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BODDY, IAN Giovanni Carta
 

Ian Boddy è uno dei più importanti esponenti della musica elettronica in Inghilterra, nell'arco di oltre vent'anni ha pubblicato una serie di album innovativi ed ha partecipato, come protagonista, in diverse importanti performance musicali dal vivo nel corso degli anni. Verso la fine degli anni novanta ha fondato la sua etichetta discografica personale, la DiN Records, attraverso la quale continua a produrre la propria musica ed anche le opere di altri artisti coinvolti nel panorama della musica elettronica. Uno dei lavori più recenti di Boddy è "Lithosphere", seconda affascinante collaborazione con il maestro dell'ambient music, Robert Rich. Abbiamo colto l'occasione per scrivere qualche domanda a Ian Boddy, persona estremamente gentile e disponibile, questo è il risultato, buona lettura!

Hai incominciato la tua attività come musicista nei primi anni ottanta, "The Climb", il tuo primo disco, è uscito nel 1983, un periodo in cui la diffusione della musica elettronica, filtrata spesso con elementi pop, aveva raggiunto un numero di appassionati forse impensabile dieci anni prima. Sicuramente per te devono essere stati anni molto eccitanti... puoi raccontarci come sono stati quei primi anni?

In effetti la mia prima uscita ufficiale fu "Images" in Inghilterra per l'etichetta di sole musicassette Mirage nel 1980. Studiavo biochimica all'Università di Newcastle-upon-Tyne dal 1978 al 1980 è in quel periodo ero davvero preso dagli album di Tangerne Dream & Klaus Shulze. Un amico mi disse di uno studio d'arte a Newcastle chiamato Spectro che aveva studi per pittura su schermo, fotografia e cose del genere, visitai i loro studi musicali e rimasi meravigliato dal confronto con i sintetizzatori VCS3/AKS e i registratori su nastro Revox. Mi mostrarono come usarli ed in poche settimane ero in grado di ricreare alcuni dei meravigliosi suoni che si potevano ascoltare negli album "Phaedra" e "Timewind" - ne ero stato rapito. Non ho avuto una vera e propria formazione musicale, così i primi tempi concentrai sulla sperimentazione dei puri suoni dei VCS3 e sull'uso di sistemi di loop e delay con i nastri, con vari registratori da bobina a bobina. Questo mi ha portato a fare qualche concerto sperimentale alla Spectro e poi nel 1980 la pubblicazione di "Images", seguita dalla pubblicazione di un paio di altre cassette, "Elements of Chance" e "Options".

Stavo dedicandomi a imparare varie tecniche di sintesi e composizione e questo mi portò alla realizzazione della mia prima importante pubblicazione su vinile nel 1983, "The Climb" come hai ricordato nella tua domanda. Questo fu un grosso passo avanti per me, non solo in termini di esposizione ma anche della complessità del suono che ero in grado di creare. Adesso registravo su un 8 piste a bobina e usavo un sistema analogico modulare Roland System 100-M più vari altri tipi di tastiere, sia usando un sequenziatore e persino con un vecchio campionatore Fairlight su un paio di tracce.

Nell'arco di vent'anni hai pubblicato un buon numero di album ed hai potuto osservare da vicino e sperimentare di persona l'evolversi delle tecnologie e la costante introduzione dell'informatica all'interno della composizione musicale: pensi che l'attuale utilizzo dell'informatica, all'interno del processo creativo ed artistico nella realizzazione di un disco, possa aver determinato in maniera radicale un approccio diverso verso la composizione rispetto al passato?

Sì credo che l'uso del computer abbia davvero cambiato il modo di creare la musica, sia nel bene che nel male - ma non è sempre così con le nuove tecnologie. In primo luogo esse ti danno la totale riproducibilità delle performance fino al dettaglio più minuto. Certamente questo può essere desiderabile a volte ma quello che amo ancora del vecchio armamentario analogico è il fatto che faccio uso della loro instabilità intrinseca, tu puoi persino produrre un suono o una patch e non otterrai mai esattamente lo stesso risultato. Questo ti permette di creare veramente una performance fresca e vitale che devi catturare in quel luogo e in quel momento. Amo questo approccio e credo che ci sia un'intera generazione di musicisti che usa i computer che perde tutto questo - la cosa più vicina che abbia mai visto che riproduce questo approccio è il software Ableton Live. Spero davvero che i software si evolveranno in maniera tale da lasciare più spazio alla spontaneità.

Relazionato a ciò è l'interfaccia di lavoro con il computer. Malgrado i progressi nei software di sintesi, non vedo un software capace di ricreare qualcosa che somigli al Minimoog. Sono ancora convinto che la versione virtuale dei suoni non sia così buona e per me è una gioia tale sedermi al Minimoog e suonarlo - ingarbugliare e manipolare il suono e suonare per ore e ore - nessun mouse, nessuna grafica minuziosa e nessuna revisione di software di cui preoccuparsi. Per me il software è molto più interessante quando ti porta dove non sei mai stato da un punto di vista sonoro - cose come Absynth, Reaktor e Metasynth.

Attraverso la tua label personale, la DiN, stai esplorando le più diverse ramificazioni della musica elettronica, dall'ambient minimale alla techno più sofisticata: in genere interpreti l'elettronica come un genere musicale specifico, legato a delle regole precise, oppure intendi la musica elettronica come un semplice punto di partenza per esplorare la musica in ogni sua forma artistica?

Credo che la seconda metà della tua domanda sia più vicina alla verità. Innanzi tutto io non impongo mai regole in nessuno dei miei lavori. Posso imporre alcuni confini artificiali per aiutarmi a concentrarci su una certa idea ma non è la stessa cosa che imporre regole. Per me una delle tematiche più forti che ho, pensando alla mia musica, è l'amore per il suono puro; usare trame musicali astratte come parte del processo compositivo. Mi piace anche esplorare i confini delle aspettative delle persone per vari generi o stili di musica. Così con la DiN ho spesso messo insieme vari sottogeneri di musica elettronica per vedere cosa accade se, ad esempio, tu combini il feeling della scuola di Berlino per le sequenze analogiche con i loop di batteria in stile IDM. Immagino tuttavia che questo mi porti a non imporre delle regole su come io debba lavorare - per me si deve afferrare qualsiasi cosa - ogni combinazione di suoni può essere utilizzata ed esplorata per vedere come questi funzionano musicalmente.

Molte tue composizioni sembrano avvicinarsi a delle sensazioni psichedeliche e cosmiche che lasciano intuire una tua particolare visione dell'esistenza... Puoi parlarci delle tue fonti d'ispirazione?

La mia ispirazione viene da qualsiasi cosa io abbia mai fatto o sentito. E' difficile analizzare ed indicare in qualche maniera avvenga, non ci provo perché se fossi in grado di quantificarlo ridurrei probabilmente tutto il suo mistero. Questo non è per dire che abbia particolari sentimenti spirituali e religiosi riguardo ma mi muovo in base all'istinto verso ciò che penso suoni giusto. Bisogna comunque dire che spesso mi sento in soggezione di fronte alla scala dell'universo e all'apparente insignificanza dell'uomo in confronto e spesso cerco di catturare questo sentimento nella mia musica. Ascolta qualcosa come la title-track di "Aurora" e capirai cosa voglio dire. In questo caso ero interessato a creare il feeling di un pezzo musicale che durasse per sempre e che abbiamo intersecato per un attimo prima che ci dirigessimo verso due strade separate. Di nuovo con la mia ultima collaborazione con Robert Rich su "Lithosphere" stavamo esplorando i nostri pensieri e sentimenti circa il centro della terra un luogo a noi quasi del tutto nascosto. Questa è musica che può essere sia che il genere umano esista che non esista.

Altre volte ho una visione più astratta della musica in quanto cerco di vedere come combinare diversi elementi sonori provenienti da diversi stili per creare un nuovo insieme. Questo viene fatto ad un livello più analitico e la musica non evoca necessariamente immagini o sensazioni specifiche. Spesso tendo semplicemente a quello che per me sembra suonare in una maniera che mi piace qualunque sia la ragione.

Quali sono stati i dischi e gli artisti che più di ogni altro ti hanno condotto verso la strada della composizione? Fra la fine degli anni 60 ed i primi anni ottanta, l'Inghilterra ha vissuto una grande serie di mutamenti musicali e di costume, la tua musica ha risentito della vastità di una scena musicale così ricca ed eterogenea?

E' sempre difficile conoscere in maniera specifica quanto una particolare esperienza artistica ti abbia influenzato. Di sicuro non ho mai tentato di imitare consciamente lo stile di un altro musicista. Certamente negli anni '70 quando andavo a scuola mi imbattei nel Prog Rock con band come Camel, Focus ed EL&P ed anche in Heavy Metal bands come i Black Sabbath e Led Zeppelin. Poi nel 1977/8 scoprii "Phaedra" e "Rubycon" e mi innamorai delle loro atmosfere ultraterrene. Mi piaceva anche la musica degli Ashra, Vangelis, Jarre e Kraftwerk così puoi vedere dove nascono le radici della mia musica. Si tratta ovviamente di un campo vasto e diverso ma mi piacciono particolarmente anche J.S.Bach, Debussy, Ravel, Vaughan-Williams e molti altri pezzi di vari compositori. Credo che queste influenze emergano dalle mie composizioni più grandiose ed orchestrate. Oggigiorno tendo ad ascoltare la musica più come un sottofondo. Ci sono molti artisti ambient che mi piacciono anche se la loro musica è spesso piuttosto intercambiabile. Più di recente sono rimasto impressionato dal gruppo islandese Sigur Ros perché penso che catturino nella loro musica emozioni e passioni fantastiche.

Scrivere musica è per te una fonte di piacere sensoriale, un mezzo per viaggiare con la mente, oppure anche un modo per comunicare dei messaggi precisi all'ascoltatore?

Principalmente compongo la musica per me stesso. Nasce spesso dalla domanda "cosa succede se faccio così e poi lo combino con questo?" Sento davvero il bisogno di provare e vedere: a volte funziona, altre volte no. Ma è questa costante esplorazione del mondo dei suoni e della musica che mi spinge a continuare. Ho lavorato anche con molti altri artisti con l'etichetta DiN che mi hanno portato in territori sonori nuovi e freschi. Lascio spesso il compito di interpretare la musica all'ascoltatore. Ho imparato tempo fa che per quanto specifico sia il feeling che si genera in me come compositore non mi posso aspettare necessariamente che l'ascoltatore condivida con me lo stesso sentimento. Ma, ancora, questa natura effimera della musica come forma artistica è uno dei suoi più grandi punti di forza ed ha un fascino senza fine.

"Lithosphere" è la tua seconda collaborazione con Robert Rich, guru della musica ambientale. Rispetto al vostro primo lavoro, "Lithosphere" è forse un disco leggermente più terreno ed ancestrale... Com'è nata la vostra collaborazione?

Conobbi Robert nel 1999 o 2000, mi sembra, quando ci incontrammo ad una delle esposizioni NAMM (National Association of Music Merchants) a Los Angeles. Ognuno conosceva la musica dell'altro ma non ci avevamo veramente dedicato molto tempo. Successe semplicemente che ci trovammo a passare dei bei momenti a chiacchierare di musica. Siamo molto diversi l'uno dall'altro, fatto questo positivo, dato che abbiamo differenti approcci alle cose ma sembra che ci combiniamo bene quando lavoriamo insieme. Non è qualcosa che tu possa quantificare - talvolta riesci a lavorare bene con un altro musicista, altre volte no. Ad ogni modo ci trovammo d'accordo sul fare un album assieme, e fu così che "Outpost" venne realizzato, nel 2002. Questo aveva un forte feeling da film di fantascienza anni '50, così quando arrivammo a lavorare su "Lithosphere" decidemmo di provare a lavorare in un differente universo sonoro. Io mi stavo anche impegnando ad esplorare le diverse accordature per cui Robert è ben noto, dato che per me era un nuovo territorio. Così come facemmo per "Outpost", ci riunimmo fisicamente nel suo studio per lavorare all'album. Preferiamo sicuramente questo approccio dato che lavorare in modo virtuale non è mai altrettanto valido, visto che essere presenti nella stessa stanza porta alla nascita di ogni sorta di idee e sentieri musicali cui altrimenti non saresti mai arrivato. Fu molto divertente, il primo giorno di lavoro non avevamo alcuna idea su come sarebbe stato l'album ma appena 10 giorni dopo "Lithosphere" era arrivato - beh quasi, a dire il vero: dopo che me ne andai Robert aggiunse qualche overdub e mixò l'album, ma è molto gratificante lavorare insieme liberamente su un progetto come questo ed ottenere quello che riteniamo un album molto importante.

Durante gli anni ottanta hai partecipato ai primi festival di musica elettronica tenuti in Inghilterra e sei stato protagonista di molte esibizioni particolari, come le sette ore improvvisate in una galleria d'arte... Puoi raccontarci qualcosa sulle tue esibizioni? Attualmente stai organizzando qualche nuovo spettacolo dal vivo?

Mi è sempre piaciuto suonare dal vivo anche se i primi tempi mi succedeva di essere sempre terribilmente nervoso. Adesso ho suonato in più di 100 concerti cosicché è molto più semplice. Non ci sono tuttavia molte opportunità di concerti per il genere che io suono così di questi tempi faccio forse 4 o 5 concerti all'anno. Negli anni '80 e '90 passavo molto tempo cercando di riprodurre i miei album esattamente com'erano su CD ma ultimamente trovo questo molto tedioso e non molto divertente alla lunga. Così, dopo "Continuum", che per me fu l'album della svolta ed in un certo senso un precursore di ciò che ho poi fatto con DiN, tendo adesso a suonare più in modo semi-improvvisato. Certamente pre-arrangio varie sequenze, loops, suoni e trame, ma combino assieme questi elementi dal vivo in maniera organica e fluida. In questo modo la performance non è mai due volte la stessa e posso provare differenti idee a seconda dalla sala dove sto suonando, dal pubblico o di come mi sento. Spesso mi piace provare delle composizioni dal vivo, prima di farle finire su CD, in questo modo do vita al pezzo e provo differenti arrangiamenti, prima di consolidarlo su un album.

Mi piacerebbe avere una tua opinione sui più recenti formati audio, l'attenzione generale ormai sembra sempre più rivolta verso il dettaglio tecnologico, la musica invece sembra essere diventata un semplice sfondo delle nostre attività quotidiane in un mondo che si evolve in maniera sempre più frenetica ed imprevedibile...

Come ho detto nella mia precedente risposta sui computer nella musica, gli mp3 sono una nuova tecnologia ed hanno il lato positivo e quello negativo. Quella cattiva è che il suono non è altrettanto buono dei file non compressi ma tutto sommato quante persone siedono veramente di fronte ad un buon impianto hi-fi di questi tempi, ascoltando veramente la musica, ed intendo ascoltare davvero? Esso ha anche democratizzato il mondo della musica facendo sì che chiunque con qualche synth virtuale possa creare una traccia e metterla in internet come mp3. Ovviamente facilitare la gente a creare musica è una cosa positiva, tuttavia il rovescio della medaglia è che c'è tantissimo materiale in giro. Intendo dire che ci sono letteralmente milioni di tracce fluttuanti su internet - come si può realmente ascoltare tutto ciò o anche cominciare a decidere cos'è buono e cosa no? Ma il genio è ormai scappato dalla bottiglia e non c'è modo di farlo rientrare. Così per molta gente ormai credo che la musica rappresenti solo un wallpaper sonoro per le loro vite molto molto occupate, da consumare come ogni altro prodotto in quantità industriali, dove la quantità conta più della qualità.

Naturalmente ci sono però ancora ascoltatori consapevoli che cercano la musica che si staglia al di sopra della massa e vogliono sempre di più di questa musica. Spero che i lettori della vostra pubblicazione siano in questa categoria. Per loro c'è ancora un interessante mondo da esplorare, fatto di musica che induce al pensiero e alla conoscenza.

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