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AGORA' Francesco Inglima
 

Graditissimo ritorno sulle scene è stato quello degli Agorà. Il loro ultimo album, “Ichinen”, è stata una piacevolissima sorpresa ed è testimonianza di come, anche a distanza di anni dagli esordi, si possa avere ancora molto da dire. Ho avuto il piacere di parlare con Renato Gasparini, chitarrista e membro storico della band, e con lui ripercorrere quasi quaranta anni di storia.

La prima domanda è d’obbligo: cosa è successo tra “Agorà 2” ad “Ichinen”?

Dopo “Agorà 2” la formazione cambiò con massimo Manzi alla batteria e Robert Clark al basso. Facemmo un bel tour con questa formazione ed iniziammo ad incidere dei brani per un nuovo album (che non fu mai pubblicato n.d.a.). Due di questi brani sono ora presenti nel nuovo lavoro “Ichinen”. il gruppo si sciolse soprattutto per motivi economici. Il progressive non garantiva entrate dignitose.

Cosa vi ha spinto a tornare sulle scene?

Nel 2002 ho sentito il bisogno di chiudere questo cerchio rimasto aperto, ho iniziato a comporre dei nuovi brani e gradualmente ho proposto a 4 membri originali della band di ripartire insieme. Il rapporto di amicizia che mi lega con Ovidio Urbani è stato l'elemento propulsore di questo nuovo capitolo di Agorà. Ovidio oltre ad essere un grande musicista ha un carisma ed una visione di vita concreta ed affascinante.

Avete avuto il coraggio di tornare con una proposta musicale molto diversa, come mai la scelta di un ensemble acustico?

La scelta acustica è nata come naturale evoluzione; ci sono campi inesplorati nel progressive acustico ed è 'molto stimolante. Con il violoncello di Gianni Pieri e la chitarra acustica di Gabriele Possenti abbiamo aperto un nuovo eccitante capitolo.

Quali sono le differenze e i punti in comune tra gli Agorà di oggi e quelli degli anni 70?

I componenti, le radici musicali sono le stesse cosi come gran parte della formazione. I temi aperti e lo spazio all'improvvisazione con le naturali contaminazioni di genere è metabolizzato ed esce in modo naturale. La differenza principale è l'apertura acustica e l'assenza delle tastiere negli unisoni la chitarra elettrica viene sostituita dal violoncello.

“Ichinen sanzen” è uno dei principali concetti dell’insegnamento buddista; a tal proposito ho riscontrato nella vostra musica una consapevolezza e una pacatezza, ma al tempo stesso una grande energia che ho abbinato a questo approccio alla vita. Che impatto ha avuto la filosofia Buddista sul vostro modo di concepire la musica?

Devo dire che solo io pratico il buddismo, appunto dal 2002. Uno dei primi benefici di questa filosofia di vita è stato proprio la voglia vitale di riaprire questo capitolo incompiuto.
Tutti noi di Agora condividiamo un approccio di vita di totale rispetto per ogni essere umano e per l'ambiente; certo ognuno di noi ha il suo percorso che comunque va rispettato ed il suo karma con cui fare i conti, ma quello che trovo rivoluzionario nel buddismo è percepire che il nostro karma. Questo si può trasformare risvegliando un Ichinen cioè un atteggiamento ben orientato istante per istante.
Tutto questo va comunque provato praticando sulla propria pelle. Con questo nuovo lavoro che si intitola appunto “Ichinen” abbiamo provato a cogliere l'attimo in ogni istante musicale con il suono acustico, i temi, le improvvisazioni e il nostro legame tra musicisti che suonano insieme da sempre...

Parliamo un po’ del passato. Ci potete raccontare come mai siete stati contattati per suonare nel famosissimo Festival Jazz di Montreaux, malgrado non avevate pubblicato nemmeno un album e non eravate ancora molto famosi?

E' stato Claudio Fabi nostro produttore a far ascoltare a Claude Nobs un nastro registrato in presa diretta in studio. Claude ne fu entusiasta e ci invitò ad aprire la serata denominata Eurorock.

Nel 1978 per un breve periodo avete suonato con Pepe Maina alle percussioni suonando nuovamente anche a Montreaux. Come mai questo concerto non è stato mai pubblicato?

In realtà non ci fu un concerto, ma la realizzazione di un video prodotto dallo stesso Claude Nobs.

Avete il rammarico di essere apparsi sulle scene un po’ fuori tempo massimo quando ormai la musica che proponevate stava andando fuori moda?

Sì, era il periodo in cui iniziavano a proporsi musica ed atteggiamenti quali il Punk mentre il Jazz non aveva ancora un ambito popolare dove essere proposto. Solo le band che cantavano in italiano spostandosi sul pop furono in grado di continuare.

Quali musicisti vi hanno ispirato maggiormente all’inizio della vostra carriera?

Miles Davis John Coltrane i Weather report ma anche Franz Zappa e Jimi Hendrix.

E, tornando ai giorni nostri, che musica ascoltano oggi i membri degli Agorà?

Devo dire che ogni nuovo lavoro di Wayne Shorter od Herbie Hancock ad esempio continua ad affascinarci, ma anche contaminazioni etniche e di ricerca...

Negli ultimi anni è tornato un forte interesse per la musica progressive e assistiamo a numerose reunion di successo dei gruppi storici. Purtroppo tutto questo interesse svanisce quando si tratta dei gruppi giovani che continuano a suonare e rilasciare dischi per pochissimi intimi. Come vi spiegate questa discrepanza?

In questo periodo i giovani hanno spesso la sindrome delle cover band e a livello didattico dei patterns clonati; secondo me ci sono incredibili musicisti, ma spesso mancano brani ispirati umilmente e in modo coraggioso dal proprio stile. La creatività viene spesso soffocata da questo modo di impostare lo studio.

Ho avuto la fortuna di vedere un vostro concerto ad Alatri questa estate e sono rimasto estremamente sorpreso dalla vitalità e l’energia che la band. Devo dire che il contesto live, malgrado 30 anni di differenza, come ai tempi del “Live a Montreaux” sembra essere l’habitat naturale per la musica degli Agorà. Qual è l’alchimia che scatta nei vostri concerti?

Intanto ti ringrazio per le tue parole. Sai, la musica non si tocca non ha odore, ma stimola forti emozioni; è in qualche modo un elemento mistico che muove la chimica del suono di un gruppo. Suonare di nuovo insieme in modo ancora più consapevole e con strumenti acustici ci porta a campi sonori inesplorati. Condividere tutto ciò sul palco assieme alla sua l'adrenalina è un potente combustibile per le nostre esibizioni.

Come mai la scelta di avere tre chitarre acustiche e nessuna tastiera?

Abbiamo scelto di non utilizzare tastiere asciugando le armonizzazioni, perciò avere almeno due chitarre simultanee è diventato indispensabile.

E per finire, cosa faranno gli Agorà da grandi?

Faremo di certo dei concerti, che sono appunto il nostro habitat naturale, nei quali aggiungeremo i nuovi brani che sono già pronti.
Un sogno nel cassetto ce l'avrei ed è la chiusura del cerchio: sarebbe un altro concerto a Montreux o magari in Giappone dove da sempre abbiamo venduto più che in Italia. Tuttavia l'importante è avere un ichinen rivolto al futuro....


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