodie vocali particolari ed una chitarra nervosa, ma mai aggressiva. La musica proposta da questa band giapponese è un concentrato di stili diversi, accomunati da una base velata di tristezza ed oscura, non eccessiva, ma comunque evidente. La costruzione un po’ imprevedibile e un po’ stravagante delle loro composizioni denota una certa personalità e dà una spinta verso le “non forme” del progressive rock. Ma oltre a questo c’è molto altro… Dimenticate i Black Widow: gli Zettaimu, nella loro cupezza, possono ricordare più i primi Cure e il dark britannico degli anni ’80 (ascoltate “Anyone is loved by someone”, con quei ritmi quasi funerei e un incedere drammatico scandito soprattutto dalla sentita interpretazione della cantante Kanako). La mente principale della band risponde al nome di Hisashi Furue che suona un po’ di tutto, ma si erge a protagonista principale come compositore e quando una chitarra che alterna Fripp e post-rock va in primo piano. Furue mette nella musica anche tanta tradizione giapponese, che viene fuori senza puntare su timbriche folk, quanto, piuttosto con il cantato in madrelingua, con una verve intrigante ed una musicalità un po’ stramba, come si evince, in particolare, in “Time like an arrow” e “Sharan” (quest’ultima molto suggestiva nel suo sofferto crescendo). Se ci soffermiamo un attimo sulle parti vocali, possiamo dire che se solitamente dal Sol Levante queste rappresentano spesso una nota dolente, in questo caso possono essere viste come punto di forza. Kanako ha una bella voce, espressiva e decisa, una sorta di Kate Bush con meno classe, ma le cui qualità e la cui passione emergono bene. Il dark-rock-psichedelico (brutte certe etichette, ma a volte fanno capire un po’ meglio a cosa si va incontro) di “Jennifer” ne è un esempio e qui Kanako duetta anche in inglese con Furue, che, pur non dotatissimo, ha comunque un timbro caldo e piacevole. “Icarus” mostra una certa parentela con i King Crimson degli eighties, mentre “Time perplexes time oneself” è un’altra traccia in cui gli Zettaimu provano a miscelare le loro influenze facendole convergere in uno stile abbastanza personale e precede l’epilogo di “Red Moon”, composizione elaborata, ennesima stranezza, in una chiave vagamente jazz, che si prolunga con parti strumentali gotiche affascinanti nella loro malinconia ed un finale che riprende il prologo iniziale. Che dire a conclusione di questi 49 minuti musicali? Il disco in sé e per sé non è malaccio, anzi… Ma in un’ottica strettamente progressive non so per quanti lettori di Arlequins potrebbe essere appetibile.

 

Peppe di Spirito

Collegamenti ad altre recensioni

ZETTAIMU What can I do 2003 

Italian
English