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RITUAL Alberto Nucci & Jessica Attene
 

In una intervista rilasciata poco prima la pubblicazione di “Superb birth” avevate detto di voler suonare musica diretta e spontanea e l’album ha in effetti confermato queste intenzioni. Con “Think like a mountain” siete tornati alle origini. A che cosa è dovuto questo nuovo cambio di rotta?
Beh, se sei un musicista onesto devi seguire il tuo istinto creativo, devi seguire la musica che trova una voce dentro di te. Per noi, i Ritual rappresentano di sicuro un forum ove facciamo il tipo di musica che sentiamo di aver bisogno di suonare. La musica, come ogni cosa, è in cambiamento perpetuo e lo spirito creativo cambia ogni giorno, trovando nuove vie e prospettive; tutto ciò che devi fare è seguirlo. Quando ci siamo trovati a dare un seguito al nostro album di debutto, avevamo in effetti suonato insieme musica elaborata, strumentale e strutturalmente piuttosto complicata per diversi anni e abbiamo semplicemente sentito di voler fare qualcosa di differente, avevamo bisogno di esplorare qualcosa che per noi fosse fresco e nuovo. Al momento eravamo molto interessati alla semplicità della musica e così la nostra passione venne diretta verso una struttura musicale più elementare ed un approccio più diretto. “Superb birth” ha inoltre una vaga energia oscura e le canzoni sono più hard rock poiché questo ciò verso cui ci portava la Musa in quel momento. Facciamo semplicemente le canzoni di cui abbiamo bisogno; la nostra maggior preoccupazione non è quella di essere o meno progressive. Quando abbiamo fatto le canzoni di “Think like a mountain” abbiamo sentito di voler fare un album molto vario e dinamico, dove ogni canzone potesse essere un mondo a sé stante perché avevamo idee artistiche diverse che volevamo realizzare. Anche il nostro primo album era molto vario e dinamico, così può sembrare che abbiamo voluto ritornare alle origini; in qualche modo, credo che tu possa dire che lo abbiamo fatto ma, d’altra parte, il prossimo album potrebbe di nuovo essere qualcosa di diverso. La musica è una forza di natura che è molto difficile da predire.

In “Infinite justice” si parla di guerra. Un tema che non avete mai affrontato, credo. Vi siete ispirati in maniera specifica alla guerra in Afghanistan?
Ciò è corretto. Ciò che è avvenuto l’11 Settembre 2001 è stato orribile. Apparve come irreale e veramente nauseabondo. La gente muore per la guerra, l’oppressione e la povertà ogni giorno, ma quest’evento è stato scaraventato in faccia a tutti noi dai media. Vedevi quelle torri crollare giù di nuovo e poi di nuovo e di nuovo ancora alla TV ed era difficile girare lo sguardo e non vederle. Era quasi ipnotizzante in un modo che può far paura. Poi, gli eventi politici successivi in Afghanistan e specialmente in Iraq sembravano semplicemente prolungare la sofferenza e la confusione.. Ero affascinato dal fatto che gli USA chiamassero la loro operazione (di rivincita) “Giustizia Infinita”. Questo ovviamente ti fa riflettere: la giustizia di chi? Tutti a nostro modo vogliamo giustizia, ma dove ci porterà tutto ciò? E’ un problema estremamente difficile da risolvere. Abbiamo disperatamente bisogno di energia positiva e per ciò c’è bisogno di altruismo, disposizione al compromesso, empatia, saggezza e duro lavoro. Ma l’operazione “Giustizia Infinita” ha avuto poco a che fare con tutto ciò. L’approccio violento va avanti. La nostra canzone “Infinite justice” parla della frustrazione personale e della confusione causata da questi eventi.

Una curiosità: a cosa si riferisce il testo di “Breathing”?
Quella canzone ha avuto diverse versioni, sia dal punto di vista musicale che per quello delle liriche prima di arrivare alla versione che è finita poi sul CD. Originariamente la canzone era una “emigrant song” piuttosto diretta. Stavo leggendo e pensando alla gente obbligata a lasciare la propria terra natale per un futuro incerto in un diverso contesto e una diversa cultura. In Svezia (così come in molte altri paesi europei) abbiamo alcuni canti tradizionali risalenti alla fine del 19° secolo riguardanti queste situazioni. Possiamo solo immaginare la sofferenza che questa gente ha attraversato. Cosa provavano quando la povertà e la fame li costringeva a vendere i loro beni e le loro case e quando vedevano per la prima volta la nave che li avrebbe portati oltre un inimmaginabile e vasto oceano, verso un mondo di cui non conoscevano nulla? Cosa provavano quando salivano a bordo di quella nave e si rendevano conto che avrebbero potuto non tornare mai più indietro? Ovviamente in altre parti del mondo la gente è ancora obbligata a lasciare le loro terre e tutto ciò che conoscono per un futuro incerto. Questi elementi sono certamente ancora lì nella versione del CD, ma le liriche sono forse più poetiche, sognanti e impalpabili.

Col senno del poi come giudicate i vostri precedenti album? Potendo, cambiereste qualcosa in particolare?
Ne siamo molto orgogliosi. Nessuno di essi è stato fatto in modo arbitrario. Sono tutti onesti e rendono un’idea accurata di cosa stavamo passando al tempo in cui erano stati realizzati. Al livello dei dettagli ci sono sempre una o due cose che senti avrebbero potuto essere fatte in maniera diversa ma il quadro complessivo è corretto. Non rimpiangiamo il quadro generale che abbiamo prodotto e la storia infine non sarebbe cambiata. Naturalmente di volta in volta ci stanchiamo del vecchio materiale, dato che l’abbiamo suonato per così tanti anni. Oggi sento che il nostro primo album è stato un album molto speciale, musicalmente molto ricco e con un senso di energia giovanile. Questo è il motivo per cui è stato ristampato dalla nostra nuova etichetta Tempus Fugit/Inside Out. Il nostro secondo lavoro venne fatto quando non avevamo una vera e propria etichetta, così la distribuzione fu insufficiente e non circolò granché, così anche quest’album verrà forse ristampato entro breve tempo. Per me ci sono alcuni ottimi momenti in quell’album e credo che meriti una seconda possibilità.

Cosa significa per voi pensare come una montagna?
Per me pensare come una montagna vuol dire essere capaci di identificarsi con altre cose oltre a noi stessi e altri esseri umani. Si tratta di identificarsi col mondo, la natura, con ciò che ci circonda. Nelle culture animiste ciò è cruciale ed assolutamente essenziale nella vita. Quando la gente non si identifica con l’ambiente naturale, la comunità diviene malata. In ordine di restaurare l’equilibrio, devono essere consultati gli abitanti e i processi del mondo naturale. In breve: la salute della comunità umana è dipendente da una buona e costante comunicazione col mondo naturale. La frase specifica “pensare come una montagna” trae origine dal libro “A sand country almanac” (1949) dell’ecologista e naturalista americano Aldo Leopold. Lui era in origine un cacciatore, ma un’esperienza diretta con un vecchio lupo morente (al quale aveva egli stesso sparato) causò una svolta nella sua vita. Ciò che vide fu un fiero fuoco verde che si spengeva negli occhi del lupo. Scrisse in un capitolo intitolato “pensare come una montagna” che: “c’era qualcosa di nuovo per me in quegli occhi, qualcosa conosciuto soltanto al lupo e alla montagna. Ho pensato che poiché meno lupi significa più cervi, nessun lupo significherebbe il paradiso dei cacciatori. Ma dopo che ho visto il fuoco verde morire, ho percepito che né il lupo né la montagna avrebbero approvato uno spettacolo simile. La montagna è naturalmente una metafora riferita al vecchio ecosistema come un tutt’uno, una presenza vivente, coi suoi cervi i suoi lupi e gli altri animali, le nuvole , il suolo e le correnti.

Molte delle vostre canzoni si ispirano alla grandezza di madre natura. Quale importanza ha la natura nella vostra musica e nel vostro modo di essere?
La natura è vita. Noi siamo la Natura. In ogni momenti siamo dipendenti dagli altri esseri viventi e dai meravigliosi processi naturali con i quali abbiamo avuto a che fare da milioni e milioni di anni. Puoi trattenere il fiato soltanto per un paio di minuti; hai bisogno costantemente di inspirare aria prodotta dal pianeta vivente o anche la tua vita viene a cessare. Dentro i nostri corpi ci sono microrganismi che compiono lavoro vitale per noi, non abbiamo neanche bisogno di pensarci. Se questi smettono di fare il loro lavoro la nostra vita finisce. Capire questo significa comprendere cosa significa davvero vivere. Gli uomini producono cultura ma siamo natura esattamente come il salmone, l’acqua del lago, le giraffe, le nuvole, i batteri, le foreste. Questo è un fatto, non importa cosa pensiamo. Quando moriamo il mondo naturale si prende cura di ogni singola parte di noi e l’energia rilasciata nel processo è utilizzata per guidare gli stessi stupefacenti processi che rendono possibile la vita. Questo va continuamente avanti. Inoltre l’ambiente naturale possiede una bellezza senza tempo che in genere ci fa sentire bene e rilassati. Se siamo in cerca di fiducia, significati, armonia vera, un senso di casa, bellezza, là è dove dobbiamo cominciare a cercare: nel mondo naturale. Ma oggi siamo generalmente troppo urbanizzati e troppo coinvolti nelle nostre faccende sociali e nelle nostre carriere e ce ne dimentichiamo. Possiamo solo vedere ciò che il cervello umano produce. Questo crea una reazione sbagliata da parte nostra e diveniamo antropocentrici. Per molti di noi, la natura è solo un fondale che non necessita la nostra seria attenzione. Pochi di noi riescono a sperimentare il mondo naturale coi propri sensi su basi regolari, cosicché ce lo dimentichiamo. E collettivamente ci scordiamo che causiamo danni, non solo all’ambiente naturale, ma anche al nostro piccolo. Abbiamo tutto da guadagnare iniziando di nuovo a identificarci col mondo naturale. Per me, suonare coi Ritual è talvolta un rituale, ove posso lavorare sul senso di perdita e separazione che sento dal non avere abbastanza natura nella mia vita. Questo risalta da molte delle nostre liriche.

Nella vostro ultimo album c’è ancora una volta una canzone ispirata ad una novella della scrittrice finlandese Tove Jansson: cosa è che vi affascina di più di questa scrittrice?
I racconti di Tove Jansson hanno un certo stato d’animo. Sono molto ricche ed hanno molte chiavi di lettura; sono divertenti, malinconiche, misteriose, avvincenti. I personaggi che vivono nella Moomin Valley sono unici e talvolta sembrano comportarsi in modi strani ma, allo stesso tempo, è molto facile identificarsi con loro. Talvolta sono come archetipi dei nostri caratteristici tratti distintivi. C’è qualcosa degli “Hemulen” o dei “Fillydjonk” in ognuno di noi. Sento sempre una certa musica nella mia testa quando leggo quei libri. Come gruppo pensavamo fosse interessante realizzare quella musica. La canzone “Moomin Took My Head” non è veramente ispirata a una specifica novella di Tove Jansson. Piuttosto tratta dell’ispirazione di per se stessa, l’ispirazione che ci ha dato in generale. E’ una canzone in onore alla memoria di Tove, morta nel 2001.

Cosa pensate di avere in comune con le altre band svedesi che suonano progressive e quale pensate invece che sia il vostro elemento distintivo?
E’ una domanda molto difficile cui rispondere. Mi spiace ma devo dire che non sono molto familiare con la musica di altre band svedesi progressive o col nuovo progressive in generale. Naturalmente ho avuto modo di ascoltare i Flower Kings, Kaipa e altre band del genere, ma non ascolto questa musica regolarmente. Abbiamo suonato assieme ai Flower Kings a Londra lo scorso anno ed abbiamo così avuto modo di vederli e sentirli dal vivo di nuovo ed è stato bello. Ma io non sono un prog fan in particolare. Non lo so per certo, ma forse questo è vero anche per altre band; voglio dire, forse non ascoltiamo molto ciò che altre band stanno facendo. Questo potrebbe spiegare perché ogni gruppo è diverso dall’altro: i Flower Kings sono molto diversi dagli Anekdoten, gli Anekdoten sono molto diversi dai Ritual, e così via. Forse la cosa in comune che abbiamo è la passione per fare musica interessante e che molti fra noi hanno ascoltato gruppi come Yes, Crimson o Gentle Giant. Per ciò che concerne i Ritual, credo che due fattori distintivi siano le componenti folk ed etniche e la voce di Patrik Lundström.

In 10 anni avete pubblicato appena 3 album, c’è mai stato un momento in cui avete pensato di sciogliere la band?
No, mai. Patrik, Johan ed io suoniamo insieme dal 1988; Jon si è unito nel 1993. Abbiamo suonato insieme per così tanti anni e ne abbiamo passate tante insieme. Siamo come una famiglia. Ma non vogliamo sovraccaricare i nostri rapporti: ognuno di noi ha altri lavori e progetti al di fuori dei Ritual. Patrik e Johan hanno figli. In effetti i Ritual sono a tutti gli effetti una non-profit hobby band, qualcosa da cui non abbiamo mai guadagnato un lira (cerchiamo solo di coprire i costi). Economicamente è una hobby band, ma musicalmente ed artisticamente è ciò a cui teniamo di più. Ritual è il luogo dove risiede il nostro cuore comune. La cosa positiva a questo proposito è che noi possiamo fare esattamente ciò che vogliamo e possiamo seguire la nostra propria ispirazione.

Il ricordo più bello di questi 10 anni legato ai Ritual.
Un’altra domanda difficile, ci sono così tanti ricordi. I momenti più magici ovviamente sono quelli quando senti di aver portato a compimento qualcosa cui veramente tenevi in modo particolare, come quando ascolti una nuova canzone prendere vita in studio, o quando abbiamo fatto concerti belli ed ispirati. A parte ciò ci siamo divertiti parecchio nei tour che abbiamo effettuato. Se non fossi stato coi Ritual non avrei visitato molti paesi europei come invece ho fatto. Un momento speciale che mi viene alla mente è stato quando Jon, Johan ed io abbiamo suonato brani da “Awaken” al matrimonio di Patrik. Un amico del gruppo suonava la chitarra; abbiamo messo batteria ed amplificatori sulla pedana del coro e Jon suonava l’organo della chiesa. Patrik e sua moglie non sapevano nulla di tutto ciò, è stata una completa sorpresa. Il suono era piuttosto potente e preponderante in quella grande chiesa. Sono stati momenti molto belli.

Dato che tutti voi, credo, avete altre esperienze musicali, cosa significa per voi far parte dei Ritual, dal punto di vista musicale ed umano?
Come ho detto prima, i Ritual sono una famiglia. Siamo in effetti quattro caratteri molto diversi che hanno vite differenti, ma abbiamo questa visione comune che sfocia nella nostra musica. Ritual è un forum per una certa espressione musicale. Non è sempre facile, economicamente e praticamente, ma il bisogno di creare qualcosa insieme è sempre là. Questo rende la mia vita più ricca.


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