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GRATTONS LABEUR Le bals des sorciers ABA 1977 FRA
 

Purtroppo le notizie biografiche che ho potuto reperire riguardo a questo gruppo sono piuttosto frammentarie e riguardano soprattutto la vita di Danielle Messia, cantautrice di origine israeliana, trasferitasi a Parigi nel 1958 e morta purtroppo nel 1985 all’età di 29 anni per leucemia. I Grattons Labeur rappresentano la prima esperienza discografica di Danielle che avrà anche una breve carriera solistica scandita dalla pubblicazione di tre LP. Questo è l’unico disco uscito a nome Grattons Labeur i quali però compaiono anche nell’album “C’etait en…” del 1976 di Maurice Benin, cantautore e proprietario dell’etichetta discografica ABA. Quello che colpisce di questo delizioso album folk rock è il tono confidenziale delle canzoni che sembrano interpretate da un gruppo di amici che si ritrovano a condividere esperienze e racconti attorno al focolare. E questa visione non è probabilmente molto lontana dalla realtà. Come il gruppo spiegò in una intervista comparsa nel 1978 in una vecchia rivista musicale, “L’escargot folk?”, lo scopo dei Grattons Labeur era quello di scambiarsi le canzoni preferite e le proprie composizioni personali. Attraverso lo scambio reciproco avviene la ricerca e la conoscenza dei pezzi tradizionali che passano così di mano in mano, di orecchio in orecchio, in maniera orizzontale ed individuale, come spiega il gruppo, e non come una cosa imposta dall’alto dai media. Questo tono confidenziale ed amichevole emerge anche dalla decisione di segnalare nella copertina dell’album solo i nomi di battesimo dei musicisti: Denis al mandolino, bouzouki e alla voce, Danielle, voce, violino, flauto e chitarra, Patrice al dulcimer, alla chitarra al liuto, alla fisarmonica e alla voce, Anne-Marie, canto e flauto dolce ed infine Patrice, voce, chitarra, flauto dolce, mandolino e bongo. Come la realizzazione, così anche la distribuzione è avvenuta in maniera casalinga, ad opera dei membri stessi del gruppo che in questa maniera, evitando di passare attraverso i corridoi ufficiali offerti dalle case discografiche, hanno voluto proteggere il folk e la propria musica dalle leggi spietate del consumismo e del mercato.
L’album contiene sia canzoni tradizionali che pezzi autografi, tutti suonati in punta di dita, con delicatezza, e cantati in maniera quasi sussurrata, ad una o più voci. L’apertura, “L’aguillaneu”, è cantata da un coro di voci maschili e femminili con una base scandita principalmente dal violino che ispira un dolce senso di malinconia. Nella parte centrale, quando entra la fisarmonica, viene introdotto un gioioso ritmo di danza mentre in chiusura vi è un breve idillio strumentale che il gruppo ha creato ispirandosi al pezzo tradizionale. “L’aguillaneu” è il nome di un’usanza che ha a che fare con l’inizio del nuovo anno ed indica anche la canzone che si canta in questa occasione. Fra i pezzi più belli dell’album troviamo la successiva “La blanche biche”, una versione molto evocativa di un motivo tradizionale che si ispira ad una antica leggenda scandinava che è stato ripreso anche dai Malicorne. La musica, tenue e sognante, si abbina ad un linguaggio fatto di simboli e visioni ed evoca attraverso immagini fantastiche ed allusive il tema dell’incesto. La successiva “Down the Hill” è una breve melodia irlandese, interpretata da un flauto leggiadro, dal liuto e dalla chitarra. “Chant de la noisille” è ancora una volta un pezzo tradizionale mentre il primo pezzo originale che troviamo nell’album è la title-track che chiude il lato A, un incantesimo dei Grattons Labeur, come specificato sulla copertina. Il pezzo è in effetti molto particolare, ritmato con parti corali che in qualche modo ricordano una sorta di strano sortilegio lanciato in una notte di luna piena.
Il lato B contiene 6 pezzi, tutti piuttosto brevi, come la durata complessiva dell’album che non raggiunge i 35 minuti. Fra i brani da ricordare inserisco “Complainte des tisseuses de soie”, scritto dal gruppo basandosi sui versi di Chretien de Troyes. Ci sono poi altri due brani originali, entrambi dal sapore cantautoriale, “Lisalotté, la montagne d’été” e “Peut-on leur échapper?”, il secondo dei quali molto umorale e affine in qualche modo ai canti gospel. Troviamo anche un pezzo cantato in inglese, anch’esso tradizionale, “Newlin’town”, che inevitabilmente si distacca un po’ dagli altri brani e ricorda quasi qualcosa dei Pentangle.
Consiglio questo album agli amanti del folk francese, per l’interpretazione fresca, personale ed intimistica che è stata data a pezzi tradizionali dal fascino antico ed immortale. Nel suo piccolo si tratta di un gioiello che nasce senza troppe pretese e proprio per questo è destinato secondo me a piacere e a lasciare un’impronta nell’animo di chi è dotato di una certa sensibilità. Purtroppo l’album non si trova molto agevolmente e spesso i prezzi non sono proprio abbordabili, ma con un po’ di pazienza sono sicura che sarete accontentati, come è successo a me che già da un po’ gli davo la caccia.

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Jessica Attene

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