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GÖSTA BERLINGS SAGA Jessica Attene
 

Potreste anche non amarli ma dubito che la musica dei Gösta Berlings Saga possa lasciarvi del tutto indifferenti. Il gruppo svedese esordì nel 2006 con un album ricco di impasti vintage e riferimenti folk ma quello è stato solo un primo passo verso un percorso che li ha portati ad esplorare direzioni musicali sempre diverse e talvolta ostiche. A prevalere è come sempre la loro forte personalità che li ha incoraggiati a proseguire sempre dritti per loro strada senza piegarsi alle aspettative di nessuno. “Konkret Musik”, il loro ultimo lavoro, ci ha per l’ennesima volta sorpresi, ne parliamo con il chitarrista Rasmus Booberg.

Quando ho letto il titolo “Konkret Musik” ho subito pensato alla corrente musicale inaugurata da Pierre Schaeffer negli anni Cinquanta. E’ così? A cosa si riferisce il titolo e come avete interpretato il concetto di musica concreta nella vostra musica?

Ciao! Grazie dell’interesse verso di noi! Prima di tutto, il titolo è certamente un richiamo alla musique concrète. Mentre scrivevamo ci focalizzavamo su temi molto tangibili, come infrastrutture e sviluppo e volevamo che il titolo riflettesse questo. Così “concreto” come parola dominante è soprattutto in riferimento al materiale da costruzione a tutti gli effetti ed è stato attraverso a quel percorso che abbiamo trovato il titolo. E anche se la nostra musica è molto più convenzionale se paragonata a ciò che ha fatto Pierre Schaeffer penso che ci sono delle similitudini che riguardano le idee di base. Così mentre mettevamo in piedi l’album, discutendo di nomi e temi, ci siamo resi conto che c’era quella connessione. Penso che sia una specie di modo giocoso per superare il divario fra la musica che abbiamo realizzato e l’ispirazione alla base di essa rendendo allo stesso tempo omaggio a quelli venuti prima di noi. La parola svedese “Konkret” probabilmente ha la stessa definizione del corrispettivo inglese e la usiamo più spesso come sinonimo di “tangibile” o di “diretto al punto” e peso che sia un bel titolo. Soprattutto se pensi a quale sia davvero l’argomento. E’ fondamentalmente la compressione ed espansione bidimensionale dell’atmosfera che attraversa le tue orecchie a farti provare emozioni. Lo definirei completamente intangibile o nella migliore delle ipotesi vago.

A differenza dei precedenti album troviamo tracce più brevi e slegate fra loro con caratteristiche piuttosto diverse. Perché questa scelta?

Non posso dire che si sia trattato di una scelta nel senso di averlo pianificato in anticipo e poi eseguito quei progetti. Ci siamo concentrati molto su quello che stavamo facendo passo passo utilizzando ogni fonte di ispirazione e di energia che potevamo. Per questo direi che l’album e la conseguenza di quello che stavamo vivendo quell’anno. Molti di noi hanno attraversato un periodo piuttosto difficile e ricordo che c’era un sentimento di urgenza e che nessuno di noi sentiva che ci sarebbe stato troppo tempo per trascinare le cose, così per dire. Penso anche che globalmente eravamo piuttosto stanchi di quelle idee che tipicamente portano ala traccia “epica” di 13 minuti. Così quello che è scaturito è stato, non sorprendentemente, un riflesso di tutto ciò.

Il contratto con la Inside Out vi ha certamente permesso di raggiungere una tipologia più ampia di ascoltatori. Questa scelta ha influito sulle vostre scelte compositive?

Non lo so! Probabilmente lo ha fatto in qualche modo ma non credo che abbia a che fare con l’idea di raggiungere un pubblico più ampio. Ma, raschiando il fondo del barile, penso che abbiamo questa profonda voglia di evadere le aspettative. Quindi firmare per un’etichetta che è davvero all’avanguardia di ciò che chiamerei “progressive rock convenzionale”, semmai, ci ha spinti ancora più lontano da quegli ideali. Ma quando si tratta di scrivere e di quel che facciamo nel nostro studio penso che non abbia avuto un grosso impatto. Un aspetto piacevole tuttavia è rappresentato dalla relativa sicurezza di essere ingaggiati per il prossimo album. Anche se possono lasciarci in qualsiasi momento non ho bisogno di preoccuparmi di tutta la logistica legata alla pubblicazione di un nuovo album grazie a ciò. E credo che questo ci abbia probabilmente resi più produttivi.

Rispetto alle produzioni più vecchie vi siete allontanati sempre più dal prog sinfonico con influenze folk. Come spiegate la vostra evoluzione?

A parte l’esigenza menzionata prima di evadere le aspettative, e cosa, più importante. Penso che siamo diventati più sicuri di ciò che facciamo e mettiamo in risalto ancora di più le nostre influenze e le nostre idee originali. Amiamo tutti una grande varietà di musica e sembra che siamo riusciti a venire a capo di questo miscuglio di idee diverse provenienti da ogni direzione. Nei nostri processi creativi sento anche forti tendenze cicliche. Il risultato è una specie di questo: se scriviamo un motivo “folk” probabilmente il prossimo sarà un motivo “urbano” e se una canzone è molto stratificata e ampia la controbilanceremo con qualcosa di più aperto e diretto. Spesso questi cicli vanno avanti per molto tempo, coinvolgendo uno o più album e talvolta si sviluppano persino nell’arco di una stessa canzone. Alex in genere parla di “contrasto” che credo dia un ottimo modo per riassumere questa idea e questo fenomeno.

Nell’arco di poco tempo avete pubblicato ben due album dal vivo”Kontraster Live” e “Artefacts Live”. Perché questa scelta? Quali sono le loro particolarità?

Avevamo in programma da tempo l’uscita di “Kontraster Live” in occasione del decimo anniversario dell’uscita di “Detta har hänt”. Quell’palbum e quel concerto rappresentano una specie di punto di svolta che ci ha indirizzati verso il percorso ci ha condotto fin qui. Così quell’album è più che altro un tributo o una celebrazione. Poi c’è stato “Artifacts Live”. Il che è convenientemente in netto contrasto con “Kontraster” (che si traduce “contrasti”). Immergerci in quel lavoro, nonostante tutto quello che stavamo attraversando sul piano personale, è stato molto importante per noi. Oltre a ciò siamo stati interamente supportati dallo stesso equipaggio che ci ha aiutato a creare “ET EX” che suonavamo dal vivo nella sua interezza. Analizziamo l’elenco: Fagge, che lavora con noi da molto tempo e che ha prodotto i nostri ultimi due album, si è davvero adoperato con la sua magia per ricreare tutti i dettagli ed incorporare cose che normalmente non siamo in gradi di ricreare dal vivo; Henke Palm che ha collaborato alla scrittura e alla registrazione delle parti di chitarra di due delle “più grandi” tracce dell’album; Lars Enok Åhlund con lo stesso grande e vecchio sax che ha suonato in studio; Tor Sjödén che non ha contribuito a “ET EX” ma che conosco e con cui ho suonato insieme per un decennio nella nostra vecchia band, i New Keepers of the Water Towers e per un po’ con i Viagra Boys. Una bella piccola riunione per noi. E poi c’era anche Jesper che ha finito con l’unirsi alla band dopo questa esperienza tenendo il suo primo show in assoluto con noi. Sul come e sul perché l’album è nato: Dal momento che Alex non poteva suonare per maggior parte dello spettacolo si è invece incaricato delle luci e ha pianificato alcune registrazioni video. Oltre a ciò con un colpo di fortuna il tecnico del suono ci ha detto, durante la preparazione del palco, che aveva la possibilità di eseguire una registrazione multi traccia dello show. Quando abbiamo messo le mani sulle tracce e ho effettuato un veloce mix preliminare, abbiamo capito che avevamo per le mani qualcosa di davvero interessante. La versione video in realtà ha quel primo mix audio che manca un po’ alle mie orecchie ahaha. Ma penso che il sound master del CD suoni in modo spettacolare. La prima parte dello spettacolo propone “ET EX” quasi nella sua interezza e penso che questa versione dal vivo sia davvero forte e per molti aspetti anche migliore rispetto alla registrazione originale.

Che novità ha apportato Jesper Skakrin nel vostro sound?

Jesper si è unito al gruppo dapprima come sostituto e ha dimostrato di essere un batterista molto potente. Ha uno stile distintamente diverso rispetto a quello di Alex nel bene e nel male. C’è molta ferocia e forza nel suo modo di suonare. Lo abbiamo pregato di unirsi al gruppo in via definitiva un po’ tardi nella realizzazione di “Konkret Musik” quando avevamo già deciso come si sarebbero sviluppate le canzoni. Ma era con noi nella realizzazione degli arrangiamenti e quando mettevamo insieme i pezzi. Suona per lo più percussioni nell’album e ce ne sono molte. Puoi sentirlo sbattere sui bidoni della spazzatura e sulle posate e quant’altro. Ha allestito in studio un tavolo da cucina pieno di tamburi, sonagli, campanelli, pezzi di metallo, campane e gong. E dal momento che abbiamo registrato in presa diretta non saremmo riusciti a fare nulla di tutto ciò senza di lui. Quindi è riuscito ad influenzare il nostro sound in maniera importante. Oltre a questo riesce a far cantare quasi tutti gli strumenti che gli metti in mano. Su “Artifacts Live” suona il vibrafono ed i synth oltre alla batteria. E con tutto ciò il suo strumento principale è il forse il basso ma suona ottimamente anche la chitarra elettrica. Quindi dal punto di vista dell’utilità, averlo nel gruppo ci apre davvero nuove strade per espandere la nostra strumentazione. Ma la vera ragione per cui lo abbiamo preso è che è un ragazzo meraviglioso e siamo diventati grandi amici. Non riuscivamo semplicemente a dirci addio. Adesso stiamo scrivendo il nostro primo album con lui da zero così potremo vedere che tipo di contributi ci porterà in questo caso.

Come già detto le vostre tracce sono molto eterogenee, ci sono alcune idee in particolare che vi piacerebbe esplorare più a fondo in una prossima produzione?

Bene, abbiamo fatto un album sul “tempio interiore”, “ET EX”. Poi ne abbiamo fatto uno sui “templi che costruiamo”, “Konktret Musik” ma non so verso che tipo di profondità ci spingeremo in futuro. Penso che gli ultimi due album rappresentino due facce della stessa medaglia, in apparenza completamente opposti fra loro, ma allo stesso tempo con un retroterra comune molto distinto. Penso che quella moneta sia stata lanciata e abbiamo iniziato una nuova pagina in un n uovo studio. Non mi addentrerò in nessuna delle grande idee che ci girano attorno ma c’è ancora una grande quantità di musica là fuori che aspetta solo di essere inventata così… cercheremo di fare del nostro meglio nel realizzare qualcosa di buono, immagino.

Come ha influito la pandemia Covid nella vostra vita artistica? Che ripercussioni avete avuto sia sul piano logistico (registrazione, concerti ecc) che puramente artistico?

Penso che ormai tutti sappiamo che gli artisti non possono suonare dal vivo durante il lock-down quindi non c’è bisogno che commenti oltre a riguardo. Ma abbiamo avuto abbastanza da fare con “Konkret Musik” da tenerci occupati fino a Luglio e da allora abbiamo ripreso le nostre routine di incontri una o due volte la settimana per scrivere e lavorare al nuovo materiale. Abbiamo avuto anche il tempo di attrezzare un nuovo studio che abbiamo recentemente avviato ed è stata un’esperienza molto bella. Stavamo diventando un po’ scettici circa il modo in cui lavoravamo: registrando alcuni demo a casa, jammando insieme in cantina, magari prendendo un po’ di audio dal telefono o da qualsiasi cosa fosse disponibile e poi facendo del nostro meglio per raccapezzarci con quello che stava succedendo. Ora siamo praticamente tutti pronti in modo da poter portare subito le nostre jam in multi traccia e ci siamo velocizzati nel tirare fuori e raccogliere nuove idee. Penso che sbarazzarsi di barriere del genere, riducendo il trasporto fra quello che puoi concretamente creare in un dato momento a ciò che puoi ascoltare nella tua mente, sia molto potente. Quindi possiamo dire che abbiamo impiegato il nostro tempo per lavorare sui nostri metodi.

Che importanza hanno i synth nella costruzione del vostro sound? Quali modelli preferite?

I synth fanno girare il mondo e questo è un dato scientifico. Penso che viviamo nell’epoca d’oro dei sintetizzatori. Abbiamo tutti questi grandi kit musicali organici in uscita e in giro che persino uno studente pieno di debiti come me può avere a sua disposizione molti dei più grandi suoni di tutti i tempi sia negli spazi in cui si fa pratica che in studio. E ancora di più da tenere a casa! Da batterista di lunga data sono piuttosto stupito del fatto che si possa ottenere una riproduzione analogica fedele o uno spot sul digitale di analoghi del 101 o del DS-20, un Moog mono o un Roland Poly o uno dei classici drum-synth allo stesso costo di un ride o di un paio di charleston. Non lo so, forse è diventato fin troppo facile. Ma impazzisco totalmente a girare manopole e spingere bottoni. Vedremo cosa ne verrà fuori alla fine ma alla fine io personalmente sono in un periodo un po’ purista che sembra gravitare indietro verso i vecchi mono Moog o Korg. Forse con un po’ di delay analogico e una piacevole saturazione. Quindi mi tengo alla larga dai Polifonici e dalle modulazioni profonde al momento, tornando indietro alle radici. Mort Garson rules!

Se poteste cambiare qualcosa dei vostri vecchi album cosa cambiereste?

Vorrei tornare indietro e cambiare quei modi di pensare! Torno indietro spesso ad ascoltare quegli album e non vorrei cambiarli. Forse aggiusterei un po’ di gain per raffreddare qualsiasi distorsione, un po’ di alti qua e là ma non sarebbe troppo interessante. Come ho detto prima quele cose sono davvero delle istantanee di ciò che ci ha ispirato in un certo periodo di tempo. E’ stato dimostrato più e più volte che togliere una cosa dal suo contesto spazio temporale, facendo sostanzialmente una revisione del passato, è una cosa futile. Sono sicuro che puoi tornare indietro ed aggiungere colore a una vecchia foto o rimasterizzare una registrazione se all’epoca non era possibile fare di meglio. Ma quando passi a ricreare qualcosa che in ultima analisi è una performance questo non è produttivo. C’è probabilmente una metafora di vita in tutto ciò. Viviamo, facciamo confusione, ci pentiamo, speriamo di imparare qualcosa, e poi il tempo per i rimpianti è scaduto.



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