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J.A. CAESAR Shin toku maru Victor 1978 JAP
 

Quest’album pullula di balli cosacchi accompagnati da musicisti prog-punk con la fissazione per i Magma, bassi stridenti rafforzati da canti stregoneschi alla Klaus Blasquiz & Stella Vander, come se Caesar filtrasse i ‘Carmina Burana’ di Orff attraverso ‘Mekanik Destruktiw Kommandoh’”. Con poche righe, nel suo libro “Japrocksampler”, Julian Cope descrive al meglio i contenuti di quest’album, datato 1978, che merita un posto di rilievo nella discografia del progressive rock della Terra del Sol Levante. L’autore di “Shin toku maru” è un personaggio di culto della scena giapponese: Julius Arnest Caesar (vero nome Takaaki Terahara), dopo un’infanzia ed un’adolescenza difficili e turbolente, verso la fine degli anni ’60 entra in contatto con Shuji Terayama ed il suo celebre teatro d’avanguardia Tenjo Sajiki. Comincia così una duratura collaborazione, che vede Caesar impegnato nella scrittura di poesie e di testi, nonché nella composizione e negli arrangiamenti per la musica che deve accompagnare le varie rappresentazione teatrali che si susseguiranno nel corso degli anni. I suoi album realizzati negli anni ’70 sono infatti delle colonne sonore di spettacoli messi in scena, spesso registrate in presa diretta e suonati da un vero e proprio gruppo che accompagna l’autore, gli Akuma No Ie (La Casa del Diavolo), che si presenta con un’ampia gamma di strumenti (da quelli tipicamente rock a quelli più tradizionali e folkloristici). Una delle vette artistiche di Caesar è senza dubbio “Shin toku maru” (“Veleno corpo cerchio”), che narra il dramma di un giovane che, persa la madre, si ritrova costretto a subire atroci vessazioni e torture dal padre e dalla matrigna, fino a venire cacciato di casa. Avrà la sua vendetta ripresentandosi ai suoi aguzzini vestito e truccato come sua madre ed uccidendoli entrambi. L’album, come accennato, è un allucinato mix di avanguardia, progressive, zeuhl, psichedelia, folk e tanto altro. Si apre con melodie semplici e lievi ed un canto malinconico, tutto derivante dalla tradizione dei paesi poveri del Giappone, ma ben presto si cambia registro. Ritmi forsennati passano alla guida e veniamo travolti da cori imperiosi, chitarre elettriche taglienti e rock irruento. Gli amanti dei Magma adoreranno quei passaggi particolarmente altisonanti, dove il basso e la batteria martellano e le voci si lanciano in canti ossessivi. Si avverte sempre un’atmosfera drammatica, tesa, che non lascia sicurezze, anzi spinge verso un senso di alienazione e di tormento non indifferente. Peccato che la musica sia spesso inframmezzata da rumori e, soprattutto, da dialoghi che ci risultano incomprensibili e che, oltre a far venire meno la tensione, rendono un po’ faticoso l’ascolto. Ma l’arte di Caesar è degnamente rappresentata da questo lavoro, che fa capire come anche in Giappone gli anni ’70 furono ricchi di sperimentazione, di voglia di creare qualcosa di nuovo e irripetibile e di dischi che hanno lasciato un segno forte, anche se, specie dalle nostre parti, non sono molto conosciuti. La speranza nostra, come quella del citato Cope, è che l’opera di Caesar, solo in parte ristampata, da quelle cassettine amatoriali create con pochi mezzi e vendute alla rappresentazioni teatrali e ai concerti venga trasferita su nuovi cd, che ci permettano di approfondire la conoscenza di questo incredibile artista e di fotografare ancora meglio un’epoca fervida e inimitabile.

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Peppe Di Spirito

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