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CAROL OF HARVEST Carol of harvest Brutkasten lab. 1979 GER
 

Questo disco, abbastanza conosciuto ed apprezzato, pur ristampato in CD (Second Battle, 2001), rimane piuttosto difficile da trovare e il vinile originale viaggia a cifre decisamente elevate. Si tratta di un lavoro dalla musicalità a metà strada tra il prog sinfonico e il folk, con elementi riconducibili a band tipo Renaissance, Jane, Pentangle e Camel e presenta una narrazione dai tratti plumbei e riflessivi, ben bilanciati tra strumenti elettrici ed acustici. Dato fondamentale è la presenza dell’ottima Beate Krause alla voce, che senza arrivare ai picchi di altre colleghe, punta più sull’impatto melodico e sulla espressività interpretativa e il risultato è assolutamente convincente. Molto importante è l’aspetto sonoro che la produzione ha voluto dare al disco, infatti, pur in notevole ritardo temporale sull’epoca di massimo splendore, l’aura psichedelica è molto decisa e gli effetti usati per la voce e per le chitarre del bravo Axel Schmierer risultano dalle caratteristiche molto sixties. Questi suoni uniti a quelli, allora più attuali, dei synth monofonici, creano un effetto molto personale e fuori dal tempo, tanto da non dare un’idea di musica datata neppure ora. Il vinile è composto da una notevolissima suite “Put On Your Nightcap” costruita attorno ad un crescendo sonoro di grande effetto ed eleganza, dove la voce rotola espressiva e cupa, supportata dalle chitarre e dalle note lunghe di synth, fino all’esplosivo finale, vagamente cameliano (Never Let Go?), con un keyboard solo, molto personale e di buona tecnica del tastierista Jurgen Kolb. Particolare strano di questa suite è il batterista Robert Hogn, solitamente puntuale e preciso, che ad un certo punto sembra quasi perdere il senso del tempo, strano che non abbiano ripetuto quella parte, ma andare a sindacare sulle produzioni di allora è da classico ginepraio e, comunque, questione di lana caprina. “You and me” è il classico brano di tendenza folk, con arpeggi di chitarre acustiche in gran evidenza e tema molto melodico con stile riconducibile ai Renaissance. La successiva “Somewhere At The End Of The Rainbow” sfrutta ancora lo sviluppo in crescendo in un’atmosfera molto surreale, trasognata e psichedelica, ancora è la voce della Krause e il suo muoversi sinuoso ad avere parte dominante. Chiudono il lavoro la breve “Trery Eyes” e la più dilatata “Try A Little Bit” più aggressiva ed elettrica e più genericamente “rock”, anche qui una bella sezione tastieristica riconduce a certi temi cameliani. La versione in CD del 2001, vede l’aggiunta di tre tracce bonus, registrate durante un concerto del marzo 1978 a Langenzenn. I tre brani si inserisco abbastanza bene nella proposta originale, anche se “tagliati” appositamente per l’esecuzione live, specie l’ultimo “Brickstone” si avvia come una bella space jam di sapore floydiano, per perdersi, in poco più di un minuto, in una brutale sfumatura, apparentemente senza senso. Credo, come dicevo all’inizio, che il disco sia abbastanza conosciuto nell’ambiente progressive, ma se qualcuno non lo conoscesse e gli capitasse di poterlo ascoltare, beh, credo si farebbe del bene.

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Roberto Vanali

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