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MASTER CYLINDER Elsewhere Inner City 1981 USA
 

E’ dato abbastanza assodato che negli USA il verbo progressivo abbia sempre avuto riscontri inferiori rispetto a certe zone europee o sudamericane. Però certi prodotti di nicchia e poco o niente conosciuti hanno mantenuto un fascino indiscutibile. Questa band texana, pur partendo da una jazz rock fluido e nei canoni del genere, approdò ad una forma musicale che ha nel Canterbury Sound il punto fermo delle proprie mire, come ben rilevabile da questo “Elsewhere”, che brevemente mi piace indicare come “sorpresa”. Ed è sicuramente una piacevolissima sorpresa il suo ascolto. Fin dai primi solchi (sì, si tratta di vinile) il lavoro si presenta come un’amabile roundabout centrato su una fusion molto ben suonata, ma non ipertecnica, con un sound prettamente canterburyano, tra gli Egg di Polite Force, i Gilgamesh e i National Health di Of Queues and Cures, assai ben miscelato ad elementi zappiani e di più ordinato jazz e, infine, senza dimenticare qualche ottimo spunto riconducibile ai connazionali Happy The Man. Insomma, i Master Cylinder, hanno generato un disco assolutamente imprescindibile per chi sia interessato al fenomeno del Canterbury al di fuori della corrente madre, ma anche per chi abbia voglia di ascoltare un ottimo album di jazz rock. La particolarità della proposta viene anche evidenziata dalla presenza del contrabbasso, che oltre ad aumentare la quota di tendenza jazzistica, genera un sapore piuttosto personale e devo dire molto piacevole, non guasta neppure che il bassista sia, oltretutto, decisamente bravo. Analogo discorso, ovviamente, anche per gli altri componenti del gruppo, specie per il tastierista che si divide tra il fender Rhodes e i synth in maniera molto calda e avvolgente. Bel lavoro alla chitarra con stile che si può collocare tra il John McLaughlin di Extrapolation e il Phil Miller canterburyano. La parte ritmica, seppur sempre presente, non va mai a voler dominare, ma l’egregio lavoro poliritmico ci restituisce un musicista di assoluto rispetto. Un’ottima sezione fiati completa un quadro arioso e dedito ai toni caldi della materia, senza voler strafare e con la giusta umiltà, che maggiormente ci fa apprezzare il lavoro. Sette i brani che compongono il disco, dalla breve e decisamente hatfieldiana ”Silhuette” alle più lunghe, dalle trame più complesse e variabili “Plus 3” e “Elsewhere”. Quest’ultima, in particolar modo, si fa ben giudicare per gli spunti melodici uniti a parte improvvisate, facendoci capire che non necessariamente il jazz improvvisato siano coincidenti con l’assenza di melodia. Mi piace ancora citare il brano “Blasp 1937” come quello dai caratteri riassuntivi e a rappresentanza di un lavoro che merita assolutamente di essere ricercato, anche per non lasciarlo nel totale dimenticatoio dove il tempo, ingiustamente, lo sta trascinando. Il vinile si trova spesso e a prezzo abbordabilissimo sui mercati on-line, se vi capita una copia non troppo devastata (la mia purtroppo lo è) andate tranquilli.

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Roberto Vanali

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