Nella cornice di Piazza del Campo a Siena ho avuto il piacere di incontrare Adolfo e Alessio Silvestri degli Antilabé per un’intervista “analogica” e in vecchio stile in cui emerge l’aspetto umano e creativo di un gruppo che ha saputo ridisegnare in modo personale i confini della musica che amiamo. “Animi Motus”, il loro ultimo album uscito nel 2023 per la Lizard, esprime con freschezza il loro credo artistico, fatto di sincretismi musicali e culturali, passione per i dettagli e per l’arte in generale, in cui sono impresse emozioni in grado di penetrare l’anima di chi ascolta. Per ulteriori considerazioni che riguardano quest’opera, vi rimando alla relativa recensione già pubblicata su queste pagine e vi lascio invece alle nostre chiacchiere sperando vi diano l’input ad approfondire la conoscenza di questa splendida realtà musicale.
Prima di tutto grazie per questo incontro. Mi piacerebbe sapere che cosa è successo dal vostro precedente album, “Domus Venetkens”, uscito ormai qualche anno fa...
Adolfo:“Domus Venetkens” era uscito nel 2018. “Animi Motus” è stato in embrione dal 2020, era in periodo COVID, per circa un anno e poi è stato pubblicato nel 2023. Il discorso del COVID ci ha isolati. La traduzione di “Animi Motus” dal latino è “movimento dell’animo”, quindi emozioni. Volevamo esplorare in questo modo tutte le emozioni che ci hanno coinvolto e sconvolto in quegli anni e quindi ecco perché questo lavoro è legato a ciò che le parole ed i suoni possono descrivere di tutta questa pandemia che ha colpito noi e tutto il mondo. Abbiamo voluto dare la nostra interpretazione di queste emozioni in modo che potessero essere condivise, se non nella stessa modalità, quanto meno in modo simile.
Pensate che la vostra vita artistica sia cambiata in qualche modo in base alle emozioni portate dalla pandemia?
Innanzitutto c’è stato un cambiamento anche dal punto di vista compositivo perché è andato via il vecchio tastierista, Graziano Pizzati, quello che aveva dato la sua impronta a “Domus Venetkens” e anche in parte ai brani ancora precedenti, anche se dal punto di vista esecutivo in “Diacronie” non c’erano le tastiere ma c’era tutto un lavoro legato alle percussioni e alle percussioni tonali. Da quel punto di vista abbiamo voluto dare un’impronta un po’ diversa rispetto a “Domus Venetkens”, però c’è sempre un concept di base che in questo caso riguarda l’approccio alle emozioni. Partendo dai “Labirinti della mente” (la prima traccia ndr), cioè l’approccio della mente nei confronti di ciò che ogni giorno, quotidianamente affrontiamo, arriviamo alla parte finale che è “Una luce nuova” in cui scopriamo che c’è sempre uno spiraglio. Dobbiamo vedere sempre qualcosa in fondo al tunnel e quindi superare i momenti della vita attraverso tutta la serie di emozioni che abbiamo vissuto in quel periodo e che normalmente viviamo, chi più chi meno, in base alle modalità e agli strumenti che abbiamo a disposizione”.
Una cosa che mi è sempre piaciuta del vostro stile è il saper incorporare elementi etnici nell’ambito della vostra musica. Questa volta che elementi sono stati incorporati?
Abbiamo inserito degli strumenti molto particolari come lo handpan in un brano che è “Dubitar”, dove troviamo anche elementi un po’ diversi dal solito grazie a degli special guest al flauto e all’oboe, con una struttura un po’ vincolata perché risente della scala obbligata che noi utilizziamo (data dall’accordatura dello handpan ndr). Però dietro c’è tutto un lavoro di assemblaggio che consente a tutte le parti di lavorare bene insieme. Questo brano è anche caratterizzato da una lingua particolare che è il sabir che veniva un tempo utilizzata nei porti del Mediterraneo per poter lavorare in modo più semplice e che era un insieme di tante influenze. Il termine Sabir deriva dallo spagnolo “sapere”. I portuali nel bacino del Mediterraneo erano un po’ italiani, quindi troviamo vari dialetti dal veneto al siciliano, troviamo anche un po’ di arabo e di spagnolo. Abbiamo elaborato un testo che potesse andare bene. “Dubitar” significa “dubitare” e riguarda quindi i dubbi che ci hanno assaliti in epoca COVID.
Quindi la musica è sempre come una metafora di incontro anche in questo caso… e voi in quello che può essere il contenitore del Progressive Rock come vi ci vedete dentro?
Sempre di più, anche se molti rimangono legati a quello che è stato il Prog degli anni Settanta. Io mi ritrovo in questa situazione, visto che si tratta di miei coetanei e io ero ascoltatore e musicista già in quegli anni. Devo però dissentire un po’ e divergere rispetto a quelle che sono le condizioni di ascolto e anche di composizione di questi miei coetanei. Perché dico che si può fare ancora oggi del Prog e andare avanti, quindi cercare anche di inserire elementi nuovi come abbiamo fatto in passato e come continuiamo a fare in questi nuovi brani in cui abbiamo inserito addirittura dei recitativi, in uno da parte di una ragazza, Martina Vettoretti, che è la figlia di Marino, il nostro chitarrista, e in un altro abbiamo utilizzato proprio un attore professionista, Enzo Giraldo, che è nostro amico. Ci tenevamo ad avere questa interpretazione un po’ teatrale che andasse in qualche modo a convergere su quelle che erano le nostre espressioni musicali. Quindi per noi questo era un elemento di progressione che significa andare avanti. Abbiamo inserito strumenti nuovi, quindi etnici, come lo handpan, come anche strumenti classici che prima non avevamo utilizzato, l’oboe di Arrigo Pietrobon e il flauto di Giuseppe Bepi De Bortoli, e abbiamo utilizzato ancora il pianoforte acutisco cioè il gran coda Steinway che abbiamo già suonato in passato. Poi ci sono elementi di musica elettronica, c’è l’orchestra di archi addirittura (la Magister Espresso Orchestra) nell’ultimo brano. Ci sono quindi elementi diversi.
Siete riusciti a proporlo dal vivo?
In pochissime occasioni come quando c’è stata la presentazione ufficiale e in quel caso c’era anche il quartetto di fiati del nostro sassofonista Alessandro Leo che ha interpretato uno dei nostri brani. Purtroppo però la musica originale non è sempre così apprezzata e allora questa mancanza di spazi ci ha portato ad avere delle collaborazioni particolarissime come quella con Giorgia Delvecchio la traduttrice italiana della poetessa argentina Luisa Futoransky, e abbiamo fatto un recital sulle sue poesie, tratte da una antologia che si intitola “Pittura rupestre”. C’era quindi la nostra musica assieme alla lettura delle sue poesie con una presentazione che è avvenuta anche nell’Università di Parma grazie all’interessamento di due docenti che si occupano di letteratura ispano americana. Poi abbiamo avuto anche un’altra collaborazione con un’altra scrittrice che si è occupata di Alzheimer, Daniela Gianfrate, e che ha scritto un libro per bambini in cui si cerca di far capire le sensazioni che si possono provare di fronte ad una nonna con demenza. Quindi è il tentativo di fare qualcosa di diverso per continuare ad essere visibili in un contesto in cui è difficile trovare spazi, perché la gente non ascolta più e non sa cosa sia la qualità della musica, dei suoni, e quindi vedere dei musicisti dal vivo non è più di moda. Stiamo vedendo addirittura nel nostro contesto, per lo meno a livello della nostra regione, che persino le tribute band e le cover band hanno problemi. Vediamo proprio come questo panorama stia cambiando Notiamo questo soprattutto nelle fasce giovanili ma non voglio fare di tutta l’erba un fascio, ho anche mio figlio che ha la possibilità di farmi conoscere un mondo diverso dove ci sono anche lì cose belle da ascoltare, cose interessanti e cose nuove, però è anche vero, e lui stesso me lo dice, che purtroppo si fa fatica ad analizzare il suono e ad ascoltarlo nella maniera più giusta e corretta. Per capire, anche nell’ambito dell’elettronica, il suo preferito, l’ascolto avviene a livello immediato, quindi con qualsiasi strumento che sia una chiavetta o un iPhone e non è la stessa che ascoltare con un impianto HiFi. L’alta fedeltà non si sa più cosa sia per un pubblico giovanile e quindi questo poi porta di conseguenza a degli ascolti molto diversi.
Probabilmente sono fenomeni tutti legati gli uni agli altri, una conseguenza a catena credo. Invece per quel che riguarda la tua attività di scrittore, cosa mi puoi dire?
La mia attività di scrittore è continuata, nel senso che ho pubblicato un libro di poesie… anche se poesie alla fine lo sono anche tanti testi degli Antilabé.
Quindi è sempre poesia e musica…
Sì, poesia e musica, quindi testi allegorici, quelli che mi hanno diciamo condotto a scrivere. Ho iniziato a scrivere testi di brani, ma anche qualche poesia, già nel periodo adolescenziale e universitario. Li scrivevo di tanto in tanto però avevano sempre questa sonorità di base: mi piaceva sempre unire e cercare di trovare questa comunione fra suoni e parole, parole e suoni, elementi che abbiamo definito poi con un nostro motto come gli strumenti universali per unire nel tempo, che sono appunto le parole e i suoni.
Invece per quanto riguarda l’aspetto di produzione e post produzione dell’album, per voi è importante anche agire sul supporto fonografico?
Certo, questo era il nostro quarto lavoro per cui abbiamo voluto anche soddisfare alcuni nostri vecchi desideri, soprattutto del chitarrista, ma abbiamo trovato conforto anche nelle leve più giovani del gruppo perché anche loro che non hanno vissuto il periodo storico del vinile hanno detto che è stata una bella esperienza e la sorpresa più grande è stata quando il mastering è andato a essere prodotto su vinile. Il mastering è stato fatto presso gli Alchemy Air Studios di Londra, quindi con grande soddisfazione, perché è lo studio che si occupa oggi di tutte le produzioni di alta qualità che vanno dai film a quelle dei grandi protagonisti della musica. In più abbiamo avuto la fortuna di trovare una ditta tedesca che ha portato il mastering su vinile e lì è stata la grande sorpresa perché molte volte non si trova un prodotto di alta qualità è cioè non avviene una fase di trasposizione adeguata di quella che è la parte digitale su vinile. Con grande stupore e molta gratificazione a noi sembra che addirittura il vinile suoni ancora meglio del digitale. Ma questo è stato un feedback che ci hanno dato molti di quelli che hanno comprato il nostro LP. Si sono ritrovati d’accordo soprattutto i grandi cultori dell’Hi-Fi e con questo prodotto i feedback sono stati tutti positivi. Tutti ci hanno detto che c’è una grande qualità. Invece i CD che ci sono in giro, ci sono perché abbiamo anche i file digitali, abbiamo messo a disposizione una copertina ad ottima risoluzione e puoi farti anche il CD se vuoi, però noi i CD ufficiali non li abbiamo fatti.
A parte che non esiste neanche quasi più la concezione del CD e il lettore CD è diventato quasi una cosa antiquata come quello delle cassette…
Alessio:Specialmente nella nostra generazione si vede il vinile come un qualcosa di facente parte di quell’universo di ritorno al vintage che si vuole perseguire ultimamente e probabilmente si dice che se dobbiamo tornare a qualcosa di vintage lo dobbiamo fare bene tornando al vinile invece di settarci su quella tappa intermedia durata pochi anni che è stato il CD. Non tutti sono disposti a comprare un giradischi perché richiede una certa cultura ed è necessaria una catena audio.
Per quel che mi riguarda, mi spaventa in un certo senso staccarmi dal supporto in favore di una forma fluida di arte…
Alessio: All’inizio pensavo anche io che fosse una conseguenza naturale dell’evoluzione della musica poi però ci ho riflettuto e ho approfondito il rapporto che ha la musica con Spotify e sono venuto a capo della questione del perché per esempio noi paghiamo 9 euro e 99 per un abbonamento. Si potrebbero aprire mille parentesi, ad esempio sul perché ci cono persone che dicono di averlo crackato e che non vogliono pagare gli artisti. Quando sono diventato un artista ho capito quanto sia importante remunerare gli artisti stessi quindi ho acquistato il piano di abbonamento. Però la cosa veramente preoccupante è che con il 95-96% dei soldi che spendiamo per il piano mensile di Spotify non stiamo pagando la musica di quegli artisti ma stiamo pagando affinché i server di Spotify, che sono in Svezia, possano fare in modo che noi ascoltiamo la musica in streaming in tempo reale. Cioè dei 9 euro e 99, 9 euro servono solamente a Spotify per raffreddare i server e per poter garantire il servizio di musica illimitata e istantanea a tutti, l’altro euro viene diviso fra gli artisti in base a quanto vengono ascoltati. Per cui è un sistema che di base non è pensato per facilitare la produzione di musica e quindi non è un sistema che incentiva una musica di qualità. Diventa un cane che si morde la coda perché un artista che vede questo meccanismo dice che non potrà mai guadagnare nulla dalla musica e dice “cosa mi costa fare musica di qualità, cosa mi costa investire mesi, anni di studio della mia vita se poi non mi ritorna nulla di quello che ho fatto?”… E allora si fa sostanzialmente musica di un livello più basso, però se ne fa di più e quindi si saturano i sistemi e quella musica poi arriva a chi ascolta e chi ascolta quindi costruirà il suo bagaglio culturale, la sua cultura musicale, su questo tipo di cose qui e questa è secondo me la cosa più preoccupante.
State iniziando a lavorare a qualcosa di nuovo?
Adolfo:Adesso siamo in fase di stasi. Ci sono queste collaborazioni con la scrittrice che ha scritto sull’Alzheimer e dall’altra parte con il recital delle poesie della poetessa argentina. Sono delle collaborazioni che ci permettono anche di fare brani nuovi perché per il recital della poetessa argentina abbiamo scritto una milonga di proposito, quindi un brano originale che è stato apprezzato dalla poetessa stessa che attualmente vive a Parigi, in Francia, e sto aspettando anche che ci siano degli sviluppi in merito. Noi abbiamo già dei video con lei che legge alcune sue poesie.
Magari il pubblico può essere ricavato fra chi fruisce di poesie e letteratura che magari pur non essendo esperto di musica si può appassionare perché ha una forma mentale simile: si parla a chi ha la stessa sensibilità…
Una forma anche artistica direi. E’ un po’ anche il discorso di diversificare per cui se uno ha una fabbrica che va in fallimento ha bisogno di diversificare il prodotto per cercare di tirarsi su e noi cerchiamo più che altro di essere visibili, perché poi ognuno di noi in altri ambiti ha il suo lavoro, dal momento che non viviamo di musica strettamente. Però chiaramente volendo presentare il proprio lavoro e non trovando gli spazi per poterlo fare bisogna inventarsi qualcosa e noi ci siamo inventati questo cercare di proporre la nostra musica attraverso forme artistiche diverse. A proposito di arte, la copertina dell’LP è un dono di un pittore friulano molto conosciuto che si chiama Pier Toffoletti e che ha fatto delle mostre conosciute in ambito internazionale, mi pare sia a New York adesso. Ha uno stile tutto particolare e noi gli abbiamo chiesto quest’opera. Siccome il volto era rivolto a sinistra, ma in questo modo, nell’LP, l’immagine si sarebbe adattata alla parte posteriore, quindi non aveva senso, ho chiesto all’artista se potevo riflettere questo volto e lui me lo ha concesso.
A conti fatti quindi forse non conviene dire che si è Prog. Se ti dovessi inventare una definizione?
Io sono dell’avviso che, musicalmente parlando, sono nato negli anni Settanta. Io chiedo sempre, anche agli altri coetanei, se secondo loro uno sperimentatore come Demetrio Stratos oggi avrebbe fatto le stesse cose. Io dico di No. Se vuoi, la nostra musica è un grande calderone dove convive tutto quello che ci interessa, dalla musica classica (perché ci sono molti spunti classici nella nostra musica) fino alla musica etnica, fino a certi sperimentalismi. E’ chiaro che non abbiamo inventato niente di nuovo, se andiamo a vedere tutto il percorso dell’universo sonoro da quando è nato il suono e da quando poi ha avuto tutto il suo processo evolutivo fino ad essere immagazzinato, organizzato e codificato. Ma questo possiamo vederlo in tutte le espressioni artistiche, possiamo arrivare ad un livello estremo sia da una parte che dall’altra, ma alla fine bisogna andare avanti con qualcosa di originale. Gli elementi sono sempre quelli, possono essere più o meno evoluti, ma alla fine è come li assembli che dà l’originalità e quindi cerchiamo di assemblarli in un modo che è il nostro sentire, il nostro stile. Il fatto di ricollegarci sempre a delle lingue strane, antiche, testi particolari, è un po’ il nostro modo di sentire, quelle che sono sono le nostre impressioni cerchiamo di metterle insieme e il risultato è la musica degli Antilabé.
Le nuove produzioni mi danno sempre più spesso una sensazione di peso e di noia, io invece inviterei ad ascoltare il nuovo album degli Antilabé.
Riuscire ad esprimere quello che hai dentro attraverso le parole e i suoni è tutto perché il compito dell’espressione artistica è proprio quello di trasferire emozioni. Anche quando guardi un quadro, se lo fai in modo superficiale e te ne vai via non ti rimane nulla, ma se invece approfondisci con lo sguardo e vai in fondo al dettaglio e ti chiedi perché il pittore ha voluto fare così, perché c’è quel colore, cosa c’è lì dietro, si rivela tutta una serie di cose che cercano di avvicinarti all’artista. Non devi necessariamente provare le stesse emozioni ma l’opera ti deve trasferire delle emozioni e quando avviene il processo di trasferimento delle emozioni, secondo me l’artista ha ottenuto quello che voleva, l’obiettivo finale è quello. L’obiettivo finale è dare e ricevere e questo avviene anche se tu non sei più vivo e tu ricevi ancora feedback da chi guarda la tua opera e da chi ascolta la tua musica.
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