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BIG BIG TRAIN Jessica Attene & Alberto Nucci
 

Tornano a colpire i Big Big Train, gruppo che continua a inanellare album azzeccati e curati nei dettagli. “English Electric part I” è entrato di prepotenza, lo scorso anno, nelle preferenze degli ascoltatori ed ora ecco il suo seguito, una seconda parte che contiene ancora tanta musica accattivante e dalle cesellature quasi maniacali. Sono passati tre anni dalla nostra ultima chiacchierata con il leader Greg Spawton ed eccoci tornati a fare il punto della situazione con lui, in attesa di nuove avventure.

English Electric part I è stato accolto in maniera molto entusiastica sia dai fans che dalla critica, vi aspettavate tutto questo successo?

Quando stavamo scrivendo e registrando l’album ci sentivamo abbastanza sicuri di aver messo assieme un set di canzoni e performance potenti. Comunque, quando si è un fase di missaggio si tende ad essere meno oggettivi e parte dell’entusiasmo tende un po’ a smorzarsi in parte per il fatto che abbiamo ascoltato le canzoni centinaia di volte. Per questo c’è sempre un po’ d’ansia in vista della pubblicazione. Una delle preoccupazioni per la pubblicazione di entrambi le parti di “English Electric” era il gran numero di album di alta qualità che stava venendo fuori allo stesso tempo (Marillion e Steven Wilson, per esempio). Temevo che i nostri album potessero perdere in termini di pubblicità, copertura di stampa ecc. ma hanno retto davvero bene.

Descrivete “English Electric” come “una celebrazione della gente che lavora sopra e sotto terra e che ha plasmato siepi, campi, banchine, borghi e città”. Si tratta di una collana di racconti di gente più o meno comune, senza grandi eroi, come è nata questa idea?

Ho un background archeologico e una grande passione per la storia. Sono affascinato da come il paesaggio inglese si è formato attraverso i secoli attraverso le azioni degli uomini e le forze naturali. Dove la gente ha contribuito a forgiare il paesaggio, questo è avvenuto grazie a persone comuni. A volte ciò è avvenuto sotto il comando di potenti proprietari terrieri e altre volte grazie alla visione di ingegneri lungimiranti. Ma alla fine tutto si riduce a uomini e donne comuni, delle comunità del passato e del presente, che hanno lavorato la terra.

Avete tratto ispirazione da storie vere o alcune di queste canzoni hanno un carattere autobiografico?

Molte delle storie riguardano persone e luoghi reali e molte delle persone di cui abbiamo scritto sono membri delle nostre famiglie. Per esempio “Summoned by Bells” riguarda un’area delle Midlands dove sono cresciuti i miei genitori. C’è un personaggio specifico che è stato particolarmente importante e cioè lo zio Jack di David (“Uncle Jack”). Era un minatore di carbone che viveva in campagna ed era solito trascorrere il suo tempo libero camminando lungo le file di siepi che dividevano i campi con il suo cane Peg. E’ stato un personaggio in grado di legare le canzoni più oscure ambientate nel sottosuolo o in altri luoghi bui con quelle che hanno come sfondo la campagna inglese.

A quale di questi personaggi ti senti particolarmente legato?

Jack ha vissuto per gran parte del ventesimo secolo ed è morto nel Natale del 1999. Così come lega luce e oscurità, allo stesso modo si getta anche nel passato. Viveva non lontano da dove sono cresciuto. Mi sento molto legato a lui ed ha avuto una grossa influenza sulla vita di Dave. Un’altra storia a cui mi sento molto legata è quella fra padre e figlio in “Swan Hunter”. Si basa sulle memorie di un nostro amico la cui famiglia lavorava nei cantieri navali.

Si percepisce un legame molto forte ovviamente fra i due album ma anche con The Underfall Yard, sono presenti dei richiami anche a livello musicale, per esempio “Permanent Way” contiene un tema musicale che si poteva ascoltare anche in “The First Rebreather”, la prima traccia dell’altro album. Potete mostrarci meglio questi legami?

Si, ci sono diversi riferimenti musicali in entrambe le parti di ‘English Electric’. Sono sempre stato meticoloso con i Big Big Train nell’uso di motivi e temi musicali. Ho sempre pensato agli album come ad un’opera unitaria piuttosto che come una collezione di singole canzoni. Il tema che hai citato di “The First Rebreather” ricorre anche in “The Permanent Way” e in “Upton Heath”. Di fatto ci sono molti altri temi di “Rebreather” in “The Permanent Way”, così come temi presi da “Hedgerow” e da “Summoned By Bells”. Ci sono anche diversi altri esempi fra i vari album ma “The Permanent Way” è il pezzo in cui ho tentato di legare tutto assieme, inclusi i riferimenti ai testi di “The Underfall Yard” e dell’EP “Far Skies”.

Quando avete realizzato “English Electric” avevate chiaro fin da subito che si sarebbe trattato di un doppio album?

Si, è stato sempre inteso come un doppio album. All’inizio pensavamo di pubblicarlo come doppio CD ma la cosa mi ha messo dei dubbi. Ci sarebbe stata così tanta musica dentro e sarebbe stato molto laborioso da assimilare. Per questo penso che non avrebbe fatto al caso nostro. Molti album doppi sono stati accolti male dalla stampa alla loro uscita e poi rivalutati negli anni successivi (per sempio The Lamb Lies Down on Broadway) e volevo evitare questo. Così abbiamo optato per un doppio album ma separato in due diverse pubblicazioni.

Un nostro collaboratore ha descritto “English Electric part one” come un ipotetico album fatto da Genesis che, in una realtà alternativa, non avrebbero effettuato la virata commerciale di “Abacab”. Cosa ne pensate?

Mi ci ritrovo molto. Pochi ascoltatori hanno suggerito che noi abbiamo continuato dove i Genesis si sono interrotti cambiando direzione. I Genesis erano dei grandi songwriters ed è molto lusinghiero essere accostati a loro. Comunque penso che noi abbiamo il nostro sound. I Genesis non hanno mai usato una brass band o un quartetto d’archi.

Il nuovo album parte con un grande pezzo molto impegnativo e di lunga durata e poi però c’è una netta prevalenza di atmosfere più rilassate e a tratti pop, c’è stata una scelta precisa in tal senso?

L’ordine di ascolto dei due album ha scatenato un grosso dibattito all’interno della band. All’inizio si supponeva che la traccia più lunga, “East Coast Racer”, dovesse essere messa in apertura ma avevamo bisogno di un po’ di tempo in più per completarla e così è stata spostata sul secondo album. La tentazione con le tracce lunghe è quella di metterle alla fine degli album ma “East Coast Racer” attira subito l’attenzione su di sé così la volevamo subito all’inizio, qualunque album fosse. Riguardo alle altre canzoni, bene, molti pezzi di “Going for the One” o di “A Trick of the Tail” non sono delle classiche canzoni Prog ma quelli sono dei grandi esempi di album Prog.

I Big Big Train sono essenzialmente una realtà da studio. Non vi manca la dimensione live?

C’è solo un certo numero di ore in un giorno. Molti di noi hanno giovani famiglie e la musica rappresenta solo una parte dei nostri introiti così abbiamo dovuto prendere delle decisioni circa le nostre priorità. Dal momento che sentiamo di essere degli ottimi songwriters, abbiamo pensato che il modo migliore per far in modo che la nostra musica potesse essere ascoltata e perché il nostro pubblico potesse ampliarsi fosse quello di scrivere e registrare. Questa è certamente una strategia che ha funzionato per noi e siamo arrivati al punto di avere molte buone offerte per tenere concerti e la gente vuole vederci dal vivo. Stiamo ancora scrivendo e registrando ma stiamo anche discutendo circa l’opportunità di tenere qualche spettacolo e di realizzare un DVD.

La vostra line-up si è gradualmente ampliata e l’ultimo arrivato è Danny Manners, cosa ha portato di nuovo al gruppo?

Negli ultimi anni siamo stati in grado di mettere assieme quella che è secondo me una line-up davvero forte per i Big Big Train e una potenziata per il lavoro dal vivo. Sia Dave Gregory che Danny erano amici stretti di David Longdon così abbiamo iniziato a lavorare con entrambi sulla scia di quella amicizia. Danny è stato inizialmente coinvolto per suonare il contrabbasso in un paio di pezzi. Sapevamo che era anche un pianista così gli abbiamo chiesto di arrangiare e suonare alcune parti di piano. E’ venuto da noi con idee musicali ed esecuzioni così potenti che è diventato presto un elemento importante dell’album. Abbiamo fatto bei progressi assieme così gli abbiamo chiesto di unirsi a noi. Danny ha una formazione jazz così porta con sé un approccio leggermente diverso. Comunque ha esordito di recente con un paio di assoli di tastiere e gli vengono naturalmente. Mi piacciono gli assoli di tastiere con le melodie, che non siano semplicemente un veloce andare in su e giù per la scale musicali e Danny scrive parti che sono piene di melodia.

Una cosa che mi piace molto è la resa sonora dei vostri album che sembrano davvero curati nei dettagli, i suoni di tutti gli strumenti si percepiscono distintamente e perfino il package dei dischi è davvero molto curato. In un mondo che è sempre più in balia della musica digitale e delle produzioni a basso budget proponete invece qualcosa di grande qualità. E’ importante per voi la scelta dei dettagli?

Abbiamo speso molto tempo e una considerevole somma di denaro per registrare e produrre album che hanno elevati standard tecnici e che offrono grafica e foto che fanno colpo. Tutti noi ricordiamo quello che vuol dire avere fra le proprie mani un bel disco in vinile negli anni Settanta e facciamo del nostro meglio per creare CD che possano trasmettere un piacere simile. Questo ci costa molto lavoro dal momento che gestiamo una nostra etichetta discografica e un nostro negozio e ancora troviamo gente che compra CD in percentuale più alta rispetto ai download (che sono molto più semplici da distribuire) ma siamo decisi a mantenere questi grandi valori di produzione. E’ abbastanza divertente il fatto che stiamo lavorando con una etichetta chiamata Plane Groovy che produce LP in vinile con ottimi standard, così abbiamo ora dei vinili di alta qualità di “English Electric”. E il ritorno al futuro.

Su che strada pensate di continuare in futuro?

Il prossimo album in studio sarà un po’ diverso. Comunque ci troviamo in un momento felice e non faremo salti giganteschi in diverse direzioni così sarà un album riconoscibilmente dei Big Big Train. La sfida principale sarà quella di portare la musica in un ambiente live con la brass band e gli archi.

Ci avevate annunciato una ristampa di "Goodbye to the Age of Steam", è ancora in programma?

Sì, è uscito proprio ora. E’ stato remixato totalmente dal master tape. L’artwork originale è andato perso così abbiamo commissionato dei nuovi dipinti a Jim Trainer con un bel package. Devo essere onesto e dire che abbiamo fatto tantissima strada dal 1994, quando “Age of Steam” uscì la prima volta, così non siamo agli stessi livelli di “The Underfall Yard” o “English Electric” ma come giovane band non abbiamo fatto un brutto album.


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