Home

 
VERDIER, JOAN PAU Vivre Philips 1976 FRA
 

Negli anni Settanta in Francia fioriscono moltissimi artisti di ispirazione folk. Le terre Occitane e della Bretagna si dimostrano particolarmente fertili e danno origine a tantissime realtà che rivendicano il recupero delle proprie tradizioni e del proprio patrimonio culturale e linguistico. Il titolo dell’album di debutto del cantore Joan Pau Verdier, pubblicato nel 1973, è emblematico e non lascia spazio ad equivoci: “Occitania, Sempre“, una specie di grido che testimonia la presa di coscienza delle proprie radici. Sfortunatamente a Joan Pau non veniva concesso di cantare in langue d’oc (lingua che aveva appreso da suo nonno) nei cabaret parigini dove si esibiva agli esordi della sua carriera, tranne che al caffè Maravedi, gestito da una catalana. Giunto il momento di mettere su disco le sue canzoni, trova la disponibilità dell’etichetta indipendente Ventadorn che però lascia per la Philips facendo scoppiare un vero e proprio caso, attirandosi l’ira e le critiche degli estremisti occitani: viene di fatto considerato una specie di traditore e servo del capitalismo e per questo è boicottato. Ma il desiderio di Verdier è quello di aprirsi al grosso pubblico e lo fa mescolando la musica tradizionale con altri stili e colori e alternando la lingua d’oc a quella francese.
Il debutto discografico ha un approccio intimistico e cantautoriale e Joan Pau, proprio come era abituato a fare nei cabaret, si accompagna sostanzialmente con la chitarra classica. Con il successivo “L’Exil” la musica si arricchisce grazie all’apporto di bravi musicisti ma è il successivo “Vivre” a presentare caratteristiche che lo rendono potenzialmente interessante soprattutto per chi ama il Progressive Rock. Come si può intuire dalla coloratissima copertina, all’aspetto cantautoriale e tradizionale vengono ora a mescolarsi sonorità elettrificate tinte di psichedelia ed elementi sinfonici. L’album è registrato dal vivo e può contare sulla collaborazione di Jean Kraut alla chitarra, Didier Alexandre al basso, Jean-François Leroi alla batteria e Gilles Jerome alle tastiere (pianoforte, piano Fender, Clavinet, organo, sintetizzatori). E poi ovviamente c’è Joan Pau Verdier, con la sua voce cupa e cavernosa da navigato cantastorie che si accompagna con la chitarra. Cabaret, chanson e teatro sono parole che si confanno perfettamente al repertorio di questo artista che affianca ai pezzi della tradizione rivisitati, ballate in lingua francese e arricchimenti musicali particolari ed elettrici. Nel suo insieme l’album è variegato e possiede un sapore abbastanza insolito. E’ curioso come in “Percussions pour un arbre mort” Joan Pau si diverta a tirare in ballo, nel testo della canzone, alcuni punti di riferimento, descrivendo il suo stile decisamente particolare per un semplice album di folk: “esco la notte con i miei lupi musicisti, con i miei lupi poeti di miseria e di disperazione su un tempo infernale, con nella testa i tam tam dell’Africa e dei carnevali di samba, dei cori di Mc Laughlin e la follia del Re Cremisi”. E in effetti fra le pieghe di questi ritmi incandescenti si possono trovare echi di questi personaggi. La musica è una girandola vorticosa su cui la voce di Joan Pau recita e declama come impossessato da uno spirito infernale. Altrettanto particolare è la traccia di apertura, con il suo sound che sembra preludere agli anni Ottanta. I ritmi si fanno cadenzati e quasi funky, il sound sofisticato e la voce di Joan Pau si muove a metà fra la recita ed il canto in una specie di carnevale di suoni e sensazioni. Forse questo pezzo di apertura lascia un po’ spiazzati e in effetti gli episodi migliori vanno ricercati altrove nell’album. Sicuramente i pezzi più interessanti sono quelli in cui le influenze occitane vengono mescolate ad elementi rock, come in “Sirventes II”, un brano evocativo dal sapore medievale, colorato da belle e timide aperture sinfoniche. La voce di Verdier è possente e chitarre e tastiere irrobustiscono suoni a metà fra l’antico ed il moderno. A un pezzo tradizionale ne segue uno in lingua francese (“La malvesine”) in cui la voce di Verdier si fa ora più delicata, aiutata dai toni rilassati del pezzo. Andando oltre troviamo un altro brano decisamente evocativo, “Las Tres Sorres”, che ci riporta nelle terre occitane. Questa volta si tratta di un vero e proprio ri-arrangiamento di un canto tradizionale: una vecchia canzone che veniva cantata nel corso delle lunghe veglie d’inverno dalle filatrici che, divise in gruppi, intonavano alternandosi strofe diverse. Il brano ha atmosfere solenni e progressive, con ricami d’organo e un andamento quasi liturgico.
Il lato B si apre con la ritmata “Proverbes et maximes” che ricorda molto lo stile dei conterranei Dague. In questo pezzo si mescola il francese ad antichi motti occitani, così come ritmi tradizionali si fondono ad una struttura rock. Il risultato è entusiasmante per chi ama certe contaminazioni folk. Nella classica alternanza che caratterizza quest’opera segue al brano appena ascoltato una ballad in francese dal sapore cantautoriale con qualche lieve richiamo country. “Can la freid’aura venta” è un pezzo allegro con coloriture psichedeliche, illuminato da una chitarra dai suoni caldi e dalle fragranze quasi latine, con somiglianze che vagamente fanno pensare a Carlos Santana. “Captive”, romantica e soft, prelude con i suoi morbidi suoni ad un gran finale, quello di “Las Maussieras”, teatrale, espressiva, variopinta, scandita dalla solita bella alternanza fra tradizione e innovazione, morbide colorazioni vintage e rustici suoni folk, con rimbalzi stilistici continui nell’arco di una sola canzone.
Sebbene l’album non sia affatto omogeneo e non nasconda di certo i suoi alti e bassi, lo trovo meritevole di ascolto per la particolarità delle sue idee ed anche e soprattutto per la splendida performance di Joan Pau Verdier che, al di là di tutto, rimane un grande artista dalle mille sfaccettature. La carriera di Verdier non finisce qui e continua tutt’ora. E’ cosa recente la ristampa di alcuni suoi vecchi lavori e dal suo sito si evince che esiste anche un’edizione su CD di questo album che purtroppo però non ho mai visto in giro. Il costo del vinile è comunque abbastanza ragionevole e quindi può dimostrarsi un acquisto interessante per curiosi e appassionati di folk prog.

Bookmark and Share

Jessica Attene

Italian
English