Home

 
BOX, THE Jessica Attene & Alberto Nucci
 

Fra i tanti album di Prog sinfonico che escono ogni anno, ci piacerebbe dare un particolare risalto a “D’après Le Horla de Maupassant” dei canadesi The Box che ci ha colpito per diversi motivi (e vi rimandiamo anche alla relativa recensione), a partire dalle sue atmosfere oscure ed affascinanti che riescono a rievocare alla perfezione la tensione emotiva della celebre novella a cui si ispira (“Le Horla” di Guy De Maupassant). Oltre a questo ha stuzzicato la nostra curiosità la storia di questa band, piuttosto nota negli anni Ottanta, con addirittura un singolo in classifica in Italia, che ha abbandonato il vecchio stile da hit-parade per un genere oggigiorno impopolare come quello che amiamo: il progressive rock. Jean-Marc Pisapia, il leader e cantante storico dei The Box, che abbiamo scoperto essere per di più di origine italiana, ci ha intrattenuto con questa bella e lunga intervista che a nostra volta vi proponiamo di leggere. Buon divertimento.


La storia della tua band è piuttosto curiosa: all’inizio eravate un gruppo pop con un discreto successo ma quando hai rimesso in piedi The Box hai scelto di fare musica di altro genere, tra l’altro assolutamente non commerciale. Come mai questa scelta?


Dal mio punto di vista non era proprio il caso di ritornare sulla scena dopo dieci anni con la stessa minestra di prima! Abbiamo detto quello che avevamo da dire nel formato pop e abbiamo avuto un enorme successo con quella formula. Ma era ora di passare ad altre cose e ho deciso di lasciare libero corso a certi fantasmi musicali che avevo in testa fin dagli anni ’78 e ’79 (come fare una versione in musica de “Le Horla” di Maupassant per esempio…) ma le condizioni dell’epoca non me lo permettevano per la morte del genere Progressive e la nascita della “New Wave”. Detto questo, è vero che è molto difficile conoscere un successo commerciale con il Prog ma oggigiorno è difficile conoscere il successo con qualsiasi genere di musica, vista l’immensa concorrenza che il web ha reso onnipresente per ogni stile musicale. Mi sono dunque preso il lusso di fare ciò che volevo fin dai primi anni, senza alcun compromesso di nessuna natura, neanche commerciale.

Quali sono state le tue fonti di ispirazione principali per quanto riguarda il progressive rock? Certamente posso percepire molto della musica dei Pink Floyd ma anche diverse somiglianze con il prog francese o franco canadese. Cosa conosci di questa scena?

Troppo spesso la musica progressiva è complicata solo per il gusto di essere complicata, non trovate? Ciò che ho sempre amato dei Pink Floyd è che la loro musica è molto efficace, molto suggestiva e fantasiosa pur restando molto semplice. Con ciò si può dire che i Pink Floyd siano stati di grande influenza per noi. Gli Harmonium, un gruppo del Quebec degli anni Settanta, mi sono stati ugualmente molto utili come riferimento. Ma a parte i giganti dell’epoca come Genesis, Yes, Jethro Tull e altri, devo ammettere di non essere un fine conoscitore del genre. Non avevo mai nemmeno sentito parlare degli Hatfield & The North, per esempio, prima di averli visti al Baja Prog a Mexicali nel 2006. La stessa cosa per la scena canadese e francese: ne conosco le grandi linee ma non di più. Ma in compenso adoro la PFM da sempre!!!

Come mai avete deciso di mantenere il vecchio nome pur avendo cambiato genere e formazione quasi completamente?

Per un gruppo è un’entità vivente; certi membri si aggiungono, altri lasciano. Questi cambiamenti influiscono sulla musica (non sempre favorevolmente per altro… ) ma la cosa più importante è che niente è permanente. Ed è tanto meglio così. Il fatto che io sia il fondatore e l’unico superstite della formazione originale nulla toglie al contributo di tutti quelli che sono transitati per i The Box nel corso degli anni. Luc Papineau e Éric Théocharides (I due altri fondatori) sono tornati a partecipare a “Le Horla” dopo quasi venti anni di assenza dal gruppo! Altro esempio: abbiamo due bassisti, Daniel e Éric (un altro Éric… ) e i due si scambiano di posto senza alcun problema. Il nostro più recente acquisto è Guillaume, un tastierista di 27 anni che è con noi dal 2008 e che mi auguro non se ne vada mai più!

Come hai scelto i musicisti da reclutare in questo tuo nuovo progetto e quale è il contributo alla realizzazione della musica?

Curiosamente non ho scelto nessuno, nel senso che è stato piuttosto grazie agli incontri avvenuti nell’ambito dei numerosi progetti e collaborazioni che ho intrattenuto nel corso degli anni che ho incontrato i membri attuali, a cominciare da François, il nostro chitarrista, nel 1994. Detto questo, il nostro metodo di registrazione dell’ultimo album (e del prossimo) non è stato proprio ortodosso: comincio con lo scrivere le grandi linee della musica e i testi. Parto in seguito con il mio PC portatile, vado a casa di tutti gli altri musicisti e lo collego nei loro studi (tutti hanno un piccolo studio di qualità professionale in casa… ) e ognuno registra il suo strumenti live, sul posto. Non siamo mai quindi cinque o sei musicisti nello stesso momento in un grande studio che si trovano a discutere tutto il tempo e a scialacquare un sacco di soldi come facevamo prima. Le cose si fanno rapidamente, economicamente e soprattutto nella cordialità più totale! Che gioia! Ognuno si prende il tempo di apportare il suo granello di sale a quello che io ho già composto e non si è mai più di due a decidere cosa funzionerà meglio e finirà sul CD

La tua prima esperienza con i the box è stata in qualche modo importante per sviluppare il vostro nuovo sound? Come giudichi alla luce delle tue nuove esperienze musicali i primi dischi?

Estremamente importante. In questo mestiere l’esperienza è tutto! E le cattive esperienze contano ancor più delle buone perché fanno male e uno se ne ricorda a lungo! Manco senza dubbio dell’obiettività necessaria a rendermene conto pienamente ma molti dei fan dei The Box sono convinti che tutte le influenze progressive della band fossero presenti già nei primi due album (di meno nel terzo e nel quarto), e che i due più recenti CD non sono che la continuazione logica di ciò che i The Box hanno sempre fatto, vale a dire raccontare una storia attraverso la musica, di qualunque genere essa sia. Già nel 1984 abbiamo scritto una canzone intitolata “L’affaire Dumoutier” (la trovate su Youtube) che raccontava il caso di doppia personalità del giovane omicida di Elisabeth Dumoutier, una storia di fantasia che ha tuttavia avuto un successone in Canada nel corso degli anni e che ci chiedono di suonare anche oggi. Col senno di poi i primi album lasciavano un po’ (molto) a desiderare dal punto di vista del suono e del cantato ma tutto sommato l’originalità è comunque là e in fin dei conti è questo che contava all’epoca, contrariamente a oggi dove sfortunatamente è il conformismo che detta legge.

Nell’ultima traccia del vostro ultimo album, racconti di come hai scoperto il racconto di Maupassant che lo ha ispirato. Cosa ti ha affascinato di quest’opera tanto da mantenere per così tanti anni vivo il ricordo di essa e la voglia di metterla in musica?

Quando si conosce bene Maupassant ci si accorge che lui gioca con un paradosso lungo tutto la sua opera: da una parte è affascinato dalla forza del carattere umano e dall’altra è esasperato dalla stupidità delle masse. “Le Horla” non fa eccezione a questa contraddizione ma è solo dopo averlo riletto, preferibilmente assieme ad altre novelle di Maupassant, che uno si rende conto di questo secondo livello di interpretazione che gli ha attribuito l’autore. E’ questo aspetto, combinato all’immaginario fantascienza/orrore della novella che mi ha convinto di servirmene come veicolo per un “concept album” 100% Prog.

Quale è stata la reazione dei media, visto che con la tua vecchia band eravate abbastanza famosi?

Esattamente la reazione prevista! I media ne hanno parlato molto per quanto erano sorpresi di vedere un gruppo conosciuto per il suo lato pop ritornare in una veste così audace. La critica è stata estremamente favorevole, salvo qualche eccezione.

Ho visto che dal vivo proponete, oltre al nuovo materiale, anche una buona dose dei successi del primo periodo. Come riuscite a far convivere due generi di musica così diversi? E come reagisce il pubblico abituato allo stile degli esordi ad un genere di musica più impegnativo, come quello degli ultimi due album?

Approfittiamo di quello che in inglese si dice attention span e dividiamo lo show in due. Cominciamo subito con il materiale recente, chiedendo al pubblico una maggiore concentrazione e mi prendo il disturbo di dir loro che riserviamo tutti i vecchi successi per la seconda metà dello spettacolo. Essi sanno dunque cosa attendersi e quando i successi degli anni Ottanta arrivano la festa comincia e non è più il caso di tornare nelle ambientazioni più tenebrose di “Le Horla”! Tutti sono in piedi sulle loro sedie fino alla fine del concerto. Il commento è sempre lo stesso, alla fine del concerto: gli spettatori sono convinti di aver avuto il meglio dei due mondi.

Trovo che nel vostro ultimo album la musica sia messa completamente al servizio della storia narrata. Il rischio dei concept album a volte è che le parole diventino prevalenti sulla musica. è stato difficile trovare per te questo equilibrio? Che difficoltà hai avuto nel ricreare le ambientazioni del libro?

Ho passato gli anni dal 1993 al 2009 a scrivere musica per spot pubblicitari televisivi di trenta secondi. Automobili, birre, servizi bancari, McDonald’s, Shell, Air Canada… Ho quindi molta esperienza nel mettere la musica al servizio della storia, per quanto breve sia. (www.interpolmusicforvisuals.com a parte “Ti amo”, che mi hanno chiesto di copiare, le altre musiche del demo sono mie!). E’ stato quindi molto facile per me adattare “Le Horla”. Per quel che riguarda il bilanciamento fra la musica e il testo non ci ho nemmeno fatto attenzione, sono andato ad intuito. E’ stato piuttosto il bilanciare i passaggi più oscuri con quelli più leggeri che ha impegnato di più la mia attenzione per non finire con un album totalmente deprimente da un capo all’altro!

Come mai hai deciso di comporre per la prima volta nella storia di The Box un intero album in francese anziché in inglese?

Molto semplicemente perché Maupassant è un autore francese. Se avessi scelto Dante al suo posto lo avrei fatto in italiano!

Avete già delle idee per il nuovo album? Potete darci delle anticipazioni?

Assolutamente: il prossimo progetto è un adattamento del “Piccolo Principe” di St Exupery. Anche questo 100% Prog ma con due differenze: 1) l’album uscirà in due versioni: una tutta francese e un’altra tutta inglese. 2) Ne verranno estratti tre singoli adattati da alcune canzoni dell’album e destinati alle radio in formato pop. In questo modo giocheremo su due tabelloni e l’uno non esclude l’altro.

Quali sono i tuoi ricordi più belli dell’Italia?

Da dove cominciare? Ho passato i più bei momenti della mia vita in Italia tra i 6 ed i 17 anni, quando andavamo a passare le vacanze a Gaeta, fra Roma e Napoli, in riva al mare. “Super 61” (L’ultima traccia di “Le Horla” ndr) racconta proprio che avevo portato come lettura “Le Horla” sull’aereo che mi portava in Italia, un DC8 serie Super 61 della Canadian Pacific. Avevo 13 anni e viaggiavo da solo per la prima volta e andavo a stare tre mesi da uno zio a Terracina. Che magnifico paese che avete!!


Bookmark and Share

Italian
English