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HLADIK, RADIM (BLUE EFFECT/MODRY EFEKT) Jessica Attene
 

Radim Hladik non avrebbe bisogno di presentazioni: chitarrista dello storico gruppo dei Blue Effect (conosciuto anche come Modry Efekt), è stato una figura chiave del rock dell'Europa dell'Est. Chitarrista tecnico e fantasioso, è stato un modello per molti devoti a questo strumento. La sua carriera lunghissima è costellata da collaborazioni illustri, da Marian Varga a Pavol Hammel ed esponenti anche della importante scena jazz cecoslovacca. Tale prestigio è controbilanciato da modestia e semplicità, tanto che Radim si è prestato a rispondere alle nostre domande, superando anche le difficoltà linguistiche, facendosi aiutare da un giovane membro dei suoi riformati Blue Effect nella traduzione, ovvero il bassista Wojttech Riha. Con grande piacere e grande onore raccogliamo questa bella testimonianza che attraversa le varie fasi della carriera del gruppo, consigliandovi di leggere anche la retrospettiva a questo dedicata per una più piacevole fruizione.

Prima di tutto, come preferisci chiamare la tua storica band? Blue Effect, Modry Efekt? M. Efekt? Io preferisco Modry Efekt ma mi piacerebbe usare il nome che usi tu

Senza alcun dubbio Blue Effect. Gli altri nomi erano stati soltanto un ripiego causato dalle pressioni dei comunisti e dalla loro "politica culturale". Il nome originario (Blue Effect) si riferiva al possesso del "libretto blu" (termine questo utilizzato in per il certificato di non idoneità al servizio di leva).

I Blue Effect nascono in un'epoca difficile dal punto di vista politico, praticamente alla fine della cosiddetta "Primavera di Praga" che segna la fine di un periodo aperto e liberale e l'inizio di una fase di controllo e censura. Come avete vissuto quegli anni di cambiamento? Avete avuto mai problemi di censura e in che modo siete riusciti ad esprimere la vostra creatività e le vostre idee nonostante la repressione?

Il primi tempi erano molto liberi e la pressione dei comunisti nel mondo della cultura era molto bassa. Forse i comunisti non volevano atterrirci immediatamente all'inizio del loro regime che si stava espandendo. Volevano che ci adattassimo al regime. Nel Settembre del 1968 ero solo un membro del gruppo Matadors che era tornato in Repubblica Ceca (allora Cecoslovacchia nda) da un ingaggio in Germania (dove avevamo portato in scena il musical "Hair"). Altri membri della band emigrarono. All'inizio c'erano problemi solo con i testi delle canzoni: era arrivata la censura. Successivamente i comunisti iniziarono a porre delle limitazioni per i concerti dal vivo. Tutti i musicisti ogni anno dovevano superare un esame e le commissioni analizzavano le loro qualità musicali e le loro idee politiche. La censura non era il problema più grande. Ero obbligato a suonare prevalentemente musica strumentale al confine fra art rock e jazz. I testi erano molto vicini alla poesia. Ci eravamo creati un mondo nostro. Era grande e la maggior parte del pubblico ci capiva.

Il vostro primo album, "Meditace" segue la moda del "big beat" e sembra aver avuto un discreto successo. Ma avete praticamente stupito il vostro pubblico con la pubblicazione di un album difficile e stilisticamente agli antipodi rispetto al debutto come "Coniunctio". Come è nata l'idea di prendere questa scelta coraggiosa?

C'erano punti della Repubblica dove non era possibile suonare il Big Beat. Le possibilità per i musicisti si stavano restringendo. Quando ci giunse da Jiří Stivín la proposta di unire il nostro Big Beat col Free Jazz non ci abbiamo pensato su due volte. L'intero album è improvvisato: niente prove, nessun playback. Era come muoversi al buio in completa libertà. Fin da allora ho sempre cercato prima di tutto la libertà nella musica. Ho iniziato con la musica classica e questo è anche il motivo dei miei frequenti spostamenti fra i vari stili musicali. La collaborazione con questi artisti è stata molto buona e di grande intrattenimento. Si erano costruiti da sé alcuni strumenti musicali come l'onanium e il masturbon e suonavamo i piatti con le raspe. Bei tempi.

Perché è finita la collaborazione con Vladimír Mišík?

E' un grande paradosso. Vladimír Mišík si rifiutava di cantare in lingua ceca. Lasciò il gruppo nel 1969 e a quel tempo non c'era ancora la pressione del regime comunista. Pensavo, e tutt'ora ne sono convinto, che in Repubblica Ceca si debba cantare, nella maggior parte dei casi, in lingua ceca. Così abbiamo preso un altro cantante, Lešek Semelka, che cantava in ceco. Per sei mesi sono rimasti nel gruppo sia Vladimír che Lešek ma… si venne a creare una sorta di rivalità fra i due… e Vladimír lasciò il gruppo. Attualmente alla base delle produzioni di Vladimír ci sono degli ottimi testi in lingua ceca. Abbiamo suonato assieme molto spesso negli ultimi anni.

L'album "Nová syntéza" vede un nuovo cambiamento di stile: il titolo lascia intuire la volontà di fondere due generi diversi grazie al supporto dell'orchestra jazz di Kamil Hála. Credi che l'esperimento sia riuscito e perché?

Io credo che questa connessione avveniva soprattutto attraverso gli arrangiamenti. Noi suonavamo alla nostra solita maniera e la Big Band utilizzava le nostre idee, che solitamente suonavamo nei nostri spettacoli. Ma il sound era completamente diverso. Mi ha molto colpito ascoltare le nostre composizioni con un sound così potente. Con questa collaborazione ci siamo tolti per qualche tempo dalla corrente principale del Big Beat e questo ci ha aiutato per un po': il Jazz non era proibito. E il successo? Nel 2000 la Universal francese ha acquistato dei samples di "Nova Synteza" per la band ONE T che ha ottenuto un grosso successo ed il loro CD è distribuito in tutto il mondo.

Con "Nová syntéza 2" hai voluto rinnovare la collaborazione con Hála ma il risultato è stato diverso: la vostra musica diviene più sinfonica, le orchestrazioni jazz meno aggressive, e i brani sono cantati. Perché questa scelta? Quale dei due album consideri meglio riuscito e perchè?

Mancava il cantato: non volevo fare più solo musica strumentale. Ho rafforzato le parti vocali e per questo il secondo album è migliore per me. Ma conosco persone che la pensano diversamente.

Perché hai deciso di pubblicare nello stesso anno, a breve uscita da "Nová syntéza 2", un secondo LP, questa volta strumentale e abbastanza diverso dal precedente, che comprende tra l'altro una versione alternativa della canzone "Je třeba obout boty a pak dlouho jít"?

Questo album non doveva essere pubblicato in Cecoslovacchia. Venne fatto su commissione e solo per l'esportazione. Mi fu promesso che se avessi realizzato quest'album mi sarebbe stato permesso di inciderlo con i Blue Effect ma con il cantato: un album con canzoni che suonavamo nei nostri concerti. Sfortunatamente l'etichetta non rispettò il nostro desiderio.
Abbiamo sempre voluto che la nostra musica fosse libera e di conseguenza le nostre composizioni si trasformavano col tempo. Questa è l'unica ragione per cui è stata fatta un'altra versione di quella canzone.

Non credo di sbagliarmi nell'affermare che sei il più grande chitarrista rock dell'Europa dell'Est. Dove hai imparato la tua tecnica chitarristica? Quali sono i modelli che hanno avuto importanza nella tua formazione? Credi di aver portato delle novità nel modo di suonare la chitarra nel tuo Paese?

Alla prima frase non posso certo rispondere io. Ho studiato per due anni chitarra classica al conservatorio di Praga e riguardo i miei modelli sono gli stessi di quelli della mia generazione: Hendrix, Clapton, Jeff Beck e molti altri.

Una delle tue collaborazioni più belle è stata quella con Marián Varga e Pavol Hammel, cosa ci puoi dire di questi due artisti? E' vero quello che si dice sul carattere difficile di Marián?

Quasi tutte le indiscrezioni riguardo il cattivo carattere e alla depressione di Marián sono vere. Le collaborazioni con Pavol Hammel continuano ancora: abbiamo appena realizzato un nuovo album acustico dal vivo, solo io e lui.

In che modo si è modificata la vostra musica dopo l'ingresso di Oldřich Veselý?

Veselý ha portato nuovi suoni, l'organo Hammond ed il Leslie. Ha molto influito sul sound della band. Ha anche portato un altro tipo di interpretazione vocale. Ma il cambiamento più grande nella nostra musica lo ha portato Frešo ed il cambiamento è stato tale che non riconoscevamo più la nostra musica. Era così veloce nel fare gli arrangiamenti che con il tempo ci siamo resi conto che ci siamo ritrovati a suonare anche cose che non volevamo suonare.

Dopo l'abbandono di Frešo siete rimasti senza bassista e a questo punto la scelta è stata quella di suonare senza basso e con due tastiere. Ancora una volta siete riusciti a mettervi in evidenza per le vostre scelte stravaganti. Perché avete preso questa decisione? Pensi che la cosa abbia giovato al vostro sound?

Due tastiere lavorano molto bene ma era ancora più importante avere due cantanti solisti. Questo ci ha offerto la possibilità di introdurre dei dialoghi nelle liriche, di diversificare le frasi dal momento che tutte e due le voci si equivalevano. L'album ha segnato anche un ricambio nell'uso dei sintetizzatori. L'ultimo motivo era puramente economico. Un altro musicista (il bassista) avrebbe significato un'altra auto e non avevamo abbastanza denaro: portarci dietro il Moog costava meno.

La cosa che più mi stupisce dei Blue Effect è il fatto che ogni vostro album è diverso dall'altro e nonostante questo tutti i vostri album sono belli e di alto livello. C'è comunque un disco a cui tieni particolarmente e perché?

Grazie mille per questo apprezzamento. Forse è la mia dannazione quella di non essere in grado di lasciar correre e questo anche riguardo altri campi, folk, film, world music ecc. Non sono in grado di ascoltare i miei CD ed i miei LP perché mi infastidiscono gli errori che ci sento. Spero di fare il miglior album nel futuro. La mia band attuale ha delle ottime possibilità.

Il vostro ultimo album è del 1981, che attività hai svolto dopo quella data? Perché con i tuoi nuovi Blue Effect non hai mai pubblicato niente?

Dopo il 1981 abbiamo avuto molti problemi. Avevamo solo due possibilità: collaborare con i comunisti o la corruzione. Non potevo fare nessuna delle due cose. Ora invece sono nella posizione di poter fare ciò che veramente voglio. I membri della mia attuale band hanno dai 25 ai 33 anni. Suoniamo bene assieme e facciamo canzoni che vanno dal 1968 al 1982. Suoniamo tutti i pezzi con suoni ed arrangiamenti attuali; abbiamo appena realizzato un DVD che parte dai Matadors e attraversa tutte le formazioni dei Blue Effect fino al presente. Stiamo anche per registrare un DVD unplugged e poi ci dedicheremo al nostro album migliore, quello nuovo.

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