Home

 
BIBBO', PIERPAOLO Nicola Sulas
 

Pierpaolo Bibbò, classe 1954, cagliaritano DOC, è ormai un artista di culto per gli appassionati di prog “oscuro” grazie al suo album “Diapason”, pubblicato nel 1980 e ristampato in CD dalla Mellow Records nel 1994. Pierpaolo si è dimostrato disponibilissimo ed entusiasta ad effettuare un’intervista, in realtà una lunga chiacchierata, che ha toccato vari temi e che ha permesso di scoprire tanti interessanti dettagli sulla realizzazione di “Diapason”, e sull’attività dell’autore in campo musicale, la quale non si è mai fermata. Alla fine scopriamo, infatti, che Pierpaolo Bibbò potrebbe tirare fuori, dopo trent’anni, qualche interessante sorpresa.

Parlaci un po’ dei tuoi inizi come musicista e di quello che facevi prima di “Diapason”.

Iniziai a suonare come autodidatta da giovane, ma è dopo il servizio militare che realizzai i primi lavori discografici. Dopo il congedo mi presentai per un provino all’etichetta discografica La Strega, con la quale iniziai una collaborazione. Nel 1977, invece, formai un duo con un ex compagno di scuola, Gianpiero Melosu. Ci chiamavamo Distilleria MB e realizzammo due 45 giri di genere country-rock. Prima di “Diapason” realizzai inoltre i provini per due LP di progressive rock, che non furono mai pubblicati, uno nel 1974, dal titolo “Vivendo in un Mondo Irreale”, e un altro, l’anno successivo, che si sarebbe dovuto intitolare “Io che cerco una strada nuova dove incontrare il domani”. Si trattava di lavori realizzati con ottimi musicisti, tra cui Franco Montalbano e Antonio Loi, allora entrambi nel Gruppo 2001, Franco e Giacomo Medas, quest’ultimo ora direttore d’orchestra e alla guida del coro polifonico Collegium Karalitanum. Entrambi i lavori rimasero però nel cassetto.

Che ricordi hai della collaborazione con La Strega?

Uno dei primi dischi che l’etichetta realizzò fu “Seduto sull’Alba a Guardare” di Antonio (Tonietto) Salis, importante perché fu il primo disco registrato in quadrifonia in Italia; difatti fu realizzato negli studi della Sansui a Milano, allora l’unico attrezzato con quella tecnologia. Collaborai a vari lavori de La Strega, lavorando tra gli altri con gente come Benito Urgu e un gruppo che ebbe un buon successo in Sardegna, la Banda Beni (gioco di parole con il significato “va bene” in sardo. Si trattava di un gruppo che rivisitava in chiave parodistica canzoni famose, nazionali e internazionali, adattando i testi a luoghi comuni riguardanti la Sardegna. n.d.a.). Il metodo di lavoro era simile a quello utilizzato per “Diapason”, poiché l’attrezzatura era ugualmente limitata. Quando La Strega comprò un 8 tracce, io ormai non lavoravo più con loro. In totale, credo che La Strega abbia pubblicato all’incirca una ventina di 45 giri e una decina di LP di vario genere.

Quali sono state le tue influenze musicali?

Sono un grande fan dei Van Der Graaf Generator, dei quali ho letteralmente consumato i dischi a furia di ascoltarli. Mi hanno influenzato molto anche i Pink Floyd e i King Crimson, soprattutto quelli di Red. Considero Starless il brano perfetto! In Italia mi piace molto il Banco, specialmente “Darwin”. La PFM, invece, mi ha sempre lasciato un po’ l’amaro in bocca, li ho sempre considerati troppo freddi, specialmente da “L’isola di Niente” in poi. Mi piacciono molto Le Orme, anche se facevano un genere per certi versi più accessibile. Tra le mie influenze, come hai sentito anche tu in “Diapason”, ci sono sicuramente gruppi come Tangerine Dream e Popol Vuh.
Durante il servizio militare a Roma ebbi l’occasione di conoscere alcuni personaggi della scena prog della capitale. Mi ricordo benissimo dei Semiramis, con Michele Zarrillo allora sedicenne e con un’impressionante massa di capelli che gli circondava la testa!

Parliamo di “Diapason”. Trovo che l’album sia fatto in modo originale, con uno stile personale. E’ stata una cosa voluta al periodo? Hai cercato a tutti i costi di fare qualcosa di diverso rispetto al tipico progressive italiano degli anni settanta?

No, secondo me l’originalità è qualcosa che non si deve perseguire a tutti i costi. Semplicemente cercai di non cadere nei luoghi comuni del prog, evitando i passaggi strumentali eseguiti al solo scopo di dimostrare la bravura con gli strumenti. Cercai solamente di dare una certa linearità al tutto, basandomi su una struttura dei brani che fosse semplice, per concentrarmi poi sugli arrangiamenti. Se noti, i pezzi sono legati tra loro e si basano su semplici temi in Mi minore, La minore e Do.

Come e dove avvennero le registrazioni?

Ad eccezione di batteria e piano, registrati nello studio de La Strega, feci tutto nell’appartamento in cui vivevo allora, un attico in Via Palestrina a Cagliari. Lavorai principalmente con Adriano Demurtas, che suonò gran parte delle sezioni di tastiera. Mentre con gli altri musicisti ci furono perlopiù collaborazioni per eseguire specifiche parti dei brani, con Adriano lavorammo a stretto contatto, in maniera assolutamente rilassata. Ci incontravamo di tanto in tanto a casa mia, mangiavamo un piatto di spaghetti e registravamo, tutto senza alcuna pressione o forzatura.

Se devo fare una critica al disco, direi che la produzione non è eccezionale. Nella mia recensione ho scritto che, ascoltando il disco, si respira un’atmosfera artigianale. Che mezzi avevi a disposizione allora?

“Diapason” è stato registrato in gran parte con un semplice 4 piste. Fu un processo delicato, che costringeva a fare le cose con attenzione, poiché era necessario suonare le parti strumentali senza fare errori, in maniera totalmente differente da come si lavora oggi con il computer. Fu anche molto laborioso, era necessario eseguire continuamente vari riversamenti per liberare le piste a disposizione, ed equalizzare e panpottare al volo durante il missaggio perché, per forza di cose, si avevano vari strumenti nella stessa traccia. La parola “artigianale” da’ appena un’idea del modo in cui procedemmo; ogni giorno inventavamo qualcosa di nuovo, qualche nuovo procedimento per ottenere un suono particolare. Mi ricordo che a volte passavano anche due giorni solo per riuscire ad ottenere un suono che avevo in testa.

Queste limitazioni hanno influito certamente sulla qualità finale. Al tempo fosti soddisfatto della resa sonora definitiva?

Ci furono alcuni problemi; allora non esisteva, almeno in Italia, il mastering, dopo il missaggio semplicemente si mandava in stampa quello che veniva fuori. Quando arrivò la lacca di prova ci accorgemmo che suonava malissimo, piena di distorsioni e imperfezioni. Dovemmo rimettere mano al lavoro per comprimere molte frequenze e riportare il suono ad un livello di qualità accettabile. In origine erano presenti frequenze che potevano sentire solo i cani, come ha scritto un recensore americano, e bassi molto profondi. Quando uscì, il vinile alla fine non suonava come avrebbe dovuto in origine, il suono era troppo compresso a causa del rimaneggiamento.

Il sound del disco si basa molto sui sintetizzatori, i quali sono stati utilizzati in maniera a mio avviso più creativa rispetto alla media della produzione italiana degli anni settanta. Quali apparecchi hai adoperato?

Se devo dirti la verità, nonostante tutte le recensioni, vecchie e nuove, mettano in evidenza questa cosa, per registrare “Diapason” non fu impiegato neanche un sintetizzatore! Dalla casa discografica La Strega ottenni in prestito un Solina per emulare gli archi, e da un amico un piano elettrico Elka. Durante le registrazioni feci passare il suono di questi strumenti attraverso qualsiasi cosa avevo a disposizione al tempo, distorsori, wha-wha, flanger, eccetera, per ottenere i suoni particolari che si sentono sull’album. Pensa che il piano elettrico aveva un difetto, il MI suonava alla stessa altezza in tutte le ottave! Ascoltando attentamente “Contaminazione” si sente questo MI che “salta” di continuo, e non è di certo un effetto voluto! Altri suoni furono invece prodotti con un semplice oscillatore sinusoidale. Alcune parti che sembrano di synth invece, in realtà sono state suonate con la chitarra utilizzando una tecnica di registrazione particolare: in pratica facevo girare il nastro a velocità dimezzata, e quando il tutto veniva riportato a velocità normale ottenevo quei suoni inconsueti presenti nel disco. Un altro trucco usato spesso con l'amico Giacomo Medas consisteva nell'infilare delle puntine da disegno nei feltrini dei martelletti di un pianoforte a muro, al fine di ottenere un suono simile a quello di un clavicembalo. Si trattava di acrobazie inventate sul momento in maniera totalmente artigianale, proprio come hai scritto tu nella recensione.

Parliamo della voce e dei testi.

Nel disco si nota che la voce è spesso molto tirata. Allora scrivevo canzoni in tonalità “impossibili”. Un errore che si commette spesso da giovani è pensare che tanto più in alto si sale con la voce, tanto più si è bravi. Per me in quel periodo il modello era Nico Di Palo dei New Trolls. Ovviamente, a lungo andare, ai comuni mortali questo causava problemi. Solo dopo aver iniziato a fare serate per mestiere, presi lezioni di canto, con lo scopo di imparare una nuova impostazione e mantenere efficiente la voce per più giorni di fila. Il mio modo di cantare, infatti, ora è completamente cambiato. Questo però avvenne in età avanzata, negli anni novanta. Ora non riuscirei a cantare i brani di “Diapason” con l’altezza originale; avrei bisogno di abbassare almeno di due tonalità anche il pezzo più facile.
Per quanto riguarda i testi, “Diapason” è un concept sulla ricerca di sé. La suddivisione in due fasi, Espansione e Contrazione, infatti, rappresenta la ricerca all’esterno di se stessi ed il guardarsi dentro. Lo stesso titolo, “Diapason”, significa l’entrare in armonia e in risonanza con l’universo e con ciò che ci circonda. L’argomento può sembrare un po’ ingenuo ora, ma a quel tempo mi prendevo molto sul serio a riguardo!

Come accadde che La Strega decise di pubblicare il tuo lavoro?

La Strega era di proprietà di un amico, Marcello Mazzella, il quale aveva dato il via a questa attività per passione, avendo a disposizione una solida base economica. In realtà iniziai a realizzare “Diapason” senza pormi il problema della pubblicazione, lavorando quasi in segreto. Le registrazioni andavano avanti e Marcello sapeva che stavo facendo qualcosa, senza che però ci fosse alcun accordo a riguardo. Accadde che, appena finito il missaggio, fui chiamato dall’emittente televisiva La Voce Sarda, che allora iniziava le prime trasmissioni, per registrare un brano. Mi presentai insieme ad Adriano Demurtas e registrammo “Cercando una Terra Fantastica”. Marcello Mazzella vide la trasmissione e mi disse che il pezzo gli piaceva. Da allora, iniziai a tartassarlo per qualche settimana cercando di convincerlo a produrre “Diapason”. Alla fine, forse per sfinimento, accettò.

Come andarono le vendite?

Furono stampate circa 2000 copie. La fortuna fu che Mazzella aveva appena firmato un contratto con la Panarecords, che permise la distribuzione del disco a livello nazionale. Per un’altra coincidenza, in corrispondenza della pubblicazione si tenne a Milano una fiera dell’alta fedeltà molto frequentata, nella quale la Panarecords aveva uno stand. “Diapason” fu suonato a ripetizione durante tutta la fiera, e questo permise di aumentare le vendite. Per quanto ne so io, credo che si vendettero non più di 1500 copie in totale.

Hai mai avuto occasione di suonare dal vivo i brani dell’album?

Si, dopo circa un anno dall’uscita del disco fui contattato da un gruppo, i Sardana, per ricoprire il ruolo di cantante. I Sardana, tra le altre cose suonavano anche cover di musica prog. Accettai e proposi di provare alcuni brani tratti da “Diapason”. Fu così che per circa un anno eseguimmo regolarmente “Cercando una Terra Fantastica” e “Incantautore” in giro per la Sardegna.

Parlaci della ristampa in cd della Mellow Records. Sei stato coinvolto direttamente nella sua realizzazione?

Dopo aver lasciato Cagliari da un anno ed essermi trasferito ad Arzachena, ricevetti una telefonata da Ciro Perrino, il quale mi disse che la Mellow Records aveva intenzione di ristampare “Diapason” su CD e mi chiese se ero interessato a cedere i diritti. Io ero d’accordo ovviamente ma i diritti appartenevano a Marcello Mazzella, con il quale ero comunque ancora molto amico. Diedi quindi a Perrino il numero di telefono di Marcello, che acconsentì volentieri. Ci furono però alcuni problemi, il primo dei quali fu che il master originale era andato perso. Fortunatamente, ho l’abitudine di fare tutto in triplice copia per cui mi ricordai di una versione che avevo incellofanato e conservato nella terrazza di casa mia, e che si era mantenuta in condizioni accettabili. A quel punto, con Marcello ci accorgemmo che, forse per qualche errore nell’invio dei bollettini SIAE, i brani non erano stati depositati. Rimediammo in tutta fretta proprio in occasione della ristampa.

Sei soddisfatto del risultato finale su CD?

Si, la riedizione è ben fatta; insieme al master inviai la foto presente nel libretto e i testi, assenti nella confezione dell’LP. Dal punto di vista del suono, la versione in cd è molto migliore del vinile, poiché molte delle frequenze che in origine furono tagliate sono tornate alla luce.

“Diapason” è stato uno dei pochissimi album veramente prog realizzati in Sardegna. Anche ora l’unica band in attività nel genere ad aver pubblicato con una certa regolarità sono gli Yleclipse. Non c’è mai stato però a mio avviso un tentativo serio di realizzare una commistione tra i suoni tradizionali dell’isola e il progressive. Credi che sia una strada percorribile?

Io credo di sì. Prima di tutto si deve prescindere dai testi, non avrebbe infatti senso parlare di commistione solo perché si canta in sardo. Si dovrebbe partire da un lavoro serio di ricerca, come hanno fatto in altri ambiti musicali i Cordas et Cannas (gruppo di musicisti di Olbia che riprende canzoni e motivi della cultura popolare sarda rivalutandoli in chiave moderna, mantenendo un forte legame con la tradizione e realizzando spesso collaborazioni con sonorità e musicisti jazz. Anche in questo caso, il nome del gruppo può rappresentare un gioco di parole tra due cognomi molto comuni in Sardegna e le “Corde e Canne” della strumentazione utilizzata. n.d.a.), Andrea Parodi gli stessi Tazenda e tanti altri. Per quanto riguarda il prog, si potrebbe tentare un percorso simile a quello realizzato da Peter Gabriel, che spesso nei suoi dischi inserisce richiami alla tradizione musicale di popoli di vari paesi del mondo. Sto cercando di fare qualcosa del genere in alcune parti del mio nuovo lavoro, senza però cantare in sardo.

Cosa accadde dopo Diapason?

Come ti ho già detto, per un anno suonai con i Sardana, i quali poi cambiarono nome e divennero Il Segno. Con Il Segno producemmo un 45 giri e un Q-disc di quattro pezzi, grazie ai quali raggiungemmo una discreta popolarità anche fuori dalla Sardegna. Facemmo alcuni concerti nella penisola e alcune apparizioni in RAI, suonando però un genere più commerciale. Fu una bella esperienza, accompagnata dall’illusione di poter raggiungere la popolarità e vivere di musica, cosa che invece non avvenne.

La tua attività nel campo musicale continua. E’ questa la tua occupazione principale?

Ora sì. Quando vivevo a Cagliari facevo anche il musicista ma ho lavorato in fabbrica per otto anni e poi come tecnico di assistenza per attrezzature da ufficio. Quando mi sono sposato e mi sono trasferito ad Arzachena ho dovuto cercare un nuovo lavoro. Ricevetti una proposta per suonare con l’orchestra del sassofonista Tony Marino, che faceva serate nei vari alberghi della Costa Smeralda, e nel frattempo iniziai col pianobar per conto mio. Suonai con l’orchestra sino al 2003, e successivamente iniziai a dedicarmi principalmente al mio studio di registrazione. Nello studio, che ovviamente si chiama Diapason Studio, produco lavori di vario genere, che spesso pubblichiamo. Questa sera, ad esempio, devo partecipare alla presentazione del lavoro di un cantautore-poeta in lingua logudorese, col quale collaboro, Gianni Sconamila. Inoltre è uscito in questi giorni il CD “Nothing but me” di Ely , una cantante cagliaritana che vive da anni a Castelfranco Veneto (TV), pubblicato dall'etichetta americana “CDBABY”. L'album contiene 10 brani (8 in lingua inglese) dei quali ho composto la musica oltre ad aver curato, ovviamente, gli arrangiamenti e la registrazione (i testi sono della stessa Ely). Ci metto molto del mio in questi lavori; anche Gianni Sconamila, ad esempio, mi lascia carta bianca riguardo agli arrangiamenti, mi fornisce la parte cantata con accompagnamento di chitarra e io elaboro il tutto per arrivare al prodotto finale. Con Ely è stata lo stesso una bella avventura, dal momento che dal progetto alla realizzazione dell'album sono trascorsi quasi tre anni. Altre cose le produco con ragazzi che, secondo il mio parere, cercano di fare qualcosa di innovativo. Non ho messo di suonare comunque, anche se lo prendo più come un divertimento. Ora collaboro con due band che suonano rispettivamente musica anni 60-70 e anni 80. Vivo sempre nel mondo della musica insomma, ma di certo posso dirti che non mi sono arricchito!

Hai accennato prima ad un tuo nuovo lavoro. Scrivi ancora musica? Hai mai pensato di ripetere l’esperienza di “Diapason”?

Sì, a trent’anni di distanza sto cercando di dare un seguito a “Diapason”, cosa a cui pensavo da tantissimo tempo ma che non potevo realizzare perché non avevo a disposizione la tecnologia che mi serviva. Ho iniziato a lavorarci solo da settembre, e spero di terminare il lavoro nel 2010. Ho già scritto i testi, che conto di far tradurre in latino! So che è già stato fatto, e per combinazione ci sarà un brano intitolato “Deus Ex Machina”.
L’idea di base consiste nel riprendere alcuni dei brani realizzati per i provini mai pubblicati precedenti a “Diapason”, e aggiungerne alcuni nuovi che ho composto nel frattempo. Lo schema delle composizioni è simile a quello di “Diapason”, si tratta di temi semplici nei quali la struttura progressive verrà fuori durante la realizzazione degli arrangiamenti. Per realizzare l’album mi sto avvalendo della collaborazione di alcuni ottimi musicisti di Arzachena. Lavoro nel mio studio, con gli orari e i tempi che mi sono più comodi, senza alcuna fretta, in modo tale da poter sperimentare e curare bene i particolari. Sono curioso anche io di scoprire cosa verrà fuori alla fine. Posso dirti per ora che l’album dovrebbe intitolarsi “Genemesi”, una combinazione delle parole Genesi e Nemesi. Ovviamente, lo proporrò ad alcune etichette discografiche per un eventuale pubblicazione, anche se comprendo che i tempi non sono favorevoli per questo tipo di produzioni.

Bene, è stato un piacere parlare con te, Pierpaolo. Ti lascio il campo libero per salutare e dire qualcosa ai lettori di Arlequins.

Anche se può sembrare scontato devo dire che la vera sorpresa è scoprire di volta in volta che la comunità degli amanti (talvolta nostalgici) del “progressive” è sempre più numerosa. Merito anche di iniziative come il progetto “ARLEQUINS”. A tutti coloro che lo rendono possibile va il mio più sentito ringraziamento.
Ciao a tutti.


Bookmark and Share

Italian
English