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INGRANAGGI DELLA VALLE Valentino Butti
 

Gli "Ingranaggi della valle", giovane gruppo romano, sono senz'altro tra le rivelazioni "progressive" di questo 2013 ed il loro album d'esordio "In hoc signo" tra le migliori produzioni dell'anno. Li abbiamo incontrati per farci raccontare la loro storia...


Ciao ragazzi e benvenuti.
Siete tutti giovani o addirittura giovanissimi, con background musicali anche diversi che, si direbbe, hanno trovato un punto di convergenza nel grande mondo del “prog”…. Volete parlarci un po’ di voi….?


Beh, che dire… come avete giustamente anticipato, siamo solo dei comuni ragazzi che da un giorno all’altro si sono ritrovati a condividere una birra con il batterista degli Änglagård, in uno dei tanti pub dello storico quartiere del Pigneto. Probabilmente il nostro punto di forza è proprio quello di essere un gruppo di ragazzi totalmente differenti l’uno dall’altro, nell’arte come nella quotidianità: c’è chi ha intrapreso un percorso di studi scientifici e allo stesso tempo chi ha scelto una vita in funzione della propria passione per la musica.

Come nascono gli “Ingranaggi della Valle” e come mai questo nome così particolare (e tipicamente “prog” peraltro)?

Ad essere sinceri, tutto è nato da un gruppo di amici che non avevano altri presupposti se non quello di divertirsi spassionatamente in sala prove. Flavio, Mattia e Shanti, da tempo buoni amici, crearono dal nulla un trio Jazz-Rock, con l’idea di riarrangiare brani anni ‘70 in chiave fusion. Proprio nel momento in cui si iniziava a maturare l’idea di comporre dei brani propri, Mattia e Flavio conobbero Edoardo, un ragazzo tuttofare che, trovata particolarmente intrigante l’idea di partecipare ad un simile progetto, si propose come momentaneo bassista, davanti alla nostra difficoltà di trovare un professionista. Le successive scelte stilistiche portarono in seguito la necessità di un violinista come Marco, e d’un cantante come Igor.
Se poi con il tempo maturammo un nostro stile, allo stesso modo concepimmo il concept sul quale abbiamo costruito “In Hoc Signo”, quindi il nome della band. Passammo due buone settimane per scegliere il nome definitivo. C’era chi riteneva dovesse rappresentare le nostre scelte musicali, chi invece si pronunciava per la scelta di un insieme di parole prive di significato. Alla fine optammo tutti per un’allegoria dei temi che avremmo poi trattato nelle liriche dei brani.
La vera fortuna fu da parte nostra il riuscire a rappresentare il soggetto della nostra filosofia, la Macchina della Società, e allo stesso tempo omaggiare il professore di Liceo di Mattia e Flavio, tale Roberto Ingravalle, al quale i due ex-alunni devono in parte la formazione della band. Così, se gli Ingranaggi rappresentano i meccanismi civili mediante i quali prende forma il Contratto Sociale, la Valle diviene immagine allegorica della Società, un luogo ameno dove il singolo uomo può vivere con facilità grazie all'aiuto reciproco scambiato con i suoi simili.

Siete subito partiti “lancia in resta” con un concept “In hoc signo” ambientato al tempo della prima crociata. Come mai questa scelta? Credete che sia il mezzo espressivo (quello dell’album a tema) più consono al vostro “credo” musicale?

Assolutamente no, anzi, stiamo valutando seriamente l’idea di abbandonare il topos del concept per quello che sarà il nostro secondo album. Probabilmente la scelta del concept per “In Hoc Signo” è stata condizionata dal percorso della band. All’alba del gruppo, Mattia si era particolarmente interessato alla storia italiana della Prima Crociata mediante le opere dello storico Renato Russo (al punto da compiere un viaggio in visita dei luoghi storici della Puglia). Il fatto che poi molti dei brani già montati in sala rievocassero proprio un’atmosfera medioevale, ci ha spinto ulteriormente verso quella direzione. L’incontro con la Black Widow poi ci ha aiutato a compiere il passo finale. Ci siamo ritrovati da un giorno all’altro con un’etichetta discografica realmente interessata al nostro lavoro, e ci era stata chiesta una nuova demo per poter dimostrare la nostra maturità in termini di composizione. “In Hoc Signo” così appariva a noi come l’occasione per poter parlare della nostra filosofia personale. C’era così tanto da dire e una canzone sola non sarebbe bastata, perciò pensammo: “Perché non spiegare la nostra filosofia tramite l’espediente della contorta maturazione interiore di uno sparuto gruppo di crociati italiani?”. L’idea piacque subito a tutti, e proseguimmo la composizione di pari passo al concept.

Nelle vostre composizioni colpisce sin da subito una certa attitudine da jam-band, un certo gusto per l’improvvisazione… Nascono così molti vostri brani mi pare di capire…

Esattamente. Come già detto in precedenza, abbiamo formato gli Ingranaggi Della Valle per un motivo in particolare: divertirci. Lo studio e il lavoro lasciavano poco spazio alla nostra fantasia, ed avvertivamo il bisogno di doverci auto esiliare dalla realtà almeno una volta a settimana; e vi assicuriamo che non esiste metodo migliore del lasciarsi andare con un bel solo. La gran parte di noi ha studiato e continua a studiare jazz, ed ha passato la gioventù ad ascoltare e reinterpretare i successi della musica blues, rock, prog, jazz e inevitabilmente fusion. Per noi l’improvvisazione è fondamentale poiché ci permette di esprimere noi stessi come null’altro può. Ancora oggi, quando ci riuniamo per le prove mensili, ci cimentiamo in improvvisazioni su brani classici come “Eat That Question” di Zappa, “School Days” di Clarke o “Birdland” dei Weather Report, ma anche su materiale più recente, come “Hottentot” di Scofield, per scaldarci e per tenerci sempre vivi e pronti a risuonare al meglio “In Hoc Signo” nel caso di possibili concerti imminenti.

A differenza di molte band in cui prevalgono ora le tastiere, ora la chitarra elettrica, gli Ingranaggi della Valle si discostano un po’ da questo trend. Non che sia le une che le altre siano in secondo piano, anzi, ma sembra quasi ci sia una “democratica” divisione degli spazi…. a favore del… violino… :-).

Non siete i primi a farcelo notare, e noi lo consideriamo un complimento. Abbiamo sempre posto in primo piano la composizione in funzione del gusto e delle necessità richieste dal concept, a prescindere dagli standard e dai cliché del genere.

…ed in effetti la performance di Marco Gennarini è veramente un valore aggiunto non da poco per il sound della band…

Ci troviamo completamente d’accordo: basti pensare a quanto possa cambiare il sound d’insieme limitandosi a sostituire il violino classico di Marco con uno elettrico alla Ponty. Grazie a Marco ed al suo approccio accademico al violino classico, siamo riusciti a raggiungere quella sonorità antica ed italiana che avevamo in mente sin dal momento della prima stesura dei brani.

Apprezzo molto il fatto che le liriche siano in italiano. Una scelta “logica” (visto anche il tema trattato) o dettata da altre ragioni…?

Anche se si può credere che il tema del concept abbia contribuito alla scelta, la decisione fu presa a priori. Alcuni di noi sono cresciuti ascoltando i Genesis, dunque conosciamo bene gli effetti che può suscitare all’orecchio un inglese come quello di Gabriel. Allo stesso tempo però crediamo che l’italiano abbia una sua particolare musicalità, introvabile in altri idiomi, ed abbiamo voluto rendere tributo alla lingua madre, ricercando con particolare attenzione quella versatilità linguistica che i nostri padri culturali avevano trovato nel ‘900 in capolavori come “Consapevolezza” o “Il Giardino del Mago”.

Perfettamente in linea con la storia raccontata la bella copertina...

Potete fidarvi quando vi diciamo che neppure noi ci saremmo mai aspettati di poter vantare una cover talmente bella e appropriata al nostro stile. Il pittore è Marcello Toma, un artista in attivo a Roma, che non solo basa la sua arte figurativa sulla riproduzione specializzata di ingranaggi e meccanismi, ma dipinge una sua visione del mondo che abbraccia in tutto e per tutto la filosofia degli Ingranaggi Della Valle. Immaginatevi dunque la nostra reazione nello scoprire la disponibilità da parte di Marcello nel realizzare una pittura che potesse rappresentare il messaggio dietro “In Hoc Signo” e al contempo raffigurare alcuni degli eventi propri del viaggio di formazione dei protagonisti evocati dai brani del concept! Lo stesso Marcello è stato molto contento dell’opera finita, e da parte nostra speriamo di poter tornare a collaborare con lui per il prossimo album! Nel frattempo potete ammirare le sue notevoli opere d’arte sul suo sito ufficiale!

Tra gli ospiti dell’album due “pezzi da 90” come Mattias Olsson e David Jackson. Come sono nate queste due importanti collaborazioni?

La collaborazione con Mattias nacque da un malinteso. Sembra quasi impossibile, ma conoscemmo Mattias su Facebook. Flavio intavolò una conversazione sul Progressive Rock via chat, spiegando al famoso batterista come in pochi mesi eravamo passati dall’essere un gruppo di amici a lavorare sotto contratto della BW. Parlando delle imminenti registrazioni, Mattias si propose di suonare per intero “In Hoc Signo”: aveva capito che ci occorreva un batterista per le registrazioni. Quando comprese che avevamo già Shanti come batterista, gli proponemmo di scendere giù a Roma per registrare “Jangala mēm” come special guest. Arrivò all’aeroporto di Fiumicino la sera del Venerdì 28 Settembre, e ripartì quella stessa Domenica. Lavorare con Mattias è stata un’esperienza incredibile, e ci ha lasciato tanti bei ricordi. Si è trovato particolarmente a suo agio con il clima ilare e amichevole della band, ed abbiamo trascorso insieme un fantastico weekend nei pub del Pigneto. Da allora siamo rimasti sempre in contatto, e giusto qualche mese fa Flavio è andato a trovarlo su a Stoccolma, nel suo attrezzatissimo Roth Händle Studio.
Per Mr. David Jackson va fatto ovviamente un discorso a parte. Quando concludemmo la composizione di Finale, sapevamo già di cosa avevamo bisogno per l’intermezzo funk: il sax dei Van Der Graaf. Non appena fu dato il via ai missaggi, la BW accontentò la nostra ennesima richiesta e contattò David Jackson per la collaborazione. Abbiamo poi parlato in seguito con Jackson per e-mail, e lo abbiamo trovato molto compiaciuto del nostro lavoro. Gli abbiamo dato carta bianca e la scelta si è rivelata essere una mossa vincente. Ora stiamo facendo il possibile per riuscire ad incontrarlo di persona, per porgergli i nostri complimenti ed estendere la collaborazione sul palco.

Una domanda che per forza di cose devo fare e grande cruccio per molte band prog in particolare. Le possibilità di suonare dal vivo…

Ahahah! Questa è davvero buona! Ah… come? Non era una battuta? Ah, beh.. allora c’è poco da dire al riguardo. Ci stiamo impegnando in tutti i modi possibili per riuscire a suonare live anche se, almeno a Roma, la situazione è alquanto difficile ed il perché oramai lo sanno tutti: se non hai un pubblico pagante assicurato, non puoi ottenere una serata; allo stesso tempo, se non puoi suonare live, si abbassa sensibilmente la visibilità del gruppo, rendendo impossibile la formazione di un pubblico consistente. Un circolo vizioso, messo ancor più in evidenza dall’attuale crisi. Noi ad ogni modo non ci abbattiamo davanti al demoralizzante contesto e, per combattere in favore della cultura, stiamo facendo il possibile per organizzare dei live nel Nord Italia, dal quale molti appassionati del genere ci scrivono con la speranza di vederci un giorno suonare. E’ previsto inoltre un mini-tour in Svezia con Mattias Olsson, sempre che la crisi non sia arrivata anche in Scandinavia!

Siete giovani ed al primo album. Progetti futuri, sogni nel cassetto…

Come avrete capito dalle precedenti risposte, ci sarà un secondo album. Se molti inaspettatamente considerano “In Hoc Signo” un capolavoro del prog italiano, noi crediamo di non aver dato il nostro meglio, anzi, di aver trasformato con troppa superficialità il prodotto di un gruppo di amici in un cd ad ampia distribuzione. Anche se dall’esterno può apparire come una banalità, l’esperienza accumulata in studio presso il Point Of View Records ha cambiato radicalmente il nostro metodo di approccio alla composizione, in virtù di elementi necessari alla realizzazione di un album dei quali prima ignoravamo l’esistenza. Ci teniamo a farvi sapere che stiamo lavorando duramente per dare il massimo, e non deluderemo tutti coloro i quali non solo hanno trovato piacevole l’ascolto di “In Hoc Signo”, ma ci hanno anche sostenuti dal giorno del nostro debutto.

Conoscete la scena prog attuale ed in particolare quella italiana? O ascoltate tutt’altro…?

Qualcuno di noi ascolta Pop, qualcun altro Hip-Hop, in gran parte Jazz e Fusion, ma no, ci avete beccati, non conosciamo in modo approfondito la scena Prog attuale (fatta ovviamente eccezione per i padri del genere che sono attivi tutt’oggi). Possiamo forse giustificarci garantendovi che “una volta entrati nel tunnel del Fusion è difficile riuscirne”? Ad ogni modo, molto spesso ci capita di ascoltare “Io sono nato libero” o “Gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano”.
Nonostante non conosciamo a dovere il prog attuale, siamo grandi amici di Roberto e Gianluca dei Taproban, per non parlare di Stefano della Fonderia, che ci ha lasciato utilizzare la sua vasta gamma di tastiere analogiche per l’incisione di “In Hoc Signo”; abbiamo avuto inoltre il piacere di incontrare più volte i Camelias Garden, band dai membri altrettanto giovani ed altrettanto romani, e di conoscere i Gran Turismo Veloce. Cogliamo l’occasione per salutarli tutti, sperando di rincontrarli presto.

La domanda che vi piacerebbe vi facessero, ma che non vi ha ancora fatto nessuno… e la risposta ovviamente…

Molti si sorprendono di ritrovarsi di fronte dei musicisti di 20 anni, pensando inevitabilmente agli incredibili vantaggi che la condizione possa portare. Tuttavia sono in pochi a chiederci il contrario. Per esperienza possiamo dirvi dall’interno che non è facile farsi prendere sul serio da persone che potrebbero essere nostro padre, o peggio ancora nostro nonno. Molti ci giudicano in base all’aspetto e all’età, pur non avendoci mai sentiti suonare prima. Questo fattore può apparire irrilevante, ma vi assicuriamo che può creare non pochi problemi quando ci si trova in situazioni lavorative, quali ad esempio un live.

Grazie ragazzi per la piacevole conversazione e a presto dunque…

Grazie a voi per l’importante opportunità, e un saluto a tutti i lettori.



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