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MÉLUSINE La prison d’amour Polydor 1976 FRA
 

Mélusine è il nome di una fata che ricorre costantemente nel folclore di varie parti della Francia; così come la sua immagine non appartiene a nessuna terra in particolare, alla stessa maniera, il gruppo di Jean-Loup Baly (canto, spinetta dei Vosgi, fisarmonica diatonica, flauto), Jean-François Dutertre (canto, viella, spinetta dei Vosgi, mandola, bodhran, bouzouki) e Yvon Guilcher (canto, flauto a becco, crumhorn, bodhran, cucchiai) non è legato a nessuna regione specifica, rappresentando un’icona del folk francese nel suo complesso. Assieme a gruppi come Malicorne o La Bamboche, i Mélusine rappresentano un vero e proprio punto di riferimento del folk francese, celebri soprattutto per essere rimasti fedeli ad una proposta prettamente acustica, come essi stessi precisano con orgoglio nella copertina dell’album di cui parliamo, il secondo della loro ricca discografia (otto dischi in totale, escludendo i vari progetti paralleli). Senza condannare per principio altri tentativi più “progressivi” i Mélusine vogliono mettere a disposizione la propria esperienza di cantori al fine di fare entrare la musica nella vita di ogni giorno di chiunque ed il mezzo scelto, congeniale ad artisti di strada quali amano essere definiti, è quello della musica acustica che potenzialmente può trovare spazio in molteplici occasioni della quotidianità. Musica acustica non significa necessariamente che la proposta debba essere semplice e lineare e infatti questo trio è celebre per i suoi intrecci musicali e soprattutto per le sue polifonie e, non a caso, fra le sue opere, ce ne è una con versioni interamente a cappella (“Voix Contrevoix”, del 1990).
Nella primissima incarnazione della band, risalente al 1973 (anche se i due vecchi compagni di scuola, Jean-Loup e Jean-François, avevano alle spalle già numerose esperienze musicali), troviamo anche la nota cantante folk Emmanuelle Parrenin ed il violoncellista Dominique Regef, che diverrà un celebre suonatore di ghironda (il cui nome troveremo in futuro legato ad innumerevoli progetti musicali). Messo insieme il proprio repertorio in appena due mesi, i Mélusine, così formati, iniziano a portare in giro per la Francia la propria musica che verrà da qualcuno giudicata come “troppo classica”. Hugues De Courson, produttore dei Malicorne, ne rimane invece incantato e raccomanda la band alla Polydor che accetta di stampare il loro primo disco ma a patto che venga registrato da capo. L’orgoglio dei musicisti li porta a rigettare questo compromesso e quello che sarebbe dovuto essere l’esordio dei Mélusine, uscirà due anni più tardi per l’etichetta “Chant du Monde” a nome Le Galant Noyé e col titolo “Ballades et chansons traditionnelles Françaises”.
Dopo una breve fase caratterizzata da una formazione a cinque elementi, grazie all’arrivo di Yvon Guilcher, che aveva fatto nel frattempo un disco per sole voci assieme a Jean-François Dutertre, i Mélusine si riducono a trio, con l’abbandono di Emmanuelle Parrenin, che avrà una splendida carriera da solista, e di Regef. Il gruppo rimette insieme il proprio repertorio e inizia a farsi vedere in giro, talvolta come duo, talvolta come trio, visto che Yvon non era musicista a tempo pieno, ed ottiene un contratto esclusivo con la Polydor. Il vero e proprio debutto a nome Mélusine giunge quindi nel 1975 e comprende anche una bellissima versione di “Pierre De Grenoble”, diversa da quella forse più celebre interpretata dai Malicorne. Nello stesso anno esce, sempre per l’etichetta Chant Du Monde, un album a nome Le Roi Renaud intitolato “Ballades Françaises” con Dutertre e Guilcher.
”La prison d’amour”, il secondo album, esce nel 1976 ed è forse l’opera più bella dei Mélusine. Essa è composta sia da canzoni tradizionali che da brani firmati da Dutertre e Guilcher. “Le trois gens d’armes” (pezzo che troviamo in una versione abbastanza simile nell’album dei Grattons Labeur) e “Le Déserteur” appartengono al patrimonio della Franca Contea mentre “La Belle Françoise” origina dalla tradizione francofona del Québec (lo stesso pezzo è interpretato anche dai Lougarou), così come “La Belle est en prison d’amour” e “D’où reviens-tu mon fils Jacques?”. “Bon Vin” e “Le Tourdion” sono invece canzoni antiche, rispettivamente del XV e del XVI secolo. Troviamo nell’album sia pezzi a cappella che accompagnati da strumenti musicali, ovviamente acustici con allegre parti di flauto e di viella. Brilla per gli intrecci vocali “Sept ans j’ai fait la guerre”, scritta da Yvon Guilchier, che presenta delle affascinanti fragranze bretoni, così come la graziosa ed evocativa “L’autre ce jour”, dal sapore agreste, appartenente al repertorio di un cantore del Berry. Tutto è molto spontaneo e vivo, grazie anche ad una certa aria di spensieratezza fornita da registrazioni effettuate sul momento, senza alcuna scelta strategica. Vengono fermati sul supporto fonografico i pezzi che al momento costituivano il repertorio proposto dal vivo, senza darsi troppi pensieri circa ipotetiche scelte artistiche sul prodotto finito. La piccola collezione di Polke riunite assieme nella quinta traccia è stata inventata dalla band appositamente per entrare nel proprio repertorio di danze. L’importanza del ballo, che spesso giunge a culmine delle serate musicali dei Mélusine, è testimoniata perfettamente dal titolo del terzo album, “Lève-toi et danse!” che contiene, sul retro-copertina, una nota che spiega proprio il ruolo della danza per la band. Molto particolare è il pezzo di chiusura, “Les Metamorphoses”, costruito a partire da un canto popolare raccolto dalla testimonianza di un contadino, mescolato a polifonie create dal gruppo. La parte conclusiva del pezzo si intitola “1748” dalla data impressa sulla viella con la quale è stata creata l’allegra melodia.
L’origine varia dei pezzi, con elementi antichi e nuovi, rende l’idea di come la musica dei Mélusine sia un vero e proprio mosaico di tradizioni e colori. Lo spirito è sempre gaio e leggero, evocativo e ricco di magia soprattutto nelle piacevoli ripetizioni delle melodie e dei cori, con il ronzio ritmico ed ipnotizzante della ghironda a fare spesso da eco. Semplicità e convivialità si uniscono in un insieme comunque confezionato in maniera artisticamente molto valida. L’ultima testimonianza discografica dei Mélusine è quella già citata del 1990, interamente consacrata ai cori polifonici. Se amate il folk francese, anche se in questo caso la musica rock e gli arrangiamenti in chiave Prog c’entrano assai poco, questa band è da considerarsi una tappa di ascolto obbligatoria che rappresenta la testata d’angolo di tutta una corrente musicale e un approccio iniziale potrebbe essere rappresentato proprio da questo album, non impossibile da trovare a prezzi modici.

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Jessica Attene

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