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SLIVOVITZ Jessica Attene
 

Slivovitz è il nome di una nota bevanda super-alcolica, prodotto di distillazione delle prugne, ma è anche il monicker scelto da questo ensemble partenopeo, che spero sentirete sempre più spesso nominare. Hanno recentemente pubblicato con la Moonjune Records il loro secondo CD, attirando presto l'attenzione degli ascoltatori più attenti, grazie soprattutto al loro stile eclettico e al loro sound sfacciato e coinvolgente. Era inevitabile porger loro qualche domanda per conoscerli un po' più da vicino. Buona lettura.

Come prima domanda di rito vi chiederei di presentare rapidamente ai nostri lettori la band, di parlarci di come si è formata e del segreto del vostro nome.

La band si è formata nel migliore dei modi : per il piacere di un gruppo di amici, circa 8 anni fa. Importato illegalmente da una sedicente guida turistica Ungherese era onnipresente nelle nostre jam una bottiglia di Slivovitz (grappa di prugne balcanica. Di qui il nome :-)

Nel vostro sound si percepiscono chiaramente contaminazioni musicali partenopee; Persino sulla copertina del vostro CD rivendicate chiaramente la vostra origine napoletana (100% made in Napoli). E’ importante far emergere le proprie radici culturali nella propria musica? Credete che questo possa essere un modo per dichiarare la propria originalità?

In realtà non possiamo certo affermare di essere un gruppo che suona musica napoletana, anche se forse il fatto di provenire da una realtà così particolare probabilmente influisce sul nostro atteggiamento spesso un po’ sfacciato. Dal punto di vista strettamente artistico, tuttavia, l’influsso della musica napoletana (eccezion fatta, naturalmente, per il Neapolitan Power o artisti come Daniele Sepe o Enzo Avitabile) è forse addirittura inferiore a quello di tanti altri tipi di musica di estrazione non italiana che spesso prediligiamo. E’importante, ma non necessario, e soprattutto non è un passaggio obbligato. Insomma, L’originalità nasce dalla diversità delle nostre radici musicali cresciute comunque nel comune terreno Napoletano.

Ascoltando la vostra musica è impossibile non pensare a modelli come Napoli Centrale ma allo stesso tempo si possono percepire molti altri ingredienti che ricordano etnie e colori diversi. Colpa dello Slivovitz? Quali sono i vostri ingredienti più o meno segreti?

…colpa dello Slivovitz…e del blues di Miles Davis, Bech’o’drom, Ivo Papasov, Frank Zappa, John Zorn colpa di tonnellate di jazz e tutto il rock, del jazz rock del progressive rock dell’ alternative rock del jazz etnico... non dimenticate che intorno al gruppo gravitano più di sei persone… in un furgone tutta la notte con lo stereo acceso per chilometri…quanta musica possiamo aver sentito??

Non passa inosservata la vostra tecnica e soprattutto il fatto che siete riusciti a realizzare un album di così ottima qualità come "Hubris". Quali esperienze passate vi hanno aiutato a raggiungere questo grado di maturazione e quanto tempo avete dedicato alla realizzazione di questo album?

L’intera opera è costata circa due anni di lavoro. Possiamo dire che è stato un periodo duro, rispetto al primo album (“Slivovitz“ ethnoworld 2005) che è stato realizzato per così dire “di getto”, Hubris è un lavoro che assorbe l’inquietudine del crescere insieme, diversi ma accomunati dalla passione per la musica e la ricerca di una forma ed una coerenza ancora lontane. Dal punto di vista tecnico siamo stati accompagnati nel percorso in tutte le sue fasi da Luca Barassi che l’ha prodotto insieme a noi al caldo dell’estate 2007 sul glorioso bancone analogico dei Megaride di Varcaturo (Na), e l’ha missato al freddo Londinese.

Avete scelto un titolo davvero particolare per il vostro album ("Hubris") : questo perché vi sentite presuntuosi? Volete spiegarcelo?

Inizialmente avevamo pensato di chiamarlo “Disumanesimo” alla luce del corrente periodo storico. "Hubris" era il nome dell’hardisk su cui giacevano i files del master. L’idea è piaciuta, la presunzione ci sta tutta (perché negarlo?), ed eccoci qua! In realtà il titolo evidenzia anche una forma di autocritica, in quanto la hubris nel mito greco è un peccato che viene pagato a caro prezzo, ma poiché come ti abbiamo detto prima la sfacciataggine non ci manca, abbiamo accettato di affrontare di petto tutte le implicazioni derivanti da un lavoro, come appunto “Hubris”, che per molti versi si è rivelato difficile e complicato.

Vi siete affidati per la pubblicazione del vostro CD ad un’etichetta straniera: pensate che il vostro forte legame alle vostre radici italiane possa essere apprezzato da un pubblico straniero? Come siete entrati in contatto con la MoonJune?

Siamo stati contattati da Leonardo Pavkovic tramite Myspace manco a farlo apposta una settimana dopo avere registrato le session di preproduzione. Il fatto di suonare musica strumentale forse può aiutare sul mercato straniero ma le nostre scelte sono state guidate soprattutto dall’aver incontrato una persona professionale e umana al tempo stesso che fa questo lavoro con il preciso intento di pubblicare musica che non sia un semplice oggetto di consumo ma sincera rappresentazione artistica di chi la scrive. Siamo assolutamente sulla stessa lunghezza d’onda; inoltre altre etichette italiane con cui eravamo in contatto hanno cercato di addivenire ad un accordo con zero garanzie per noi ma con considerevoli (se non inaccettabili pure per gli standard proibitivi di uso comune in questo momento) cessioni di diritti. Nelle more di queste negoziazioni si è inserita Moonjune con cui abbiamo chiuso il deal in non più di una settimana. E' comprensibile che i margini di profitto del settore discografico siano oggi come oggi molto molto limitati, ma qui in Italia la sensazione forte è che spesso e volentieri le etichette si trincerino dietro questo dato di fatto per imporre ai musicisti molte condizioni del tutto irragionevoli.
Per quanto riguarda la reazione del pubblico straniero alle radici italiane, abbiamo notato che in parecchie recensioni di siti esteri è stato rimarcato il fatto che siamo italiani e napoletani in particolare. Tuttavia ancora una volta non riteniamo che dal punto di vista strettamente artistico il legame con le radici italiane emerga in modo particolare rispetto alla miriade di ulteriori elementi che cerchiamo di accogliere nella nostra musica.

"STRESS" rappresenta l’unica traccia cantata del CD e bisogna dire che ve la cavate piuttosto bene nel miscelare musica e parole. Pensate di dare più spazio in futuro alle parole o preferite un approccio strumentale e perché?

Siamo attualmente al lavoro sul nuovo album, di cui abbiamo già buttato giù quattro pezzi interi e finora non c’è nessuna traccia di tracce cantante. Non ci precludiamo alcuna strada, se verranno naturali saranno naturalmente presentate al pubblico… Essendo tutti strumentisti o comunque ritenendo di poterci esprimere con più facilità in schemi diversi e più liberi rispetto a quelli imposti dalla forma canzone, è in ogni caso evidente che per forza di cose prediligiamo un approccio strumentale (cosa che peraltro in Italia in genere suscita meraviglia, mentre abbiamo notato che all’estero viene accolta con più naturalezza).

Fino ad ora siete riusciti a proporre la vostra musica dal vivo? Quali sono state le esperienze live più belle e perché?

Qui la lista rischia di essere lunghissima…
Innanzitutto la prima esibizione dal vivo insieme, al Sanakura di Napoli (all’ombra dello storico campanile di Santa Chiara), il 22 dicembre 2001 (ci ricordiamo ancora la data perché fu davvero emozionante!).
la prima esibizione all'Etno music Competition nel 2003 in MIlano, perché in quell'occasione pur proponendo la nostra musica in un contesto estremamente ricercato e selettivo (c'erano molti jazzisti di livello sia nella giuria che tra gli ospiti) e pur non vincendo il primo premio (quella volta arrivammo secondi) ci siamo guadagnati l'apprezzamento ed il rispetto del pubblico e della giuria ben oltre le nostre aspettative.
Tutti i concerti in Ungheria (2003 - 2004), nessuno escluso, il pubblico ungherese mostrava un grande entusiasmo ed il contesto musicale era molto più affine alla nostra dimensione stilistica, dato che lì la forma canzone è solo uno dei modi possibili di fare musica, e non la condizione indispensabile per godere di un certo credito, come invece qui in Italia; menzione speciale merita il palco blues dello Sziget Festival…notte ultraterrena ed indimenticabile.
Il concerto al Boca Nord a Barcellona nel 2007.
L'esibizione al TIM Tour in Piazza Plebiscito nel 2002 come momento di maggior stress in assoluto.
L’esibizione all’arena Flegrea nel peace for kids di ottobre 2008 al fianco di Bob geldof, enzo avitabile e rita marley ed i recenti concerti all’anfiteatro del parco Virgiliano per il palco e la cornice naturale e di pubblico.

Fare musica ad un certo livello con una certa continuità è difficile. Come riuscite a conciliare musica e lavoro? Qualcuno di voi è musicista di professione?

Siamo tutti musicisti di professione con la sola eccezione del nostro Derek (ma lui è un genio – nota di Pietro ;) ) il cui lavoro se da una parte certamente sottrae tempo alla musica rispetto agli altri membri del gruppo, dall’altra consente (se proprio vogliamo trovare un aspetto positivo) di suonare senza tutta una serie di pressioni che in altri casi hanno angustiato altri miei colleghi (musicisti, intendo).

Ascoltando il vostro disco direi proprio che si tratta di "Progressive Rock": siete d’accordo o ritenete che sia ormai una definizione antiquata? A quale panorama musicale vi sentite più affini?

A dire il vero, siamo tutti rimasti abbastanza sorpresi d essere etichettati come gruppo di prog-rock. Sicuramente molti nostri pezzi hanno un chiaro influsso jazz rock, ma non ci siamo mai considerati un guppo prog. Tuttavia, la cosa non ci reca disturbo, ma anzi ci fa piacere. Il panorama musicale cui ci sentiamo più affini in realtà varia da componente a componente del gruppo, e di brano in brano ed a seconda delle varie fasi può prevalere l’uno e l’altro orientamento. Consideriamo il nostro eclettismo come una exit strategy dal soffocante ed onnipresente ristagno culturale in cui la nostra società si trascina stancamente ormai dagli anni ‘80.


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