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MACHIN Moi, je suis un folkeux... Disques Festival 1976 FRA
 

La Francia è stata teatro, negli anni Settanta, di un fiorente movimento folk che, soprattutto in regioni come la Bretagna e l’Occitania, si è rivelato un efficace strumento di rivendicazione della propria identità culturale. E’ stata questa un’epoca in cui si sono intrecciate interessanti collaborazioni e si sono accese numerose rivalità fra i musicisti con i loro diversi modi di rileggere i motivi della tradizione, a volte in maniera fedele e rigorosa, altre volte contaminandoli con forme musicali attuali, fra cui anche il Progressive rock. In questo meraviglioso contesto culturale si inseriscono anche i Machin, loro che, come precisano nella title track di questo loro debutto discografico, si dichiarano folkeux, anche se non possono vantare natali bretoni o occitani (sono infatti originari della Franca Contea) e ammettono in maniera spiritosa e provocante di vergognarsene un po’, come se i musicisti originari di queste terre dovessero avere il diritto esclusivo di suonare questo tipo di musica. Proprio l’umorismo e la satira sono alla base del repertorio dei Machin che non hanno timore di storpiare le arie tradizionali, di reinventarle e di mescolare melodie antiche a trovate moderne, a volte irriverenti e dissacranti, prendendo in giro i colleghi che invece vedono il folk come una cosa fin troppo seria. Così, in quella che sembra una delle tanti canzoni rurali sulle belle fanciulle da maritare (“Les trois belles filles”), scandiscono in maniera allegra i nomi delle protagoniste, Claudine, Claudine, Claudine, Claudet, per poi domandarsi subito dopo: perché dire tre volte Claudine e solo una volta Claudet? Alla stessa maniera lo stile musicale a volte è serioso e tradizionale, altre volte scherzoso e bislacco e altre volte ancora decisamente proggy o anche psichedelico. I musicisti amano scherzare e non temono di ricoprirsi di ridicolo con le buffe biografie che compaiono nella copertina del secondo album “Tout folkant” (1977) o facendosi fotografare, in “Râles folk” (il terzo album uscito nel 1978), con tante mollette da bucato attaccate sul volto e sugli abiti, ma dietro questa veste da giullari ci sono talento, esperienza e capacità. Se quindi Tony Carbonare ama definirsi suonatore di basso impenitente, salterionista di un certo gusto, synthetista che sa dove va, mandolinatore discreto e cantante delicatamente squisito, vi basterà sapere che è fra gli autori di uno degli album più belli del Prog sinfonico francese dei primi anni Settanta, “Litanies” degli Iris, per convincervi circa le sue qualità musicali.
I Machin nascono nel 1975 grazie ai fratelli Tony e Alain Carbonare (organo, piano, synth, voce, noto anche per aver militato al fianco di Alan Stivell e nei Wurtemberg e per essere poi divenuto un apprezzato mastro liutaio), reduci dall’esperienza con gli Iris, e a Jean-Pierre Robert (chitarra elettrica e acustica, sassofono, flauto irlandese, ukulele, bombarda e canto). La band prende forma compiuta nel 1976 giungendo nello stesso anno al debutto discografico. Si aggiungono quindi alla formazione Gilles Küsmérück (carillon, mandolino, violino, piano, organo), Jean-Paul Simonin (batteria, percussioni, voce) e infine il paroliere Angel Carriqui che firmerà le liriche di tutti gli album. La musica è una brillante fusione di elementi acustici ed elettrici che richiamano costantemente la tradizione, che viene messa alla berlina, e tutt’al più rappresenta soltanto il punto di partenza per la costruzione di qualcosa di totalmente diverso e personale. La già citata traccia di apertura, “Les trois belles filles”, almeno in superficie, conserva una veste folk riconoscibile, anche se arricchita da frizzanti contrappunti elettrici, così come la successiva “Je suis allée au puits ma mère” con cori accattivanti, la chitarra classica arpeggiata, il violino e una voce solista da cantastorie. Se, come del resto è ben dichiarato nel titolo, “Le réel des petits coeurs”, parte come una tipica danza celtica ritmata e sostenuta da una vivace base ritmica che non desta strani sospetti, la parte finale del pezzo acquisisce un animo decisamente Prog con riferimenti a Jethro Tull e King Crimson che spiazzano letteralmente, visto lo stile che fin qui la band aveva fatto prevalere. “Ma mie” è invece una delicata ballad sinfonica sulla scia degli Ange, o meglio degli Iris, che mostra, con le sue gentili colate di Synth, il lato più poetico e sognante della band che sa essere tanto goliardica quanto lirica ed intensa all’occorrenza. Il pezzo simbolo dell’album, la divertente title track, è collocata in maniera un po’ insolita a chiudere il lato A. Si tratta di un pezzo trascinante ed oscuro con riferimenti evidenti a Stivell e Jethro Tull che sfodera un finale a sorpresa rockabilly e scalcinato in cui la band rivendica sì la sua appartenenza al folk ma soprattutto mette a nudo il suo spirito rock, la sua indipendenza dai cliché del genere e la propria voglia di interpretare la musica a proprio piacimento, mettendo al primo posto il divertimento.
Il lato B vede una mescolanza di stili più ricca con una prevalenza di temi prog sinfonici che vengono ravvivati dai consueti riferimenti folk. “La Marche Du Roy Louis” è il grazioso motivo di apertura, una marcetta con echi scozzesi e barocchi che si immergono in una matrice strumentale squisitamente sinfonica che ci introduce dolcemente verso la successiva “Prélude et suite” dai chiari richiami a EL&P, PFM, Genesis e Gentle Giant. Bisogna dire che quando a prevalere è l’aspetto prog, ed il folk diventa soltanto uno degli ingredienti (seppure la sua importanza non ne esce assolutamente sminuita), la band riesce a dare il meglio di sé. Graziosa è anche la delicata “L'automne suivie de suite en Do mineur à votre lettre du 21 courant” che sembra riportarci verso il prog francofono canadese con riferimenti agli Harmonium. “Raton bleu” si basa ancora una volta su chiare arie folk di ispirazione celtica ma a prevalere sono le giocose tastiere che ricordano tanto la PFM di “E’ festa”. La brevissima “Fouit, Doing” non altro è che un divertissement che chiude l’album in maniera spensierata, ricordandoci ancora una volta che i Machin non amano prendersi troppo sul serio.
Parallelamente alla loro attività di band, i musicisti dei Machin hanno intrattenuto una duratura collaborazione con il cantautore H.F. Thiéfaine il cui impegno con il tempo diverrà sempre più pressante fino a portare lo scioglimento del gruppo stesso nel 1981. La discografia dei Machin, come accennato, si compone di un totale di tre titoli più un live pubblicato su CD nel 2005 e contenente un concerto di reunion. Vale la pena recuperare tutti e tre i vinili originali, ognuno dei quali presenta dei lati interessanti anche se forse l’apice è rappresentato proprio da questa prima fatica discografica. Sicuramente questa musica che brilla per spensieratezza, originalità, ironia farà impazzire, per le sue dinamiche leggere e spumeggianti, soprattutto chi ama le contaminazioni fra prog sinfonico e folk.

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Jessica Attene

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