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BARBARO Barbaro Krém 1990 UNG
 

I Barbaro iniziano la loro carriera nel 1987, in un vecchio scantinato dove Sándor Cziranku (chitarra), Sándor Herpai (batteria), Miklós Lengyelfi II (basso), Ökrös Csaba (violino) e Tzortzoglou Jorgosz (voce solista e darbuka) si incontrano per provare. L’esordio sulle scene avviene lo stesso anno in occasione del festival folk di Diósgyőr, dove riescono ad attirare l’interesse del pubblico, ma la prima formazione non durň a lungo e sia Ökrös che Lengyelfi lasciarono la band, venendo rimpiazzati rispettivamente da Nikola Parov e da Tamás Zsoldos. Arriviamo quindi al 1990, un anno molto significativo per l’Ungheria che si trova ad affrontare le sue prime elezioni libere dal 1945. Questo anno rappresenta anche una specie di spartiacque del Progressive Rock ungherese che segna allo stesso tempo la fine di un’epoca, che si chiude simbolicamente con l’addio dei Solaris, con l’album che si intitola proprio “1990”, e l’inizio di una nuova era, inaugurata dal debutto discografico degli After Crying con lo splendido “Overground Music”.
Proprio ora i Barbaro stampano su vinile il proprio debutto discografico, intitolato semplicemente “Barbaro I”, per una divisione di quella che era stata l’etichetta di Stato della fu Repubblica Ungherese dei Soviet, la Hungaroton. I pezzi proposti, 5 per ogni lato, si basano su melodie tradizionali, riarrangiate e stravolte in chiave rock, con sonoritŕ piuttosto ruvide e ritmiche insistenti, ma con un effetto globale inconsueto e suggestivo. Contribuisce alla creazione di questo accattivante ibrido musicale anche la mescolanza fra strumenti rock e tradizionali, fra i quali troviamo la gadulka, strumento ad arco di origine bulgara, la gajda, un tipo di bagpipe macedone, il kaval, un antico flauto balcanico, il kanun, un salterio arabo, e l’ud, un cordofono della famiglia dei liuti. Lo stile della band oscilla cosě fra il rock progressivo, il jazz rock, l’avanguardia e fragranze balcaniche, mediorientali e zigane.
Le liriche cantilenate di “Kerek a szölö…” (tonda č l’uva) vengono sottolineate in maniera insistente da chitarre pesanti e sferzate Crimsoniane, traformando la ripetitivitŕ del classico motivo folk in una specie di ossessione. In “Haramia” (bandito) entra in gioco il violino, suonato quasi con violenza, che intesse melodie dal sapore zigano che sembrano entrare nel sangue di chi le ascolta. “Bánat” (dolore) č costruita su una trama drum&bass molto pronunciata e vivace, su cui si fanno strada le liriche, basate su una poesia di József Attila, uno dei piů importanti poeti ungheresi del XX secolo, dalla vita molto travagliata. La musica acquista qui accenti avanguardistici, con un sax schizofrenico ed un canto che si trasforma in un lamento doloroso ed insistente. “Kórus” (coro), basata sui versi di Lászlo Nagy, scrittore svizzero di origini ungheresi, si apre con suoni stranamente distesi che si protendono verso ritmiche dal sapore un po’ funky, con uno stile che richiama un po’ i Crimson di “Lark’s”, riletto con una formula piuttosto inedita. Chiude il lato A la ballad “Elment a zén rózsám” (la mia rosa se ne č andata) con i suoi suoni che sembrano un rigurgito del decennio appena trascorso.
L’album č nel complesso molto equilibrato anche se il lato B ci offre pezzi forse leggermente piů complessi e per certi aspetti anche piů riflessivi, come per esempio il pezzo di apertura, “Adjon az isten”, (Dio ti dŕ), che si basa sempre su una poesia di Lászlo Nagy. “Kesergés”, che significa “lamento”, č in effetti una sorta di pianto in musica che acquista una strana dimensione Floydiana. Con “Gyere ki te” (vieni fuori) la musica torna ad essere funky e cadenzata ma non priva di inconsuete aperture jazz-rock. “Barbaric tánc” rappresenta forse il vertice dell’intero disco, per il modo in cui diversi stili vengono mescolati a formare qualcosa di turbinante ed attraente. La traccia di chiusura infine, “Hösi ének” (canto eroico), si mostra molto piů profondamente legata al patrimonio folk, con il darbuka sinuoso e melodie che sembrano provenire da un lontano passato nomade, che si trasformano in qualcosa di elettrico ed attuale. E’ difficile resistere al richiamo di questo album, cosě crudo ma cosě penetrante, e direi che il nome “Barbaro” si rivela adattissimo a spiegare in una sola parola le impressioni che derivano dal suo ascolto.
Nel 1992 i barbaro cominciarono a lavorare ad un nuovo album, “Barbaro II” (decisamente inferiore rispetto al debutto), che vede la luce solo due anni piů tardi, aggiungendo al repertorio tradizionale anche i propri pezzi, ma Nikola, insoddisfatto della nuova direzione musicale, abbandona il gruppo. Ben presto anche Jorgosz, per le tensioni interne divenute insopportabili, lascia la band che alla fine si scioglie. Dei “Barbaro” esiste anche un terzo ed ultimo disco, uscito su CD nel 2007, “Barbaro III”, frutto di un gruppo rimesso in piedi per volere di uno dei leader, Sándor Herpai, ma il sound si č trasformato in qualcosa di piů asciutto e pesante che si č spogliato di tutte quelle influenze che rendevano unico lo stile dei Barbaro. Questo terzo album č probabilmente anche l’episodio finale della band perché a quanto pare i dissidi interni sono divenuti insanabili e ostacolano anche un’eventuale opera di ristampa del materiale esistente. “Barbaro I” si puň trovare con un po’ di pazienza a prezzi non scontatissimi ma neanche esorbitanti ed il suo acquisto č sicuramente consigliato, nonostante non si tratti certamente di un disco a buon mercato.

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Jessica Attene

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