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MOORE, R. STEVIE Glad music New Rose Records 1986 USA
 

Artista più unico che raro Stevie Moore è da considerarsi a tutti gli effetti come un vero e proprio eroe delle produzioni casalinghe, nella sua sterminata discografia quest'artista proveniente dal New Jersey può vantare la realizzazione di oltre un centinaio di titoli suddivisi in nastri autoprodotti, Lp e svariate registrazioni live. Alla luce delle sue realizzazioni orgogliosamente autarchiche Stevie Moore è da ritenersi attualmente uno dei pochi veri portabandiera della musica indipendente. Attivo sin dal 1967, data della prima incisione su nastro, Moore è riuscito a crearsi una propria particolarissima dimensione artistica aperta alle più disparate fonti d'ispirazione, con un occhio di riguardo verso il rock-pop degli anni '60, il tutto baciato dal suo singolare e delizioso senso dell'umorismo: la propensione nel riproporre con vena satirica un repertorio musicale e popolare ormai diventato parte stessa della cultura di massa occidentale fa di Stevie Moore un perfetto discepolo zappiano, specialmente là dove quelle canzoni apparentemente assurde e sciocche in realtà assumono le caratteristiche tipiche delle leggendarie stupid songs tanto care a Zappa. "Glad music", sesto lp composto da Stevie Moore, è stato pubblicato nel 1986 dall'etichetta francese indipendente New Rose Records. La spiritosa copertina in pieno stile "Hard day's night" spazza via ogni dubbio sull'amore incondizionato che Stevie nutre per i sixties, non a caso fra le tre cover incluse sul disco è presente proprio una spassosa versione del singolo d'esordio beat-psichedelico datato 1966 degli Association, "Along comes Mary"; le altre due cover non sono altro che il riadattamento a cappella di un vecchio brano gospel "I wouldn't mind dyin'" ed una rilettura in chiave satirica della "I love you so much it hurts" di Floyd Tilman... Al di là delle cover presenti "Glad Music" rappresenta comunque una grande prova dello straordinario ed impavido eclettismo dell'autore. A rendere tanto singolare questo lp è la quantità di emozioni, spesso contrastanti, che esso riesce ad evocare da una serie di brani stilisticamente agli antipodi fra loro ma racchiusi entro un quadro artistico ben definito e preciso. Il brano d'apertura del disco, "Norway", una surreale e malinconica ballata folk venata di jazz dai toni vagamente canterburiani precede un buffo pezzo rock alla Kinks, "I like to stay home", che in qualche modo potrebbe essere visto come il manifesto ideologico di Moore; si prosegue con una misteriosa esibizione live (?) di un brano un attimo contorto come "Part of the problem" e questa volta Stevie si avvicina, a modo suo, alla new wave, fino ad arrivare al tellurico e delirante hard-rock zappiano di "He's nuts" ed alla presa in giro doo-wop di "Don't let me go to the dogs". Il lato b procede grossomodo sulle stesse coordinate musicali della prima parte del disco: la potente e zuccherosa "Why should I love you?" apre il lato nel migliore dei modi per condurci verso altre perle di creatività psichedelica come "Colliding circle" e "Time stands still" sino alla conclusione del disco con un brano sinfonico-strumentale, "The strange", che ci riporta al clima romantico e sottilmente surreale di "Norway".

Giovanni Carta

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