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JONO EL GRANDE Jessica Attene & Alberto Nucci
 

Ho già avuto il piacere di parlarvi del terzo album di Jono El Grande, all’anagrafe Jon Andreas Håtun, e della sua Luxury Band, indicandolo fra le migliori uscite del 2009. “Neo Dada” è un’opera attraente per la follia e la fantasia della musica: un Avant Prog interpretato con tecnica ed esuberanza da musicisti preparati ma con un meraviglioso senso dell’umorismo. Questo stesso spirito brillante, goliardico ed istrionico lo ritroviamo in Jono, un personaggio davvero unico che potrete conoscere più a fondo grazie a questa divertente intervista.


Prima di tutto, chi è Jono El Grande?

Jon Andreas Håtun è il nome di una persona e Jono El Grande è il suo alter ego, o, come potremmo dire in termini Freudiani, l’incarnazione del suo super io. Jono El Grande è la manifestazione delle aspirazioni di Jon Håtun, un ragazzo del ceto medio. D’altra parte forse hai notato Neo Dada, il clown (così chiamato dal titolo del mio ultimo album) color arancio che canta con me e la band sul palco. Neo Dada è in realtà l’alter ego di Jono El Grande. E non finisce qui: Neo Dada, da parte sua, reclama anch’egli una sua seconda identità che simbolizza il sogno di quello che lui veramente vuole essere: Né-Nome, Né-Sostanza, Né-Niente. Per completare questa mia scempiaggine, devo dire che chiunque si trova a leggere tutto questo è il benvenuto fra i nostri amici su FaceBook. E forse, in futuro, potreste vedere un’opera con tutti questi personaggi

Si dice che il tuo primo album, "Utopian Dances", sia stato registrato interamente nella tua camera da letto. Cosa ricordi di questa esperienza?

Dal 1995 al 2000 ho vissuto in un piccolo appartamento di 30 metri quadri nel centro di Oslo, dove avevo un mixer a 4 piste Macintosh Performa 6400 ed un workstation synthesizer piazzato sotto al mio letto. Non è che componessi sdraiato sotto ad un letto normale: avevo un letto a castello con un tavolo da lavoro al piano inferiore e avevo chiamato questo studio “Sotto il letto”.

Prima di formare la tua band nel 2000 hai avuto diverse esperienze musicali. Quali sono secondo te le più importanti per lo sviluppo successivo della tua carriera e per la costruzione della tua identità musicale?

Era la band Vidunderlige Vidda perché era assolutamente al di fuori di qualsiasi significato. Abbiamo creato una tendenza molto speciale che è difficile da riprodurre. “Vidunderlige Vidda” significa qualcosa come “meraviglioso altopiano”. In norvegese esiste l’espressione “helt på vidda” che letteralmente significa “interamente sull’altopiano” ed è qualcosa che si dice della gente che mentre parla svicola dall’argomento. E questo è il significato musicale dei Vidunderlige Vidda. Componevamo ogni canzone in uno stile diverso e potevamo passare dalla stupida pop music alla rumorosa musica contemporanea o al cabaret e al free jazz in un secondo. Scrivevamo liriche spazzatura in una lingua diversa per ogni canzone, russo, svedese, spagnolo, tedesco, francese ecc. e cambiavamo di continuo strumenti e costumi. Il gruppo fu fondato nel 1996 con me alla chitarra, batteria e voce assieme a qualche vecchio compagno di scuola: Sjur Odden Skjeldal (batteria, chitarra, voce), Stein Stølen Bjerkaker (basso, corno, voce) e Owe Egon Grandics (che non sapeva suonare, così io preparai per lui uno striscione che poteva mostrare sul palco mentre noi ci esibivamo). A volte si aggiungeva un ben educato trombonista: Øyvind Brække. Di solito facevamo le prove nell’appartamento di Stein e Sjurs, ottenendo diversi avvertimenti dalla polizia. In realtà la nostra idea era quella di creare una band che non piacesse a nessuno ma ad ogni modo riuscimmo ad ottenere un gruppo di fan fedeli che ci seguivano. Abbiamo fatto 10 o 15 spettacoli ad Oslo e poi ci siamo sciolti nel 1998. Alcune delle composizioni dell’epoca con questa band saranno pubblicate negli album futuri, utilizzando sia registrazioni originali che pezzi riarrangiati con la Luxury Band.

Ho letto che per un certo periodo hai realizzato delle “concept band” per spettacoli occasionali. Cosa facevi di preciso e in che cosa consistevano queste “concept band”?

Questi spettacoli avvenivano nel leggendario centro culturale ed artistico Volapük di Oslo tra il 1995 ed il 2000. Il Volapük era solito organizzare delle one-night performance fra altri artisti del centro e me. Molto di quello che accadeva sul palco all’epoca era roba che avrei usato più tardi per le nuove composizioni e che si può ascoltare nei miei tre album, “Utopian Dances”, “Fevergreens” e “Neo Dada”.

I tuoi dischi sono da considerarsi a tutti gli effetti degli album solisti? In che modo la tua orchestra interviene nella stesura dei pezzi? Ha una parte attiva o esegue perfettamente le tue direttive?

I miei album sono album solisti ed io compongo ed orchestro tutta la musica. Talvolta sono felice di includere alcune idee dei musicisti che collaborano con me, ad esempio un nuovo modo di eseguire una linea melodica del violino o uno schema di batteria diverso. Compongo talvolta con la chitarra ma per lo più con il software di composizione Sibelius. Non mi è mai importato di installarci la tastiera del piano, quindi scrivo direttamente sullo spartito. Quando un pezzo è finito estraggo e trasferisco ogni parte, creando file .pdf, e spedendoli per e-mail ai musicisti un paio di settimane prima delle prove. Quindi ognuno arriva, individualmente preparato, e suona il repertorio fino a che non è pronto per essere suonato dal vivo.

Come scegli i musicisti che suonano con te? Sono una line-up fissa o cambiano di occasione in occasione?

La band che guido oggi, con il nome (Jono El Grande &) the Luxury Band, celebra il suo decimo anniversario quest’anno. Tre musicisti provengono dalla line up del nostro concerto di debutto mentre gli altri sono stati reclutati nella passata decade. Qualcuno ha lasciato, principalmente per via dei lavori di musicisti d’orchestra che assorbivano tutto il loro tempo. Mi piace suonare con nuovi musicisti tuttavia ed inserirò alcuni speciali ospiti nel prossimo album.

Leggendo qua e là le recensioni dei tuoi album viene fatto spesso il nome di Zappa come la tua prevalente fonte di ispirazione e qualcuno ha persino criticato la tua musica dicendo che è troppo dipendente da questo modello. Cosa ne pensi?

Ho ascoltato vari tipi di musica che mi hanno influenzato come compositore, naturalmente molto Frank Zappa e Captain Beefheart, ma anche altre band Avant-Garde/Progressive come The Residents, Magma, King Crimson, Gentle Giant, Gong, Genesis, Jethro Tull, Banco Del Mutuo Soccorso, Le Orme, Univers Zero e Henry Cow. Ho anche ascoltato eroi classici come Stravinsky, Varèse e Shostakovich e leggende Jazz come Eric Dolphy, Ornette Coleman e Dave Brubeck. Oltre a questi la mia collezione musicale contiene una ricca varietà di classici rock degli anni ’60, ’70 e ’80.
Quindi penso che, per via delle mie orchestrazioni rock classico e la mistura di generi espressivi, alcuni ascoltatori possono facilmente tendere a riconoscere solo il legame con Zappa, mentre un orecchio allenato si accorgerà che c’è molto di più nella mia musica.

Nelle tue produzioni musicali sembra avere un’importanza particolare l’aspetto ludico o burlesco, evidente anche dai travestimenti che adottate sul palco (ne ho visti alcuni persino imbarazzanti nelle vostre foto). Quanto è importante per te questo aspetto e che scopo hanno i tuoi travestimenti? Non pensi che possano distrarre troppo il pubblico dalla musica? Ma soprattutto, come la prendono i tuoi musicisti?

Personalmente credo che il tipico abbigliamento casual che i musicisti Jazz o Indie Rock indossano sul palco sia noioso, mentre credo che gli abbigliamenti perfettamente in stile delle Pop bands spesso siano superficiali quanto la loro musica. Mi piacciono i costumi ispirati dall’era Dadaista, dai primi tempi del Progressive Rock ed alcuni rami dell’Heavy Metal ed il mio modo di reinterpretarli può essere considerato anormale e persino imbarazzante. Ma il fatto è che ci caliamo in queste nuove identità perché ci dà energia sul palco ed è positivo per la nostra vena esecutiva e per l’ascoltatore. Se la parte visiva sembra disturbare qualcuno fra il pubblico, l’ascoltatore serio può semplicemente chiudere gli occhi.

Nella tua biografia ho letto che ti definisci un compositore autodidatta: come è nata questa tua passione, come hai imparato a fare il compositore e quando hai deciso infine di diventare un compositore a tempo pieno?

La mia prima passione per l’Avanguardia nacque quando ascoltai per la prima volta, da ragazzino, “Theme From The 3rd Movement Of Sinister Footwear” di Frank Zappa. Quindi il mio bisogno di iniziare a creare la mia musica crebbe gradualmente fino all’età di 21 anni, quando decisi di diventare un compositore full-time. Successe che mi trovavo con l’amico fotografo Per Heimly in un bar di Oslo alle 4:00 del mattino e avrei dovuto recarmi al lavoro quattro ore più tardi. Lasciai il mio lavoro il giorno successivo.

Pensi che la tua musica possa rientrare nella definizione di Progressive Rock o pensi che si tratti soltanto di un’etichetta priva di significato?

Dipende da cosa intendi per “Progressive Rock”. L’espressione alle mie orecchie si adatta solo a vecchie band come i King Crimson ed i Gentle Giant. Oggi abbiamo bisogno di un nuovo nome per la musica contemporanea sperimentale nella scena rock. Credo che i generi nascano nella maggior parte dei casi come il risultato di nuovi movimenti socio-musicali. In questi casi i nomi che vengono dati, sia dai giornalisti che dai musicisti pionieri stessi, rappresentano il genere neonato: Punk, Jazz, Blues, Rock, Hip Hop, Progressive Rock, Rock In Opposition e così via. Nascono tutti con pochi gruppi leader ma accade sempre che i gruppi successivi si uniscano al genere senza aver contribuito a crearlo. Questi simulano gli stereotipi del genere e quando ce ne sono abbastanza che lo fanno hai quello che chiamiamo una tradizione. Quando si tratta di “musica Folk” il nome del genere può rappresentare per secoli lo stesso tipo di musica. Ma quando “Progressive Rock” è il nome di una tradizione, e non la definizione dei musicisti che stanno sperimentando incondizionatamente, penso che il termine “Progressive Rock” sia privo di significato. Preferisco “Art-Rock”, almeno finché questa espressione non diverrà anch’essa inflazionata.

Personalmente credo che la tua musica sia complessa ed avanguardistica ma che sia fruibile anche per ascoltatori non proprio allenati a stili musicali così difficili. Cosa ne pensi? Che tipo di pubblico ascolta i tuoi dischi?

La mia musica può essere apprezzata da molte più persone che dai fanatici. Il mio pubblico sembra essere costituito per lo più da uomini e donne dai 18 ai 40 anni che lavorano in settori culturali. Presumibilmente.

A parte la tua Luxury Band, hai altri progetti attivi al momento?

Sto scrivendo nuova musica per una orchestra Jazz di 22 elementi e anche per l’inconsueto terzetto classico moderno Poing. Le canzoni per i Poing sono molto diverse da quelle che ti aspetteresti provenire dalla Luxury Band. Registreremo alcune di queste cose questa estate che saranno pubblicate per una mia etichetta discografica in edizione limitata. Sto registrando anche la mia quarta opera per la Rune Grammofon: un album per il decimo anniversario. Speriamo di riuscire a pubblicarlo per Dicembre di quest’anno.

Cosa gira al momento nel giradischi di Jono el Grande?

Gli album che hanno girato più di recente nel mio giradischi sono: “Permanent Damage” dei GTO (1969), “The Complete Recordings” dei Comedian Harmonists (1935-39), “Killers”, il secondo album degli Iron Maiden, (1981), la versione strumentale del singolo “Dog Breath” di Frank Zappa & The Mothers of Inventions (1968), “...Until We Felt Red” dei Kaki King (2007) e la trilogia “Radio Gnome Invisible” dei Gong: “Flying Teapot”, “Angel’s Egg” e “You” (1973).


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