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PAGANI, MAURO Alberto Nucci
 

Questa non è una vera e propria intervista, quanto un sintetico riassunto delle domande, e relative risposte, che abbiamo rivolto a Mauro Pagani durante e dopo una conferenza che lui ha tenuto alla scuola per stranieri di Siena lo scorso 9 marzo poche ore prima di salire sul palco per un concerto a fianco di Fabrizio de André. La conferenza aveva per tema la musica italiana nel suo insieme, ma ovviamente il discorso è scivolato su altri argomenti, grazie anche alla gentilezza e la disponibilità di Mauro.

La musica italiana può ritornare a far fare una tournée americana ad un suo gruppo, come successe con la PFM, o è condannata, secondo te, a vivacchiare ai livelli attuali?
In Italia abbiamo un'industria discografica che è l'esatto corrispondente della nostra classe politica e della nostra società civile: scadente, senza qualità né dignità. Oltre a ciò, essa è povera. Si tratta di una realtà di produzione e distribuzione di mercè che muove pochi soldi e non ha alcun potere contrattuale. Si è infilata in un vicolo cieco perché il sistema di distribuzione costringe in pratica il negoziante ad acquistare solo ciò che è sicuro di vendere. In più, alle televisioni non conviene più chiamare cantanti come ospiti delle proprie trasmissioni (a costo zero perché 4 minuti di canzone costa meno di 4 minuti di spettacolo) poiché si sono accorte che la presenza di cantanti fa abbassare l'audience. L'industria discografica poi è composta di persone che pensano che è meglio non intendersi di musica, altrimenti si sarebbe influenzati dai propri gusti, mentre è giusto proporre quello che la "gente" vuole. Ecco che, accettati tutù questi concetti, appare naturale che la casa discografica non investa in ciò che non è sicura che valga (secondo lei) il denaro speso. Non vengono effettuati, quindi, investimenti su giovani o su gruppi un po' al di fuori della solita cerchia dei cantantini (l'unica musica italiana che riusciamo ad esportare). A tutto ciò aggiungiamo il problema non indifferente della lingua e vedi perché non abbiamo cantanti italiani che fanno il tutto esaurito nelle loro rare tournée all'estero.
Non c'è quindi speranza per una internazionalizzazione del prodotto musicale italiano?
Al momento l'Italia, musicalmente parlando, è un gradino al di sotto persino del Terzo Mondo che, con la sua povertà, ha però una sua cultura. Alle conventions internazionali dei produttori musicali il prodotto interno italiano, così come quello greco, per esempio, non viene neanche preso in considerazione. Siamo territorio di conquista in quanto la musica italiana si identifica solo con la vecchia canzone napoletana e con "Volare". I pochi artisti Rock che abbiamo in Italia sono dei plagiali, mentali e di fatto: Zucchero sta saccheggiando il repertorio R'n'B degli anni '60, ma non può aver successo in Inghilterra perché lì di artisti come lui ne hanno a dozzine...
E la PFM come ha fatto ad imporsi, a suo tempo?
Inizialmente fu un discorso inconsapevole. Noi non ci eravamo resi conto del perché ci eravamo ritagliati uno spazio all'estero. Noi non sapevamo di avere un suono tipicamente italiano; tutto ciò che facevamo era casuale, buttando tutto ciò che ci passava per la testa nella nostra musica. Questo ci permise di crearci un'identità. Il nostro errore fatale fu quello di cercare di diventare un gruppo Rock internazionale, perdendo così le nostre peculiarità.
Perché uscisti dalla PFM?
Sentivo che stavo ormai recitando un ruolo non più mio. Mi pareva assurdo continuare ad andare a giro per il mondo e saltellare sul palco urlando "celebration!". Noi tutti eravamo stanchi di ciò ed io proposi di fare una pausa di qualche anno per ritornare poi con idee fresche; gli altri hanno preferito invece continuare a fingere. In quel periodo poi stavo cominciando ad interessarmi a modi diversi di fare musica, ciò che portò poi ai miei studi sulla musica etnica. Due tappe fondamentali in questo senso furono l'album coi CARNASCIALIA (1978), una stupenda unione di più musicisti provenienti da esperienze diverse, che però poi mi ha bollato come "artista difficile", pregiudicandomi un certo tipo di carriera (i produttori inizialmente pensavano che, uscito dalla PFM, avrei fatto la PFM da solo!), e "Creuza de ma" con de Andre, forse la sublimazione degli studi di cui parlavo (e ne ha parlato per mezz'ora - ndA).
E del prossimo disco della PFM che mi puoi dire (era più di un'ora che cercavo il momento per fare questa domanda - ndA)?
Guarda... la PFM è un discorso specioso (cominciamo bene - ndA). Si può fare un disco perché si ha qualcosa da raccontare, perché si vuole raccontare le proprie voglie e i propri pensieri. Salire sul palco a far vedere le proprie "masturbazioni mentali" ha un senso... se ha un senso; va bene quando si è giovani. Trovo che di dischi non ce n'è bisogno, con i milioni che già ci sono in giro. Fare un disco oggi vuol dire avere davvero qualcosa da dire, cioè occorrerebbe che tale disco non fosse solo un'unione dei dischi solisti di Pagani, Di Cioccio, Premoli, ecc., bensì avesse dei contenuti corali, fosse un disco della PFM Quando eravamo insieme ogni disco che sfornavamo era il frutto del nostro stare insieme, delle prove, delle esperienze comuni. Per il momento non vedo molto la necessità che tale disco esista, devo ancora entrare nell'ordine di idee di una tale situazione. Sai, mano a mano che si invecchia si diventa un po' vampiri, si ha cioè bisogno di sangue giovane per sopravvivere. Ecco, secondo me questo nuovo progetto della PFM avrà un futuro se si riuscirà ad inserire del sangue giovane; ciò servirebbe a dare nuova energia ed entusiasmo ad una unione che è morta per cause naturali già vari anni fa. Personalmente sono un po' terrorizzato da queste reunion in cui ognuno di colpo riprende il ruolo che aveva 15 anni prima, e se non ha funzionato 15 anni prima... Noi non abbiamo mai litigato, c'è un contratto firmato e penso che il disco si farà, forse non saremo tutti e cinque, ma sarà la nostra fortuna.

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