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THIEVES' KITCHEN Jessica Attene & Alberto Nucci
 

Come può un album inglese suonare svedese? Come è possibile cambiare stile da un album all'altro, raggiungendo risultati invidiabili? I Thieves' Kitchen ci hanno sorpreso su tutti i fronti, regalandoci con "The Water Road" un superbo album di Prog sinfonico in cui è ben presente un elegante background inglese ma in cui, allo stesso tempo, si respira aria di Scandinavia. Phil Mercy, chitarrista della band, in questa piacevole intervista ci racconta i segreti del successo e di come ha conosciuto Thomas Johnson, tastierista degli Änglagård.

La vostra musica ha subito una metamorfosi straordinaria: non solo avete cambiato stile ma sembra che in questa nuova veste riusciate ad esprimervi al meglio: cosa ne pensate? Cosa vi ha spinto a cercare questa nuova strada?

Penso che ognuno dei nostri album è progredito rispetto all'altro: si tratta davvero di un viaggio continuo. Ci sono stati molti cambiamenti da quando abbiamo registrato "Shibboleth" nel 2003 che hanno contribuito a dare quell'impressione di miglioramento. Fra questi le tastiere di Thomas, sia per l'aspetto compositivo che per gli arrangiamenti e il suo squisito modo di suonare. Un altro aspetto fondamentale è stata la decisione consapevole del gruppo di dedicare tempo illimitato e risorse per realizzare il miglior album possibile, cosa che è culminata nella registrazione avvenuta nello studio di Rob Aubrey a Southampton e allo studio di Mattias Olsson a Stoccolma. Abbiamo registrato le tracce di base come se suonassimo ad un concerto, cosa che tecnicamente non era stata possibile per il gruppo fino ad ora.
Le performance sono più ricche di emozione. In particolare la voce di Amy è davvero emozionante. Io ho usato più toni sull'amplificatore e meno effetti, Andy ha usato il fretless, c'è il Mellotron di Thomas e altre fonti sonore elettro meccaniche e, ovviamente Mark ha usato per la prima volta il set acustico su un album dei TK.
Dal punto di vista compositivo, penso che "The Water Road" abbia fatto un passo avanti verso le atmosfere sinfoniche. C'era un desiderio preciso di aumentare le dinamiche e gli sfondi musicali. Non volevamo perdere la complessità, o quell'eccentricità Canterburyana, ma non volevamo che queste andassero a scapito della melodia. La melodia gioca un ruolo chiave in "The Water Road".

Il vostro sound sembra quasi essere svedese più che inglese, c'è qualcosa del prog scandinavo che vi ha colpito?

Beh, io non ci avevo davvero pensato a questo, ma probabilmente non è così sorprendente. Immagino che gli Änglagård abbiano un ruolo fondamentale in ciò che viene definito oggigiorno un suono svedese e Thomas è responsabile della quota preponderante di quelle sonorità dal momento che era responsabile delle composizioni e degli arrangiamenti di "The Water Road". Avendo lavorato parecchio con Thomas, e in misura minore con Anna e Mattias, sono rimasto davvero impressionato ed ispirato dal loro approccio nel fare musica. Hanno una magnifica attenzione ai dettagli. Mettono una grande cura nella scelta delle tonalità dei diversi strumenti, e all'emozione che l'esecuzione può dare ad un brano musicale.

Riguardo alla collaborazione con alcuni ex membri degli Änglagård: che elementi di novità hanno portato nella vostra musica?

Mi sono ritrovato in una specie di paradosso alla fine del 2004 con Wolfgang Kindl che aveva lasciato la band per tornare in Germania, dal momento che artisticamente ero molto preso da roba classica, come Vaughan Williams e Walton in particolare, mentre il gruppo era stato ridotto a 4 elementi con un suono dominante di chitarra. Non stavo andando davvero da nessuna parte e mi stavo demotivando, con quella tavolozza di suoni ristretta e non riuscivamo a scrivere niente di buono. Siamo stati molto fortunati a scoprire che Thomas viveva in Inghilterra. Il suo modo di suonare, il suo approccio compositivo, le dinamiche, le ambientazioni, erano perfette per la strada che volevamo seguire. E' stato Paul (Beecham, che suona l'oboe e il sax su "The Water Road") a scoprire via internet che Thomas lavorava e viveva in Inghilterra. Pienamente consapevoli del suo ruolo negli Änglagård negli anni Novanta, eravamo risoluti a volerlo incontrare per capire se c'era una possibilità di lavorare insieme. Siamo riusciti infine a contattarlo e ad organizzare un incontro una sera in un bel pub di Oxford e fin dall'inizio fu chiaro che era una gran brava persona e che avevamo molto in comune. Ovviamente Thomas è ancora in contatto con Anna e Mattias e siamo riusciti a registrare sia le tastiere vintage (Mellotron Optigan ecc) e il flauto di Anna allo studio Roth Handle di Mattias a Stoccolma.

Ci ha colpito molto la canzone "Om Tare", soprattutto per la scelta particolare di cantare in sanscrito. Di che parla questo pezzo e come è nata l'idea per la sua realizzazione?

La musica di "Om Tare" è stata l'ultima ad essere composta per l'album. Mark aveva detto che sarebbe stato bello avere qualcosa di più "up tempo" come complemento alle altre tracce e ho pensato "adesso gli faccio vedere io" e ho scritto la frenetica intro e la parte strofa/bridge/coro per la canzone, in una partitura quasi ridicola, molto velocemente. (Mi piace a volte divertirmi quando compongo e la traccia è quasi una sfida dal punto di vista percussivo). Amy si è trovata a cantare il mantra nella sezione dei cori, partitura stramba o no, la cosa ha funzionato perfettamente.

Avete arricchito molto il vostro sound con una serie di strumenti come flauto, violoncello ed oboe e avete posto molta attenzione negli arrangiamenti: come siete riusciti a costruire un sound così complesso e delicato allo stesso tempo? Come avviene il processo compositivo?

Come ci siamo riusciti? Ore, ore e ore di lavoro in fase di scrittura e di registrazione, aumentando progressivamente l'attenzione verso i dettagli in ciascun pezzo. Le composizioni sono nate in maniera molto diversa per quanto riguarda "The Water Road". Un pezzo poteva nasce dalle liriche di Amy, da un brano di Thomas o da uno mio. Una persona affronta il pezzo fin quando può e poi la composizione passa di mano in mano e ogni persona può modificarla o aggiungere qualcosa. Abbiamo fatto alcune session compositive collettive ma abbiamo anche lavorato individualmente. Il finale del pezzo "When the Moon is in the River of Heaven", sebbene derivasse originariamente da un'idea di Thomas fu poi improvvisato in studio dal gruppo e per questo è una composizione della band.

Nei vostri precedenti album si percepivano delle buone qualità ma sembrava sempre che mancasse qualcosa per raggiungere la perfezione, cosa pensate mancasse a quei lavori, anche alla luce della vostra nuova evoluzione? Li cambiereste in qualcosa?

Si, sono d'accordo. La perfezione è una virtù degli dei e tutto quello che possiamo fare è cercare sempre di migliorare. La critica più forte lo muoverei circa la produzione dei nostri primi lavori, ma non è un grosso rimpianto. Abbiamo fatto quello che abbiamo potuto con le risorse che avevamo disponibili e gli album sono quelli che sono. Spesso l'arte migliore viene fuori lottando contro le limitazioni e le restrizioni. Gli Yes e i King Crimson non è che hanno iniziato ad usare il Mellotron perché era lo strumento più ganzo sulla terra. Lo usavano perché non avevano la possibilità di usare continuativamente un'orchestra eppure queste limitazioni hanno contribuito a far nascere il loro sound. Non sono sicuro che cambierei realmente queste cose se tornassi indietro. Bisogna sempre guardare avanti.

L'Inghilterra è stata sempre considerata la patria del Prog e della rinascita di questo genere con il New Prog ma ora sembra aver perso la sua centralità. Che spazio ha il Prog e di conseguenza il vostro gruppo nella scena musicale inglese odierna?

Beh, penso che ci siano altre nazioni che potrebbero vantarsi di essere luogo di nascita del Progressive, e fra queste anche l'Italia. C'è una grossa quantità di buona musica che viene fuori adesso da ogni parte del mondo e credo che questo sia salutare. Ci sono così tante diverse influenze. I prossimi anni potrebbero essere molto eccitanti. La "Scena Prog", se puoi pensare a una cosa del genere, è certamente differente da quella che era anche solo cinque anni fa. Per un certo verso, le cose sono peggiorate, ovvero per quel che riguarda l'aspetto live, non è facile organizzare concerti nel Regno Unito, se la gente vuole vedere musica dal vivo oggigiorno molto più probabilmente andrà a vedere una vecchia band nota che già conosce o una cover band. Lo spazio per la musica dal vivo originale è molto minore che in passato. Per un altro verso le cose stanno evolvendosi positivamente dal momento che c'è molta buona musica che viene dal Regno Unito negli ultimi anni. Karda Estra e Big Big Train hanno prodotto ottimo materiale e sia i Magenta che i Tangent hanno realizzato album che sono stati ben accolti. C'è anche molta nuova roba che viene alla luce su MySpace da band che sono arrivati a fare musica più eclettica seguendo la strada dei Radiohead. Penso a band come gli Antique Seeking Nuns, davvero grande musica! Credo che MySpace aiuti ad abbattere molti confini di genere e culturali cui eravamo stati abituati nel corso degli anni e questo promette bene per il futuro della musica interessante.

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