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SATO Jessica Attene
 

I SATO sono per noi una specie di leggenda, i loro due album, pubblicati nel 1986 e nel 1987, intitolati rispettivamente “Efsane” e “Pereday dobro po krugu” non solo sono delle rarità introvabili, anche a prezzi elevati, ma sono anche unici dal punto di vista musicale, dal momento che fondono il jazz rock con elementi etnici tipici dell’Asia Centrale. Abbiamo avuto la fortuna di parlare con Leonid Atabekov, fondatore e leader del gruppo, che ci ha fatto un resoconto dettagliato sulla storia dei SATO ma anche della valle di Fergana, coacervo di popoli e culture diverse, teatro di jazz festival importanti in epoca sovietica e territorio dal fascino antico. Leonid ci ha regalato i suoi ricordi e ci ha fornito interessanti cronache degli avvenimenti musicali del passato aprendoci una importante strada di accesso per conoscere meglio un ambito interessante e di difficile esplorazione per noi occidentali, quello del jazz rock centro asiatico, genere per molti aspetti affine al nostro Progressive Rock. L’articolo è lungo e un po’ impegnativo ma vi assicuro che è una vera e propria miniera di informazioni che spero apprezzerete. Mettetevi comodi e buona lettura.

So che i Sato hanno iniziato a suonare nel 1978 in un’epoca in cui la censura in Unione Sovietica non permetteva di esprimersi in modo libero e allo stesso tempo era vietato ascoltare le produzioni occidentali. Come ti sei avvicinato alla musica e quali erano i tuoi maggiori punti di riferimento?

La censura in Unione Sovietica era molto feroce ma noi musicisti ascoltavamo jazz dalla radio e avevamo a disposizione una grande collezione di registrazioni di gruppi ed ensemble occidentali famosi. Noi ascoltavamo spesso Blood Sweat and Tears, Earth Wind and Fire, Chick Corea, Weather Report, Stevie Wonder, Rick Wakeman, Beatles e molti altri musicisti grandi e innovativi di Jazz, Jazz Rock e Fusion. Oltre a questi gruppi ascoltavo musica classica e, naturalmente, la musica tradizionale dell’Asia. A quei tempi la Valle di Fergana era un conglomerato culturale di molte nazionalità che lì vivevano. Questi erano uzbeki, popolazioni di ceppo uzbeco e russi evacuati durante la guerra, tatari di Crimea deportati da Stalin, coreani, armeni, ebrei, turchi mescheti, greci e gruppi etnici dei territori adiacenti all’Uzbekistan: tagichi, chirghisi e kazaki. E noi all’epoca abbiamo capito che potevamo sopravvivere solo insieme, coesistendo e aiutandoci gli uni con gli altri. Non avevamo altre strade. Per guadagnarsi da vivere i musicisti non suonavano solo ai concerti ma anche ai matrimoni, feste varie e ad altri eventi. Dal momento che tutte le manifestazioni erano multinazionali, suonando in occasione di feste uzbeche, tatare, armene e altre, abbiamo assorbito naturalmente le tradizioni musicali di questi popoli.

Come nascono i Sato e come ti sei incontrato con gli altri membri della band?

Il gruppo Jazz SATO si formò a Fergana nel 1974. La prima formazione era completamente diversa da quella che ha preso parte alla registrazione degli album. Nella prima versione del gruppo io suonavo il sax e il flauto. Nel 1977 fu fondato a Fergana il jazz club, chiamato col nome del nostro gruppo, dal momento che la principale forza trainante nel campo del jazz era proprio la nostra band. Sempre nel 1977, con il sostegno delle autorità, il Komsomol e l’associazione dei lavoratori (i segretari del Komsomol Anatoly Zmeevski e Gennady Bessonov, entrambi appassionati di jazz, sono stati di grandissimo aiuto), il jazz club SATO insieme ai moscoviti di Tashkent, riuscirono ad organizzare a Fergana il primo festival jazz pansovietico di Fergana. Si trattava di un grosso evento, non solo per Fergana, ma anche per tutto l’Uzbekistan e per tutti i musicisti dell’Unione. Per il jazz club il festival fu una grande conquista che riuscimmo a realizzare. Inoltre questo festival fu il primo in Uzbekistan dopo tanto tempo. Il primo festival si tenne a Tashkent nel 1968. Così Fergana si poteva definire la capitale del jazz. Esibendosi al primo festival i SATO suonarono arrangiamenti jazz tradizionali e di melodie popolari, ma, dal momento che il gruppo non aveva esperienza di festival internazionali, la nostra performance non ottenne tanto successo, sebbene avesse ricevuto consensi dalla giuria e dai musicisti. Dopo la prima esperienza a un festival jazz internazionale, mi sono convinto ancora di più che non dovevamo suonare jazz tradizionale, per noi era necessario utilizzare al massimo quella ricchezza, quella eredità musicale che si trova appena sotto i nostri piedi e che viviamo e ascoltiamo ogni giorno. E allora ho iniziato a cercare musicisti che fossero in grado di apportare alla musica il suo nuovo look.
Il secondo jazz festival pansovietico di Fergana si tenne nel Settembre del 1978 ed avevamo già un programma completamente diverso costruito interamente su melodie folk. Tutti i musicisti della band avevano esperienza nel campo del jazz tradizionale ed erano dediti al jazz rock e al soul e questo non poteva non lasciare la sua impronta nel nostro repertorio. Alle tastiere c’era allora con noi un mio grande amico, Adyur Yakubov di Tashkent, e la sua composizione “Vostochnie kartinki” impressionò molto il pubblico e la giuria. Era chiaro che ci stavamo muovendo nella giusta direzione. Ecco come Leonid Pereversev, un critico molto bravo, uno dei migliori del tempo, ha descritto l’evento:

Settembre, Fergana. E’ durato quattro giorni il più grande festival jazz dell’Asia Centrale. I ragazzi di Yaroslavl riuniti nello “studio del Jazz tradizionale” con l’appassionato di Dixieland Vladimir Sizov, hanno suonato come veri maestri e hanno conquistato l’affetto del pubblico. Il poco noto pianista di Kursk Leonid Vintskevich ha sfoggiato una tecnica magnifica con composizioni originali su temi russi. La moscovita Valentina Ponomareva e Valentina Degtyareva di Leningrado hanno cantato un brillante jazz. Ma l’essenziale è che il Jazz dell’Asia Centrale ha dato prova di originalità e maturità. Un grande interesse nel pubblico lo hanno suscitato un gruppo di Fergana chiamato “Raduga”, diretto da B. Smetana, la big band di V. Firsov di Shymkent e il quartetto “Express” di L. Petrosov proveniente da Tashkent. Le performance di questi e di altri gruppi dell’Asia Centrale hanno segnato, senza esagerazioni, la nascita del “jazz orientale”. Ancora più vicino alla soluzione del problema della sintesi fra jazz e musica folk ci sono andati il gruppo di Fergana “SATO”, diretto da Leonid Atabekov, e il quintetto di solisti della radio uzbeka che hanno interpretato “Vostochnuyu siuity”. Hanno attirato su di sé l’attenzione le sperimentazioni dell’ensemble “Boomerang” di Tahir Ibragimov, provenienti da Alma-Ata, che hanno esibito canzoni ricche di intonazioni folk uigure.
(A. Medvedev, O. Medvedev. “Jazz sovietico. Problemi. Eventi. Maestri”. Casa editrice “Sovetskiy kompositor”, 1987).


Dopo i festival del 1977 e del 1978 ci siamo fatti molti amici. Siamo stati invitati ad eventi musicali simili in diverse città del paese. Abbiamo preso parte a una conferenza sul jazz presso la Casa della conoscenza di Tashkent e a vari festival e manifestazioni jazz in Unione Sovietica. Alla fine del 1978, per problemi di salute, sono stato costretto a cambiare strumento. Non potevo più suonare strumenti a fiato ed iniziai a suonare il basso e di conseguenza ho dovuto modificare le composizioni del gruppo. All’inizio del 1979 il gruppo SATO già aveva a disposizione quelle stesse composizioni che sono entrate nella registrazione dell’album. Si aggiunse al gruppo un ottimo tastierista, laureato al conservatorio di Tashkent nella classe di violoncello, Riza Bekirov. Riza lavorava come insegnante nella sua specialità alla scuola di musica di Fergana ma le tastiere erano il suo hobby e amava molto la musica degli Emerson Lake & Palmer e la loro influenza si sente fortemente nelle sue improvvisazioni. Narket Ramazanov, trasferitosi da Tashkent a Fergana, iniziò a suonare il flauto e il sax, un ottimo musicista molto rispettato, grande maestro nella sua arte, perfetta integrazione al gruppo con i suoi strumenti.
Nel 1977 mi fu dato l’incarico di supervisionare l’ensemble giovanile “Yuzhane” e di prepararli per i concorsi. Lì ho conosciuto Enver Izmailov, che era appena tornato dal servizio militare e suonava la chitarra in questo gruppo. Ho notato la sua grande capacità di lavorare, il talento e il suo interesse per la musica jazz. E dopo una performance di successo al concorso del 1978 lo ho invitato a unirsi al gruppo. Abbiamo iniziato a lavorare insieme e abbiamo lavorato molto, provando tutti i giorni. Diplomato alla scuola di musica in fagotto, Enver ha fatto pratica seriamente con la chitarra, raggiungendo con questo strumento livelli davvero alti. Per lui la chitarra non era una semplice sei corde spagnola. Nelle sue mani la chitarra diventava una specie di ambasciatore di molti altri strumenti. Enver ha inventato in maniera autonoma una tecnica di tapping, ha permesso alle nostre produzioni di distinguersi molto ed è diventato un solista in grado di suonare composizioni fantasticamente complesse.
Abbiamo cercato a lungo un batterista adatto per la nostra musica, il ritmo aveva un’importanza di rilievo. Dopo aver tanto cercato e provato diversi musicisti, nel 1985 decidemmo di appoggiare la candidatura di mio figlio minore, Andrei, che aveva tredici anni e che già suonava con un gruppo ai matrimoni e ai concerti. Alle percussioni invitai un musicista davvero forte, David Matatov, che veniva alle prove da Andizhan, una città a 90 chilometri da Fergana.

So che avete registrato il vostro primo album negli studi Melodiya di Tashkent. Cosa ricordi di quella esperienza?

Durante le registrazioni del nostro primo album “Efsane”, la filiale dello studio di registrazione Melodiya di Tashkent non era ancora equipaggiata per la registrazione multi traccia su canali multipli che permette di sovraincidere e sovrapporre tracce separate e frammenti di basi musicali. Per questo abbiamo suonato come sul palco, con la sola differenza che i sintetizzatori e la chitarra elettrica si trovavano in sala e la batteria, le percussioni e gli strumenti a fiato in uno studio acustico. Non c’era possibilità di commettere errori e noi non sbagliavamo. Abbiamo registrato l’intero album tutto d’un fiato in soli tre cambi di studio, cioè in 18 ore.

Come avete lavorato per arrivare alla pubblicazione dell’album di esordio “Efsane”? Avete materiale inedito risalente a quel periodo?

Abbiamo fatto molta pratica, soprattutto a casa mia e all’interno della Casa della Cultura №1 dove c’era il Jazz Club di Fergana. Accendevo un registratore a bassa velocità e tutta la prova veniva catturata dall’inizio alla fine, con tutte le varianti e i commenti. Usavamo un solo microfono e la qualità non era molto buona ma non ci lasciavamo scappare nessuna trovata e nessuna nuova idea. Terminata la prova la riascoltavamo e facevamo i nostri commenti. Questo è uno dei fattori che ha contribuito alla rapida crescita del nostro gruppo. Alcune di quelle registrazioni sono sopravvissute ma la loro qualità sfortunatamente, dopo più di venticinque anni, lascia molto a desiderare. Ci sono state canzoni che non abbiamo avuto il tempo di finire ed altre mai pubblicate. Ad ogni modo, nel 1989, epoca in cui il gruppo si sciolse, avremmo potuto realizzare un altro album ma questo sfortunatamente non avvenne.

Con i Sato sei riuscito a creare musica molto moderna, avventurosa e originale, quali erano i vostri punti di riferimento? In particolare so che avete recuperato il folklore Uzbeko e dei Tatari della Crimea, come è nata l’idea di mescolare il jazz al folk?

Negli anni 1966-69, essendo studente del politecnico di Tashkent, dirigevo la big-band dell’istituto. Nel repertorio della band c’erano i lavori eseguiti con l’orchestra da Duke Ellington, Count Basie, Quincy Jones ed altri. Così, interpretando i loro arrangiamenti per orchestra, sono entrato in confidenza con lo swing ed il mainstream. La band era a un livello abbastanza alto che, attratti dal jazz, vennero a suonarvi studenti delle scuole di musica e del conservatorio. Lavorando con la band ho imparato a organizzare il lavoro e a lavorare con le persone. Ritenendo che le mie conoscenze non fossero sufficienti, ho frequentato un corso di armonia al conservatorio di Tashkent. Lì, conoscendo studenti e insegnanti di varie facoltà, ho puntato la mia attenzione sull’ampiezza e sulla schiettezza delle melodie russe, sulla bellezza delle melodie e delle costruzioni ritmiche della musica etnica dell’Est. Dopo aver ascoltato la Mahavishnu Orchestra e l’inarrivabile Ravi Shankar, mi sono impegnato a combinare le eccellenti armonie del jazz con melodie e ritmi etnici deliziosi e speziati. In questo sono stato fortunato: il destino mi ha fatto trovare grandi musicisti ed i SATO con i quali ho raggiunto ottimi risultati.

So che i Tatari della Crimea non erano ben visti in Unione Sovietica. Non avete avuto paura, utilizzando la loro musica tradizionale, che la vostra musica potesse essere vietata o comunque di eventuali ritorsioni?

Per quanto riguarda i tatari della Crimea, il governo sovietico aveva una politica di discriminazione. Essi non erano ufficialmente autorizzati ad entrare e soggiornare in Crimea. E’ stato un popolo che, privato della sua patria storica, ha sorprendentemente conservato con cura la sua cultura, anche nei periodi più difficili. La musica creata da noi sulla base del folk dei tatari di Crimea era al di fuori della politica anche se ci sono stati molti tentativi di utilizzarla per tali fini. Probabilmente, soltanto perché i SATO erano un gruppo strumentale e non hanno mai avuto testi, risultava difficile apporvi delle etichette politiche. I SATO all’epoca erano molto popolari in Asia Centrale e se avessimo fatto pressione sulla politica ci saremmo dovuti dare alla clandestinità. Se così fosse stato la popolarità del gruppo sarebbe cresciuta di molto, come è successo a Vysotsky e ai Mashina Vremeni, dal momento che i cambiamenti nella vita sociale erano già maturi e alla gente piaceva innanzitutto ciò che il potere vietava.

Ho letto che Fergana era considerata una specie di oasi culturale che diede vita a numerose forme artistiche, non solo musicali, cosa aveva di particolare questa scena, ce ne vuoi parlare?

Per parlare della valle di Fergana mi piacerebbe far riferimento alla storia. È impossibile negare il ruolo della valle di Fergana nella storia e nella cultura dell'Asia Centrale. E’ noto che si hanno notizie dello stato del Davan, situato in un’oasi, già nelle prime cronache cinesi. Da queste emerge chiaramente che si trattava di un paese ricco ed economicamente forte, con agricoltura, allevamento e artigianato molto sviluppati. La città principale della valle di Fergana è rimasta a lungo Kokand. La prima testimonianza scritta della città di Khavokand (il suo antico nome n.d.r.) trovata negli annali del decimo secolo era di una città situata sulla Via della Seta e famosa per il suo artigianato. Nel XVIII-XIX secolo fu la capitale del potente Khanato di Kokand ed espanse il suo dominio a gran parte del territorio dell’attuale Uzbekistan ed è stato anche un importante centro religioso. Nel periodo di massimo splendore la città aveva tremilacinquecento moschee e madrasse. Purtroppo la maggior parte di queste sono state distrutte dal tempo, dai terremoti e dalle autorità sovietiche.
A cinquanta chilometri da Fergana c’è la cittadina di Rishtan che fin dai tempi antichi era famosa per le sue ceramiche. Da oltre ottocento anni i maestri si tramandano di generazione in generazione i segreti della lavorazione della varietà locale di argilla rossa e degli smalti ottenuti da pigmenti minerali naturali e dalle piante di cenere di montagna. Grandi piatti (lyagany), scodelle (shokosa), recipienti per il latte, decorati con ornamenti di smalto “ishkor” di un indimenticabile colore turchese e blu oltremare hanno portato fama ai maestri di Rishtan in numerose mostre internazionali e adornano le esposizioni in molti musei e in collezioni private in tutto il mondo.Evidentemente, una tale abbondanza di manufatti, tradizioni e la premura verso di esse ha generato la ricchezza dei talenti nella valle di Fergana, molti dei quali hanno ottenuto nel loro lavoro ottimi risultati nel mondo o la fama all’interno dell’Unione Sovietica.

Anche tra i viventi ci sono miei connazionali che hanno un gran talento per varie forme di arte. Mi piacerebbe fare il nome di Sergey Alibekov, artista di fama mondiale, regista e animatore (www.alibekov.net). Con Sergey siamo amici e adesso vive e lavora a Mosca.
Per non parlare di Churlu Mamut, laureato al conservatorio di Novosibirsk, che, tornato a Fergana è stato riconosciuto a livello internazionale come maestro di tessitura (macramè), di ceramica e pittore:
http://news.allcrimea.net/news/2007/1/26/1169794874/
http://art-blog.uz/archives/8751
http://what.in.ua/page/zhizn-i-tvorchestvo-mamut-churlu
Come non ricordare il grande ceramista Rishtan Sharofiddin Yusupov, ora un accademico, membro dell’Accademia delle Arti dell’Uzbekistan?
http://www.fergananews.com/town/masters.html
http://www.orientexpo.ru/?p=467

Dal punto di vista musicale in cosa si distingueva il jazz rock di Fergana dal jazz rock di altre aree?

Non sono pratico circa l’analisi sulle differenze fra la scena jazz-rock della valle di Fergana e quella delle altre regioni ma posso parlare del nostro gruppo. Secondo me la melodia e il ritmo, le due chiavi della tradizione, rendono riconoscibile la musica e fanno sentire il suo effetto sull’ascoltatore. E questo è diventato il mio modo di lavorare con la musica popolare: non cambiare mai una sola nota della melodia presa in esame, non adattarla per una bella melodia e certamente non cambiare le sue strutture ritmiche, allora la melodia non si allontana dalle sue radici della tradizione e fiorisce con nuovi colori mantenendo la sua energia. Questa posizione contraddistingue il nostro gruppo dagli altri.

Cosa pensi invece degli artisti sovietici ufficiali più alla moda, come Pesniary o Alla Pugacheva? E cosa ne pensavi invece dei gruppi clandestini non ufficiali? Che musica ti piace ascoltare?

Alla Pugacheva, oserei dire, è un fenomeno esclusivo! Il suo ruolo nel plasmare la musica sovietica e la moderna musica pop russa è indiscusso e non solo perché lei è una grande cantante e attrice. Ricordate il vecchio aneddoto: “Chi è Breznev?” Risposta: “Un piccolo leader politico ai tempi di Alla Pugacheva”? Questo è assolutamente vero! Ma Pugacheva, come qualsiasi atro grande talento, per definizione, non si lascia intimidire dalla competizione con gli altri talenti. Ha portato in scena una gran massa di giovani promesse, all’epoca sconosciute a tutti, le quali, senza il suo supporto, forse, non avrebbero mai sfondato. E continua a farlo! Fin dalla metà degli anni Settanta il fenomeno Pugacheva non ha avuto eguali.
Sul gruppo Yalla posso dire che sono dei vecchi amici, la loro creatività mi ha sempre eccitato. Hanno trovato il loro modo di combinare elementi folk e ritmi pop e sono stati i primi in questa ricerca. Il loro approccio alla scena sovietica non è stato facile ma gli Yalla hanno superato le difficoltà e sopravvivono tutt’ora, cosa che conferma la bontà delle loro scelte. L’artista popolare uzbeko Farukh Zakirov una volta cantò nella nostra band come studente di una scuola di musica.
A proposito dei "Pesnyary" posso dire che amo questa band, amo le loro voci incredibili, li adoro. Sui gruppi underground non ufficiali non mi sento di dire nulla, semplicemente non ho avuto tempo di ascoltarli. Riguardo quello che mi piace ascoltare direi Beatles o Mashina Vremeni con una preferenza per i Beatles.

I Sato si sono sciolti dopo appena due album, come mai vi siete separati e come è continuata la carriera dei musicisti dopo lo scioglimento?

Nell’aprile del 1988 con i SATO abbiamo avuto un grosso successo al festival internazionale “Tudengi Jazz” a Tallinn e abbiamo ricevuto molti inviti per esibirci al di fuori dell’Unione Sovietica. Ma nel 1989, al momento del rilascio del visto per la nostra esibizione in Finlandia, ci furono nella regione di Fergana e in Uzbekistan i pogrom contro i turchi mescheti. Questi furono avvenimenti terribili, per non parlare del fatto che, durante gli eventi del 1989-90, furono colpite altre minoranze etniche e in particolare i tatari della Crimea. Poi nel 1989, ai tempi della perestroika, il governo di Gorbaciov ha autorizzato il ritorno dei tatari di Crimea nella loro patria. Dal momento che, dei sei membri del nostro gruppo, tre erano tatari, questi naturalmente si precipitarono a casa. Le loro famiglie hanno passato un periodo difficile di insediamento in una terra nuova, hanno costruito case e si sono dedicate all’agricoltura. Non potevamo continuare le nostre attività a distanza. Enver Izmailov ottenne un visto per l’Ucraina e suonò come solista in Finlandia, Germania e Turchia. Enver è un musicista di grande talento e, usando tecniche da lui stesso ideate, come il tapping, nello stesso periodo di Stanley Jordan ma dalla parte opposta dell’oceano, già allora iniziò la sua ascesa nell’Olimpo della musica.

Hai più collaborato con i tuoi compagni dei Sato?

Attualmente ho mantenuto stretti rapporti con Enver Izmailov, Narketom Ramazanov, che ha registrato il flauto in due pezzi del mio nuovo album strumentale, Riza Bekirov e ovviamente con mio figlio Andrei. E’ un bravo percussionista e ha registrato numerose tracce per la mia musica. Per far rivivere i SATO e lavorare nuovamente assieme abbiamo bisogno di nuove idee e infine di tornare ancora insieme!

Suonate ancora in questo momento? Che musica preferite?

Ora sono impegnato a comporre e scrivo musica di vario genere. La mia musica compare in molti audiolibri:
http://audioboooks.ru/katalog/view/1300.html
http://www.gigagame.ru/id7003.html
http://www.akniga.ru/Audiobook71339.html
http://poluchat.ru/gl/127966
http://www.bulgakov.ru/labirint/zarubezhnaja_klassicheskaja_literatura/kandid_ili_optimizm_2cdmp3/
In spettacoli teatrali:
http://www.mtvn.ru/show.html?id=4903
http://www.m-molchanova.ru/rus/photos.php
Nei film.
La mia musica, scritta per l’onorato artista russo Georgy Musheev risuona ogni anno in occasione della coppa del mondo di ballo latino-americano.
http://www.youtube.com/watch?v=8oqS-xUNTd0&feature=channel&list=UL
http://www.youtube.com/watch?v=8lLjBZlMREs&feature=channel&list=UL
http://www.youtube.com/watch?v=WkDNfOoDcpk&feature=channel&list=UL
Enver Izmailov - artista del popolo dell'Ucraina, famoso chitarrista, vincitore di numerosi prestigiosi concorsi di chitarra ora vive a Simferopol, tiene numerosi concerti e scrive la sua musica.
Narket Ramazanov e Ryza Bekirov vivono anch’essi a Simferopol, hanno insegnato presso l'Istituto d'Arte, e hanno suonato in varie band.
David Matatov si è trasferito definitivamente in Israele.
Andrei Atabekov, musicista noto in Russia (batterista e percussionista) vive e lavora a Mosca con gruppi locali conosciuti ma scrive anche musica.

Hai ristampato su CD il primo album, anche se al di fuori della Russia è molto difficile da trovare. Hai pensato a una ristampa anche del secondo?

Il primo album dei SATO, “Efsane” è stato realizzato nel 1986 e nel 1987 abbiamo registrato il nostro secondo LP intitolato “Pereday dobro po krugu”. Nel 2006, per il ventennale dell’esordio, abbiamo deciso di ristamparlo su CD. Certamente ho in programma di ristampare anche il secondo album e forse una raccolta dei migliori pezzi dei due LP.

I SATO hanno preso parte a diverse edizioni del festival Jazz di Fergana, vuoi parlarci meglio di quelle esperienze?

Durante la loro esistenza i SATO, con diverse formazioni, hanno preso parte a tre edizioni del jazz festival internazionale di Fergana come uno degli organizzatori e membro del paese ospitante. Vorrei riportare di seguito, per maggiori informazioni, degli estratti raccolti da Sergei Gilev, presidente del jazz club di Tashkent sul jazz festival di Fergana.

Fergana ha presentato quattro gruppi: i SATO di L. Atabekov, il quintetto di Matkowski-Atabekov, l’ensemble di G. Freidkin e il gruppo Raduga di B. Smetana. In confronto ai musicisti internazionali di classe quelli di Fergana apparivano più modesti. I. Igosh scrive: “Noi non abbiamo una ricca tradizione nel genere, i gruppi si sono formati di recente, ed il loro repertorio è stato messo insieme nell’ordine di giorni. Tuttavia gli arrangiamenti degli autori di Fergana L. Atabekov e N. Dusko sono stati premiati dalla giuria.”
In concorso c’erano solo i gruppi uzbeki: il primo posto è andato al quintetto di Aleshin, il secondo a pari merito al quartetto di V. Teregulov e ai SATO di Atabekov e il terzo ai Raduga di Smetana. In conclusione della serata si sono tenute della jam session in cui tutti i musicisti suonavano insieme. Quello che è accaduto dopo è stato assolutamente strabiliante! Una cascata di suoni, solisti in costante evoluzione, uno meglio dell’altro, l’impulso creativo e la gioia dell’inventiva collettiva! Tutto ciò ha così coinvolto il pubblico che persino il presidente di giuria A. Batashev si è precipitato sul palco per prendere parte all’azione musicale come cantante. I musicisti volevano suonare e suonare per prolungare questo spirito gioioso, per estendere questa splendida vacanza musicale. Il festival di Fergana si è concluso lasciandosi alle spalle la sua solennità, la sua gioia e le sue difficoltà.
Il musicologo G. Bakhchiev ha detto: “E’ stato un vero piacere, con la gioia di nuove scoperte, con gruppi interessanti, con una varietà di tecniche creative e maestria. Naturalmente non tutti i musicisti hanno suonato in modo uniforme. Assieme a gruppi altamente professionali ne abbiamo incontrati altri che hanno mosso i loro primi passi nella grande musica. Ma questo è comprensibile e incontri simili forniscono l’opportunità ai partecipanti di fare esperienza con i migliori musicisti e imparare da loro.”
Poi G. Bakhchiev continua: “Speriamo che il festival di Fergana diventi una tradizione, che apra nuovi orizzonti per lo sviluppo del genere e faccia brillare nuovi nomi nel firmamento del jazz e dal palcoscenico di molte città risuoneranno parole piene d’orgoglio: “ecco a voi il vincitore del festival di Fergana!” Questo sarebbe così meraviglioso!”

Quelle parole si sono rivelate profetiche e l’anno successivo si tenne il secondo festival di Fergana. La giuria era presieduta nuovamente da A. N. Batashev. Assieme a lui hanno valutato il lavoro dei musicisti eminenti specialisti come Pereversev, il più grande critico jazz dell’Unione Sovietica, il musicologo di Leningrado E. Barban, Y. Vermenich e i rappresentati dei jazz club di molte città del paese. Fergana ha dato nuovamente il benvenuto al trombettista Kolesnikov, al virtuoso della batteria T. Ibragimov e ai grandi pianisti I. Dmitriev e V. Polanski. Dalla lontana Yaroslavl è giunto il Dixieland sotto la direzione di V. Sizov. Meravigliose le voci jazz di V. Ponomareva (Mosca) e V. Degtyarev (Leningrado). La Ponomareva ha conquistato Fergana con il suo virtuoso scat e V. Degtyarev ha letteralmente stupito tutti con il temperamento, la forza e la bellezza della sua voce. Ornamento della festa sono stati gli ospiti di Leningrado del quartetto di A. Vapirov. Con le composizioni “Skazanye o Albene” e “Dramaticheskaya poema” Vapirov si è dimostrato un grande esecutore e un grande direttore. Il pianista del gruppo S. Kurehin spesso si esibisce con un programma solista e crea una varietà di ensemble per ogni singola esibizione. Egli è uno dei maggiori rappresentanti del free-jazz.
Fra i partecipanti al festival c’era il quartetto TMK di B. Rubtsov proveniente da Kuibyshev, il quartetto di E. Surmenov da Saratov e i Nonet di V. Budarin da Novosibirsk che aprirono il festival. Il festival di Fergana è stato un ottimo trampolino di lancio per il pianista Leonid Vintskevich di Kursk. E’ un musicista eccellente con un’ottima tecnica e un acuto senso per lo stile. Le sue composizioni basate sul folklore russo hanno fatto sistematicamente grande presa sul pubblico.


Riassumendo i risultati del primo e del secondo festival di Fergana il musicologo LB Pereverzev scrive: “Il fatto più evidente e felice dello scorso anno è stato un forte miglioramento del livello di professionalità dei musicisti jazz di Fergana, Shymkent e Tashkent. Prima di tutto bisogna citare i Raduga di B. Smetana, la big-band di V. Firsov e il quartetto di L. Petrosov. Poco tempo fa si consideravano ancora dei modesti debuttanti. Ora si sono comportati come rivali a tutti gli effetti dei jazzisti provenienti dalla Repubblica Federale Russa, Ucraina e Paesi Baltici. Ma forse è ancora più importante il fatto che le prestazioni di questi gruppi hanno definito essenzialmente un nuovo programma di ulteriore sviluppo per loro. Questo programma non è indicato esplicitamente e in particolare la pratica di composizione ed esecuzione può essere così definita: trovare un linguaggio originale e una nuova immaginazione artistica combinando e unendo insieme i principi del jazz, divenuti internazionali, con i modi e le forme espressive della musica nazionale uzbeka ma attraverso essa anche a tutta la cultura musicale dell’Asia centrale. I più vicini a questo obiettivo potrebbero essere i SATO diretti da Atabekov (Fergana) con la composizione di A. Yakubov “Vostochnye novelly” e il quintetto di solisti del jazz club di Tashkent con “Vostochniy Syuite”.”(Ferganskaya Pravda. 29 Settembre 1978. N. 189. L.B. Pereverzev).

La terza edizione del jazz festival di Fergana si è tenuta solo sei anni più tardi. Ci sono diversi modi per spiegare una così grande distanza fra i festival. Il trasferimento a Mosca del più importante giovane attivista di Fergana, G. Bessonov, è stato importante e questa potrebbe essere la ragione principale. Cosa potrebbe fare un singolo jazz club se le sue attività non sono supportate dagli organi centrali? Così la terza edizione del festival si tenne a Fergana il 20 Maggio del 1984. Era bello che il numero dei partecipanti provenienti dall’Asia Centrale fosse notevolmente aumentato. C’erano musicisti provenienti da Navoi, Bukhara, Chkalov e Osh.
Da Fergana provenivano due gruppi: i Guldast di A. Yakubov e la jazz rock band Asiya di G. Kaprielov. Fergana era rappresentata dai SATO. In questo momento sono un gruppo altamente professionale in grado di rappresentare il club in qualsiasi forum jazz. Nel gruppo suonano grandi musicisti: Narket Ramazanov (flauto e sax), fluente con i suoi metodi nazionali di suonare, Ryza Bekirov, improvvisatore di talento (tastiere), David Matatov, che fa un eccellente lavoro con lo stile e il ritmo delle canzoni popolari, Andrei Atabekov, batterista capace e molto giovane, il direttore del gruppo Leonid Atabekov (flauto, sax, basso e arrangiamenti) e infine Enver Izmailov, chitarrista eccezionale che possiede una tecnica unica di suonare lo strumento che gli permette di ottenere il suono di due o tre strumenti senza usare un overlay. Enver Izmailov è ora ampiamente noto e riconosciuto come il più brillante al mondo nella chitarra jazz.
Gli ospiti erano: i Boomerang di Alma-Ata, il duo composto dal pianista Maslov e dal sassofonista Butman da Leningrado, il duo del pianista Piliroog e del sassofonista Rattasepp di Tallinn, la big-band di Firsov da Shymkent, la big-band di Plotnikov da Chelyabinsk, la big-band di Y. Zhdanov da Chkalov, il pianista di Kustanay Tzypin, il trombettista Kolesnikov da Donetsk. Tutti i musicisti, che lavorano nelle grandi orchestre, conoscono perfettamente la complessità e le difficoltà incontrate nel processo delle attività artistiche di questi gruppi. La mancanza di spartiti, di equipaggiamento, in particolare per quanto riguarda i gruppi periferici, sono un problema per impartire lezioni individuali. Ed è ancora più importante che, a dispetto di tutte queste difficoltà, ci siano dei gruppi che accrescono la loro creatività e deliziano gli appassionati di jazz con la loro arte. Come spesso accade in tutti i festival, i musicisti si sono uniti fra loro, possiamo dire in corso d’opera, e hanno formato vari piccoli team cooperando con successo.


Sono stati chiamati musicisti da ogni parte dell’Unione Sovietica con i quali siamo diventati amici e abbiamo iniziato delle collaborazioni, con molti dei quali manteniamo tutt’ora dei contatti.

In conclusione vorrei dire che per me è stata una gioia lavorare con questi grandi musicisti, grazie al loro talento straordinario, alla loro grande voglia e capacità di lavorare, è stato possibile realizzare i nostri progetti e fondere dal vivo la musica occidentale con quella orientale. E anche se attualmente siamo separati da grandi distanze, comunichiamo e condividiamo le nostre idee. Li amo profondamente e mi prostro davanti a loro



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