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CONFRERIE DES FOUS La confrerie des fous Ballon Noir 1978 FRA
 

La copertina, che fa pensare più che altro alla disco dance anni Ottanta, non invita all’acquisto ma, superata qualche perplessità iniziale, rimarrete piacevolmente stupiti ascoltando i contenuti musicali di questo album che inneggia alla follia, mescolando in maniera allegra e beffarda elementi di folk, musica antica, prog ed un pizzico di fusion. Il nome del progetto si ispira alle medievali “fêtes des fous”, occasioni di divertimento durante le quali venivano occupate le sedi episcopali da falsi sacerdoti che, insigniti del titolo di “vescovi dei folli”, davano vita a cerimonie bizzarre intonando canzoni dissacranti.
L’idea è di Laurent Varcambre (canto, chitarra acustica, violino, mandolino, tastiere), artista poliedrico e dotato che molti di voi ricorderanno sicuramente con i più famosi Malicorne e La Chifonnie, al quale si unisce un gruppo di musicisti davvero interessante, il cui numero varia da un minimo di otto dal vivo ad un massimo di 12 in questo primo ed unico album. Troviamo nella compagnia tre importanti dame del folk francese che assieme intrecciano i loro canti: Emmanuelle Parrenin (che suona anche la spinetta, la ghironda e l’arpa), Evelyne, meglio conosciuta come Beline, Girardon del gruppo La Bamboche e Valérie Terrell degli Equinoxe. Troviamo poi il bassista Gerard Lavigne, fondatore dei Gentiane e membro dei Lyonesse, il batterista Jean-François Leroi, Jean-Yves Lacombe al violoncello, contrabbasso e tuba, Patrick Le Mercier alla chitarra acustica ed elettrica e alle tastiere, Pierrot Ganem (voce e trombone), Serge Desaunay (fisarmonica), Jacky Bardot (voce) e Hughes De Courson (che tra l’altro sarebbe l’ideatore del monicker), anch’egli proveniente dai Malicorne, al flauto a becco e al trombone. Senza soffermarci sui dettagli noterete che questa assortita combriccola di musicisti non passa davvero inosservata a chi ha un minimo di dimestichezza con il folk francese.
La follia è il motivo conduttore di tutto l’album e si manifesta sia attraverso i testi che attraverso gli arrangiamenti colorati e movimentati ed i canti chiassosi. L’autore principale delle parole e della musica è proprio Laurent Varcambre che ha accuratamente mantenuto vivo il fuoco della follia in tutte le canzoni, nelle quali non manca di inserire ad arte citazioni e riferimenti alla musica tradizionale. Tutto il potenziale del gruppo si svela subito con la traccia di apertura, “Danse des fous”, cantata all’unisono da tutte le voci che si rincorrono allegre e conviviali come in uno sguaiato canto di taverna. Il pezzo è molto variegato, elettrificato, con inserti vivaci di archi (bellissime le parti soliste di violino), versi burleschi e qualche citazione colta, come l’anonimo “Ballo milanese” o anche la celebre “Danse macabre” di Saint Saëns, riletta in maniera teatrale. Anche quando l’atmosfera è più solenne, come nel breve strumentale per archi dal sapore rinascimentale “Il est bel et bon”, non si rinuncia mai allo scherzo, con beffarde smorfie e risolini. La traccia sfuma in “On m’appelle fou” in cui il tema della follia torna ancora in primo piano ed è invocato proprio dalla voce solista di Laurent in persona. I violini scherzosi che danzano su un basso pulsante possono ricordare qualcosa dei Gentle Giant, gruppo che spunta fuori anche in altri punti di questo album estremamente variegato. Il grazioso “Valse de l’echiquier”, interpretato dalla bella voce di Emmanuelle Parrenin e accompagnato dalla splendida fisarmonica di Serge Desaunay (un’altra grande figura della scena folk francese), ci riporta di più verso il varieté, con leggerezza e sentimento. “La part à Dieu” è un pezzo tradizionale, una allegra questua fatta dai mendicanti per ottenere un tozzo di pane, riletto da Laurent in maniera brillante, mescolando suoni e linguaggi musicali antichi e nuovi, elettrici ed acustici. Il basso ed il tamburo battono il tempo e le voci ritmicamente danzano con effetti che ancora una volta ricordano i Gentle Giant, mentre la parte conclusiva (“Le cri du gueux”), introdotta dalla chitarra elettrica stridente, di matrice più progressiva, ricorda persino la PFM.
La tradizione è qui motivo di stimolo per la ricerca di nuovi stili e direi che la confraternita dei folli è riuscita a disegnare un linguaggio piuttosto originale e convincente come dimostra, in apertura del lato B, “Le Diable” che parte da un testo popolare sul quale viene cucito addosso un abito musicale fatto di tanti colorati rammendi. La voce solista è questa volta quella di Valerie Terrell che racconta, alla maniera di un grande carro allegorico, di come il diavolo sia venuto sulla terra per portarsi via i corrotti e i malvagi, dai banchieri ai mercanti, per farne un gran falò. Il violino elettrico è ancora una volta grande protagonista e ci trascina con allegria verso “L’entrée du Titanic dans le port de New York”, una bellissima coda strumentale a metà fra Kansas e PFM. “Nykel”, un altro breve strumentale, con ghironda e violino indiavolatissimi, ha un suono festoso e folkish che viene però irrobustito dagli strumenti elettrici e soprattutto dal basso scattante e spesso in primo piano, con un effetto finale movimentato e particolare. “Jeu de l’oie”, con la voce solista di Laurent alla quale fanno eco quelle femminili, mescola fragranze elettriche ed acustiche, elementi cantautoriali e teatrali, in un insieme che potrebbe forse far pensare ai Minimum Vital. “Mon ami – Jouissance vous donnerai” è la reinterpretazione di due sequenze di musica antica che ha qualcosa fra il carnevalesco ed il grottesco, con suoni acustici molto pesanti e chiassosi che vengono letteralmente messi in movimento dal basso martellante. In particolare la prima parte appare più barocca mentre la seconda possiede gradevoli fragranze celtiche ed è impreziosita, come al solito, dall’instancabile violino di Vercambre. L’album si chiude ad anello con una breve ripresa della traccia di apertura.
Dal vivo la confraternita dei folli sfoggia costumi colorati e visi truccati, a confermare la sua vena giullaresca (un’idea ve la potete fare guardando la foto in copertina) e in particolare viene ancora da qualcuno ricordata la loro esibizione al festival folk di Nyon del 1979 al quale parteciparono gruppi come Planxty, Clannad e Fairport Convention. Purtroppo a questo album non ne faranno seguito altri e dal nucleo della band fuoriuscirà un quartetto d’archi guidato da Laurent Vercambre, Le Quatuor, molto longevo ed attivo in quanto a collaborazioni e spettacoli dal vivo. Sicuramente questo album è fra i dischi più belli in ambito folk prog che abbia ascoltato e lo trovo appassionante e coinvolgente per la sua leggerezza, per la sua vena di follia, per le sue idee spettacolari, originali ed assolutamente non pretenziose. Non sempre i prezzi sono bassi, ma guardando bene attorno sono sicura che riuscirete a trovare un buon compromesso per acquistare questo album sicuramente degno di essere esplorato.

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Jessica Attene

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