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ENTITY Nicola Sulas
 

Mauro Mulas è tastierista e compositore degli Entity, gruppo proveniente dalla Sardegna che finalmente è riuscito a concretizzare su disco la propria proposta musicale, ottenendo ottimi risultati. Oltre questo, Mauro è un musicista poliedrico impegnato in vari progetti, con il progressive che rappresenta solo una parte della sua attività.

Puoi riassumerci le tappe dell'esistenza degli Entity?

Si tratta di un progetto nato circa vent'anni fa da me e Gigi Longu, il bassista, che allora suonava la chitarra. È durato inizialmente per alcuni anni, durante i quali abbiamo anche realizzato dei demo. In seguito, per varie vicissitudini e percorsi personali, il progetto è stato messo in stand-by. Nel 2001 un amico, il chitarrista Marco Angioni, ci ha coinvolto nel progetto KTL, una band di rock progressivo con un approccio leggermente differente rispetto agli Entity, e che eseguiva in sostanza composizioni di Marco. Con i KTL abbiamo aperto il concerto dei Jethro Tull a Cagliari nel 2001 e suonato ogni tanto dal vivo, anche nel festival InProgress One di Sestu nel 2006. Marco si è poi trasferito poi in Danimarca, dove ha aperto uno studio di registrazione e ripreso l'attività dei KTL con altri musicisti.
L'occasione per ripartire con gli Entity è nata in seguito al concorso bandito per il festival InProgress One, che prevedeva la presentazione di una composizione originale. Ho ripreso del vecchio materiale e l'abbiamo rielaborato registrando un brano, che poi è risultato vincitore. Questa è stata l'occasione per uscire dallo stand-by e iniziare nuovamente a suonare. Ci siamo esibiti nuovamente al festival nel 2010, suonando, tra l'altro, anche una versione di "L'armatura", contenuta nell'album.

Parliamo di "Il falso centro". Come è nato il disco?

L'idea originale risale al capodanno del 2009. Mi ricordo di essere tornato a Bolotana, il mio paese d'origine, per le vacanze e di aver chiamato Gigi per una chiacchierata la notte del 31 dicembre. Abbiamo parlato di varie cose ma ad un certo punto Gigi ha citato un libro del pensatore e mistico indiano Osho, affrontante i problemi spirituali del mondo occidentale. Poco dopo ci siamo incontrati e Gigi mi ha prestato il libro, suggerendomi di leggerlo e di provare a pensare a come realizzare un disco che avesse come centro queste tematiche. Io poi mi sono interessato all'argomento, leggendo altri libri e parlando con esperti della psiche e della mente umana. In questo modo ho gettato le basi per il concept.
Dopo un po' di tempo ho richiamato Gigi e gli ho detto che potevamo iniziare. Lui subito mi ha fermato e mi ha detto che il disco era mio e che dovevo procedere da solo nella composizione. Lui avrebbe fatto quello che faceva sempre: suonare il basso. Ho iniziato a scrivere le musiche, e ho completato il lavoro entro l'anno. Nel frattempo ho ricompattato il gruppo, chiamando mio cugino Marcello, fresco di conservatorio, a suonare la chitarra, Marco Panzino per la batteria e Sergio Calafiura, già con i KTL e con cui collaboro di continuo, per cantare.

In dettaglio, di cosa parla e come si è originato il concept?

L'argomento di fondo è la presa di coscienza di una persona che ha vissuto la propria vita secondo regole e modi di pensare imposti dalla società, dove anche l'istruzione e la religione sono manipolate e costruite per costringerci a recitare una parte e a soddisfare il nostro ego, che diventa il "falso centro" su cui costruiamo la nostra vita. Questa persona si trova ad un certo punto in crisi e decide di affrontare un viaggio interiore che gli permette di lasciarsi alle spalle tutto e ripartire da capo, arrivando a distruggere l'armatura in cui si è rifugiato per proteggersi, che però è diventata anche una prigione. Senza questa, si sente quindi fragile e vicino alla fine e valuta la possibilità di lasciarsi andare e affrontare la sconfitta definitiva.
Inizialmente, il disco si sarebbe dovuto concludere con "L'armatura", ma in seguito ho deciso di scrivere "la notte oscura dell'anima", nella quale il protagonista si rende conto che è egli stesso la fonte della propria felicità, e che la chiave per raggiungerla sta nell'accettare serenamente quello che gli accade e abbracciare infine una nuova vita.

Chi ha scritto i testi?

Dopo aver provato con il gruppo la parte musicale, ho chiamato un amico d'infanzia, Yuri Deriu, che già aveva scritto alcuni testi per noi in passato, e gli ho fatto leggere il materiale accumulato e ascoltare la musica. Inizialmente lui si è spaventato, perché riteneva il compito troppo complesso. Abbiamo quindi deciso di creare una mini sceneggiatura da utilizzare come base per scrivere i testi, in massima parte di Yuri con qualche mio contributo. Per finire, abbiamo aggiunto nel libretto una sorta di prefazione scritta da Stefano Zorco, un cantautore con cui collaboro. L'intera mini sceneggiatura è stata poi inserita in un pdf all'interno del cd.

Quale approccio hai utilizzato per la composizione? E' stato tutto scritto a tavolino?

Si, completamente. Ho scritto tutte le musiche e gli arrangiamenti riprendendo alcune idee del nostro primo demo intitolato "Il naufragio della speranza" ed elaborandone delle altre, cercando di adattare la musica al tema di fondo. Il concept, in effetti, è stato la base di tutto, la musica è venuta dopo. Successivamente ho preparato dei provini realizzati interamente da me, che ho mandato agli altri perché li assimilassero, insieme alle partiture. Ognuno ha iniziato a sviluppare la propria parte proponendo nuove variazioni e interpretazioni, così i brani sono cresciuti gradualmente. Infine ci siamo incontrati per suonare, e in queste occasioni i pezzi sono cresciuti ulteriormente. Ci tengo a dire che è stato un lavoro di gruppo molto soddisfacente e libero, privo di qualunque costrizione temporale e tecnica. Gli Entity sono infatti un progetto originato solamente dalla passione per la musica, e "Il falso centro" è nato in quest'ottica. Le registrazioni si sono svolte, alla fine, in tutta tranquillità, data la preparazione precedente.

Ti sei occupato di tutta la parte tecnica?

Per quanto riguarda la parte musicale, si. Mi sono occupato in prima persona della registrazione, del missaggio e del mastering. Ho avuto sin dall'inizio una precisa idea del risultato che volevo ottenere. Mi serviva un risultato coerente con le atmosfere del concept, così il suono finale è "scuro" e naturale. In particolare ho evitato di esagerare con gli effetti, curando l'equalizzazione ma evitando di rendere il tutto artificiale. A questo hanno contribuito alcuni accorgimenti utilizzati durante la registrazione. La batteria ed il basso, ad esempio sono stati registrati in contemporanea . Volevo che la batteria di Marco Panzino avesse sul disco lo stesso suono naturale originale, così abbiamo registrato a Bolotana in un vecchio fienile di mio nonno riadattato a sala prove. Per ricostruire il riverbero del locale abbiamo utilizzato, oltre ad un normale set di microfoni, anche un paio di panoramici a cinque metri che restituissero la sensazione ambientale di trovarsi nella stanza. In un paio di brani la presa diretta è stata fatta anche insieme al pianoforte, mentre la traccia conclusiva "La notte oscura dell'anima", è una presa diretta del mio pianoforte a coda e della voce di Sergio Calafiura.
Il pezzo iniziale, "Davanti allo specchio", "Il tempo" e "*Ant*", inoltre, sono stati registrati senza click in cuffia e traccia guida, da me, Marco Panzino e Gigi. Questa scelta è servita per non essere legati a riferimenti ben precisi e per poter quindi avere la massima espressività.

Hai usato strumentazione vintage?

Si, ho più che altro evitato di utilizzare strumentazione di tipo commerciale, preferendo invece tastiere dotate di una propria personalità. A parte il mio pianoforte a coda, ho usato il Minimoog Model D, in qualche parte il Voyager e il Moog Prodigy poi l'organo Hammond accoppiato al Leslie con testata valvolare Lombardi e, per i suoni di synth brass, lo Yamaha DX7 ed il Roland D-50.

Per quanto riguarda la parte grafica? Hai messo mano anche su questo aspetto?

Non direttamente, anche perché credo che ognuno debba avere le proprie competenze e fare il proprio lavoro. Ho preferito rivolgermi quindi a degli esperti. Le foto sono state realizzate da Sara Deidda, una fotografa molto brava a cui ho dato solo qualche indicazione sullo spirito del disco, lasciandole però tutta la libertà possibile. È stata lei, inoltre, a suggerirmi chi poteva occuparsi dell'artwork, facendo il nome di Enrico Ciccu, che già conoscevo per trascorsi musicali, che ora lavora in Giappone e si occupa, tra le altre cose, di studio d'immagine in campo musicale con la sua agenzia, Welcome to my Mondo. Anche Enrico ha fatto, in maniera spedita, un ottimo lavoro, realizzando pure il logo degli Entity.

A quale dei brani ti senti maggiormente legato, e quale pensi che rappresenti al meglio la tua idea di progressive?

Considero "Il falso centro" come un unico lungo brano, dato anche l'approccio dello sviluppo nelle tracce di alcuni temi. Forse, per il modo con cui sono state scritte e sviluppate, sceglierei "Davanti allo specchio" e "Il desiderio".

Come è sopraggiunto l'interesse della Lizard?

Tutto è partito in realtà tempo addietro da Marco Bernard, dell'associazione Colossus. Marco aveva trovato su youtube un mio video dove eseguo una parte della suite di Tarkus per solo pianoforte, e gli era piaciuto molto. Mi aveva contattato via mail per farmi i complimenti e per propormi delle collaborazioni, e da lì era nato uno scambio di opinioni, di pareri e di informazioni sulle reciproche attività. Quando ho mandato a Marco un primo missaggio dell'album, lui si è prodigato nel darmi consigli e nel fornirmi contatti per proporre una pubblicazione. Tra questi contatti c'era anche quello di Loris Furlan, dal quale ho ricevuto i complimenti per il lavoro. È nato anche in questo caso un proficuo scambio di idee e di opinioni, insieme all'idea da parte di Loris di pubblicare il disco. Devo dire che Loris è stata la persona con cui mi sono trovato più in sintonia e che più mi ha ispirato fiducia, tanto che mi sono rifiutato di parlare come prima cosa di questioni economiche.

Stai già avendo riscontri?

Si, anche perché Loris sta facendo un ottimo lavoro di promozione e distribuzione. Nonostante il disco sia stato appena pubblicato, ho già ricevuto mail di complimenti addirittura dal Giappone, e alcuni brani stanno avendo passaggi radiofonici in Olanda e presto in Argentina. Ho ricevuto anche una bella mail di complimenti dal responsabile del sito Progstreaming, dove l'album è ascoltabile per intero.

"Il falso centro" avrà un seguito?

Certamente, quando avremo altro da dire, faremo senza dubbio un nuovo album, ma non ci imporremo nessuna forzatura a riguardo.

Attualmente gli Entity esistono come entità ben definita o si tratta di un progetto legato a situazioni estemporanee, per suonare dal vivo o per registrare?

Il gruppo esiste ma l'attività non è soggetta ad imposizioni e scadenze, essendo qualcosa che facciamo esclusivamente per passione. Se capita, ogni tanto facciamo qualche esibizione dal vivo. Ci piacerebbe suonare di più, anche fuori dalla Sardegna, ma ovviamente dobbiamo scontrarci con le spese legate al fatto di doverci muovere dall'isola.

Puoi farci un riassunto della tua formazione in campo musicale?

Ho iniziato ad interessarmi di musica fin da bambino, quando i miei genitori mi facevano ascoltare di continuo dischi di musica classica. Io li trovavo affascinanti e ne ero completamente rapito. Dato questo interesse, a cinque anni mi mandarono a prendere lezioni di piano a Macomer, da una anziana pianista che si era appena trasferita in Italia dall’Egitto, seguendo la sua famiglia. Questo è durato per 12 anni. Nel frattempo ho iniziato ad interessarmi anche di jazz, partecipando ai seminari organizzati a Nuoro da Paolo Fresu. Questi seminari sono stati ottime esperienze ma mi sono reso conto che per approfondire e affinare gli studi musicali avrei dovuto affrontare anche altri tipi di percorso. Parallelamente agli studi, ho iniziato a suonare vari generi con i miei amici a Bolotana, il mio paese, passando dal rock al metal. Ho iniziato ad esibirmi da molto giovane; mio zio aveva un gruppo e mi portava spesso a suonare con lui da bambino, ed era divertente il contrasto tra me, che allora potevo avere 7-10 anni e gli altri musicisti, tutti ultraquarantenni.

In seguito ti sei trasferito a Cagliari?

Esatto. I miei genitori avrebbero voluto che studiassi ingegneria ma a me interessava la musica, così ho fatto l'esame per entrare al conservatorio in composizione. Con mia grande sorpresa sono entrato nel corso, quello sperimentale, del vecchio ordinamento, tenuto dal Maestro Franco Oppo, per il quale sono arrivato al compimento medio . È stato molto utile e mi ha permesso di imparare tante nozioni e concetti che stanno alla base della mia attività di musicista. Per due anni sono stato anche auditore del corso di direzione d'orchestra tenuto dal maestro Sandro Sanna, con cui avevo stretto un ottimo rapporto, che mi incoraggiava spesso a provare la direzione, anche con mie composizioni. Per il saggio finale, infatti, ho diretto una mia composizione per orchestra d'archi e violino solista. Ho deciso però nel frattempo di iniziare anche il corso di musica elettronica, prima con Francesco Giomi, poi con Silvian Sapir, che è stata assistente di Luigi Nono, la quale aveva un'impostazione molto tecnica e che mi ha insegnato in maniera accurata la sintesi in tutte le sue sfaccettature. Ho studiato poi con Elio Martusciello che aveva invece un approccio molto più libero e indirizzato verso le avanguardie e l’improvvisazione radicale. Sotto la guida di quest’ultimo ho preso la laurea di primo e secondo livello con 110 e lode. Anche questa è stata un'esperienza molto interessante, grazie alla quale in seguito ho potuto collaborare con alcune associazioni che si occupano della musica elettroacustica della Sardegna, come Spazio Musica, Ticonzero e Centro sardo studi e ricerche con le quali ho lavorato a numerose performance, installazioni e opere di teatro musicale.

In che modo sei diventato musicista professionista?

Durante gli studi ho iniziato a frequentare i locali e i club di Cagliari, avendo la possibilità di conoscere vari musicisti, coi quali ho iniziato a jammare ogni volta che ne avevo la possibilità. Si è sviluppata quindi una rete di amicizie che hanno portato a vari progetti di collaborazione. Suono infatti regolarmente nei locali, ed è una parte fondamentale della mia attività. Ho cercato nel corso degli anni di inserirmi anche nel circuito jazz frequentando i festival che si svolgono regolarmente in Sardegna. In pratica, ogni volta che ne avevo la possibilità, a poco più di 18 anni di età, salivo in macchina e andavo a jammare nelle jam session delle grosse rassegne, dal Time in jazz di Berchidda, al festival di Sant'Anna Arresi. Anche in questo caso, è stata un'esperienza molto formativa, che mi ha permesso di confrontarmi ed imparare, oltre ad acquisire parecchie conoscenze tra i musicisti e di entrare a far parte del circuito, e mi ha portato a realizzare vari progetti, tra cui quello del M'Organ Quartet.

Fai anche l'insegnante?

Si, ma ho deciso di impormi alcune regole. Di norma, ho preferito sempre rifiutare le offerte delle scuole private e delle scuole civiche, perché prediligo seguire allievi che abbiano un interesse professionale nella musica. Dal punto di vista dell'insegnamento, evito le situazioni legate alla musica come hobby, che ritengo ovviamente un'ottima cosa dal punto di vista personale; preferisco però avere studenti che posso seguire in maniera più approfondita e che abbiano un certo tipo di motivazioni. Preparo ad esempio spesso degli allievi per svolgere l'esame di ammissione al conservatorio nel corso di Jazz.

Hai sviluppato anche l'aspetto tecnico della produzione audio?

Si, collaboro spesso con un fonico per realizzare il mastering ed il missaggio di produzioni musicali, e lui mi dà una mano nelle mie produzioni. È fondamentale in questo campo la collaborazione per avere un riscontro da parte di un altra persona, che ha ovviamente un orecchio diverso dal tuo e può darti utili indicazioni per raggiungere un obbiettivo finale. Oltre a questo, faccio sovente il turnista negli studi di registrazione.

L'interesse per il progressive come è nato?

Si tratta di una passione anche questa molto precoce. Mi ricordo di un disco che mi facevano ascoltare i miei genitori da bambino, per il quale letteralmente impazzivo. In seguito ho scoperto che si trattava di "Tarkus". Quando durante l'adolescenza suonavo metal e hard rock, mi ricordo che mio zio Gino, padre di Marcello, chitarrista degli Entity, mi prestò il vinile di "Brain salad surgery". Io avevo appena 12 anni e non sapevo cosa fosse, ma quando lo ascoltai fu una folgorazione. Da lì mi ricollegai a "Tarkus" e iniziai a scoprire il genere, oltre a cercare gradualmente di portare le sue sonorità in quello che facevo con i miei amici. Ascolto comunque di tutto, non mi pongo limiti nella musica.

Ritieni il progressive un genere ben definito?

No, assolutamente. Lo vedo più come una corrente musicale molto varia ma non esattamente classificabile, almeno in passato. Si è trasformato in un genere vero e proprio più recentemente, quando i nuovi gruppi hanno iniziato a fare musica rifacendosi ai grandi gruppi storici.

Quali sono i tuoi riferimenti musicali nel progressive?

Sicuramente gli EL&P, poi i Genesis, con Tony Banks che aveva un gusto incredibile. Amo particolarmente i King Crimson del secondo periodo, da "Larks tongue in aspic" in poi. Robert Fripp aveva delle idee e un approccio alla musica assolutamente originale, secondo me spesso vicino al minimalismo. Altri gruppi come i Van der Graaf Generator non credo mi abbiano influenzato più di tanto anche se sono tra i miei preferiti. Poi posso citare senz'altro Frank Zappa, ma anche gruppi come i Rush, che vidi dal vivo qualche anno fa e che mi impressionarono tantissimo. Considero importante anche il lavoro fatto dai Dream Teather in "Images and words" e "Awake". Sono due album che reputo fondamentali per aver tentato di far incontrare due mondi come il metal ed il progressive. E credo che la presenza di Kevin Moore, tastierista sobrio e raffinato, sia stata importante in quei dischi. In Italia mi piacciono particolarmente gli Area e il Perigeo, due gruppi dal suono veramente particolare. Nel progressive più in senso stretto, sicuramente il Banco del muto soccorso, che ha fatto delle cose veramente uniche.

Come musicista hai qualche tastierista a cui ti ispiri, o che ti piace particolarmente?

A parte Keith Emerson, sicuramente Jan Hammer. Anche Chick Corea mi piace molto. Per restare in campo progressive, un altro è Rick Wakeman, anche se non apprezzo in particolare il suo modo di restare spesso ancorato a certe soluzioni barocche. Un lavoro che mi piace molto degli Yes è "Tales from topographic ocean", che contiene a mio avviso molte idee originali.

In campo strettamente progressive quali sono state le tue esperienze passate?

A parte le cose con gli Entity e i KTL, ho partecipato all'album "I racconti del mare" degli Akroasis di Pierpaolo Meloni, organizzatore del festival InProgress One, rivisitando per pianoforte due loro tracce. Ho partecipato al progetto Colossus "Iliad", di Marco Bernard con due brani per pianoforte di mia composizione. C'è poi l'album dei M'Organ Quartet, con il chitarrista Massimo Ferra, un lavoro di jazz-rock con qualche influenza progressiva.

Quali sono le attività future che prevedi di realizzare, esclusi gli Entity?

Al momento è in programma il secondo album dei M'Organ Quartet, e ho già realizzato una composizione per il nuovo progetto Colossus sul "Decameron", di futura pubblicazione. Si tratta di una suite in quattro parti dove suono pianoforte e tastiere e dove in alcune parti ho coinvolto il clarinettista Marco Argiolas e il batterista Marcello Mameli. Ho anche in programma un album in duo con Sergio Calafiura; si tratterà di rivisitazioni per piano e voce di brani di altri artisti, a cui forse accoppieremo un album di canzoni originali nello stesso stile.

Per concludere, puoi darci una tua opinione sulla situazione della musica in Sardegna?

In Sardegna c'è una contraddizione evidente: abbiamo molti bravi musicisti e disponiamo di un background veramente notevole, ma ci sono poche produzioni originali perche si tende spesso ad adeguarsi e riprodurre, spesso e volentieri in maniera eccellente, stilemi e tendenze musicali che arrivano dall’esterno, oppure si esporta un modello di cultura sarda chiuso e autoreferenziale, che secondo me non porta da nessuna parte. Ora mi sto accorgendo che molte persone all’estero conoscono molto bene la nostra cultura e la amano più di noi. Forse quest’ultimo concetto, in un certo senso, si può estendere in genere alla cultura e tradizione Italiana. Molte persone mi hanno consigliato a suo tempo di tradurre i testi del disco "Il falso centro" in inglese ma, per questo motivo, non ho mai preso in considerazione l’idea.


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