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MIRLITANTOUILLE La mirlitantouille Escalibur 1980 FRA
 

Quando si pensa al folk bretone viene subito in mente quella bellissima e incomprensibile lingua che ha antiche radici celtiche e che molto spesso viene utilizzata dai musicisti che rivisitano la tradizione popolare di questo paese. Il bretone però non è mai arrivato, anche nel periodo della sua espansione maggiore, nel nono secolo, in paesi dell’Alta Bretagna come Rennes o Nantes dove la lingua della tradizione è invece il francese. La cultura gallese non è che l’altra faccia della stessa medaglia e, passando la frontiera fra un territorio linguistico e l’altro, la musica popolare non cambia ed anzi non è raro trovare versioni della stessa canzone sia in francese che in bretone.
Il gruppo di cui ci occupiamo in questa relic nasce proprio in un piccolissimo villaggio nella parte gallese della Bretagna, Collinée, non lontano da St. Brieuc che si trova poco più ad est del confine attuale di espansione della lingua bretone. Qui, a metà degli anni Settanta, Gildas Chasseboeuf (mandolino, bouzouki e canto) e Yvon Rouget (violino, percussioni e canto), affascinati dalla musica di Alan Stivell, si lanciano alla scoperta del ricco patrimonio folk della loro terra, in compagnia del ghirondista André Dédé Maillet. Il nome Mirlitantouille, come a voler sottolineare il legame stretto col territorio, lo prendono da una locanda della zona. La nascita di una nastroteca destinata a raccogliere tutte le canzoni popolari della regione offre al gruppo l’opportunità di incontrarsi e di costruirsi un repertorio incentrato sulla tradizione gallese che veniva rispolverato per allietare le feste di paese nei dintorni. Proprio in una di queste feste avviene l’incontro con Louis-Pierre Guinard (chitarra e voce) e Michel Kerboeuf (fisarmonica diatonica) che si aggregano alla compagnia unendo le loro forze ed il loro repertorio. Nel 1977 il gruppo prende la sua forma definitiva con Etienne Grandjean che va a sostituire Kerboeuf e con l’ultimo entrato, il violinista Pierrick Lemou. Grazie ad un ragazzo del Quebec, conosciuto casualmente in vacanza, il gruppo riesce a procacciarsi qualche data in Canada, riuscendo a rimanere nel paese per circa due mesi, suonando di cabaret in cabaret e chiedendo ospitalità di volta in volta a qualcuno del pubblico. Grazie all’esperienza accumulata i Mirlitantouille piazzano qualche data in giro per l’Europa e arrivano alla pubblicazione del proprio debutto discografico, uno split album realizzato con l’etichetta Vélia, assieme a Les Pillotouses, contenente canzoni tipiche della regione di Lambal. L’anno dopo, di ritorno in Quebec, ma stavolta con un manager e in locali più importanti, riescono a suonare assieme ai più conosciuti Malicorne.
Nel 1980 esce il secondo album, l’omonimo “La Mirlitantouille”, molto più elaborato e con un repertorio proveniente dall’Alta Bretagna. Ad ampliare il gruppo di base vengono ingaggiati diversi altri musicisti, fra cui troviamo alcuni fiati provenienti dal colto ambiente jazz di Nantes: Daniel Pasboef al sax soprano, Philippe Corcuff alla tromba, Didier Narcy al trombone. Vi sono poi altri ospiti che invece suonano strumenti tradizionali come Michel Toutous e Yann Lemeur, con la biniou koz (appartenente alla famiglia delle cornamuse) e la bombarda, rispettivamente, due elementi immancabili nella tradizione bretone che agiscono spesso in coppia. Abbiamo poi Patrick Molard alle Uillean Pipes e al flauto traverso, Serge Fournel alla batteria e alle tabla, Claude Le Guelo al tamburo e Philippe Prodhomme alle tastiere. Vi rendete conto dall’ampio numero di musicisti che questo album, almeno potenzialmente, va oltre i confini del folk tradizionale che pure viene rivisitato con cura, senza perdere suoni e ritmi caratteristici. La progressione fra generi musicali, con elementi rock e sinfonici, avviene comunque di rado e in maniera poco appariscente. Fra i brani più ricchi in questo senso voglio citare la traccia di apertura, “La Perdriole”, che ritroviamo nel repertorio delle canzoni dell’infanzia, che si basa su una filastrocca deliziosa e che, grazie al ritmo della batteria (che però viene usata molto di rado nell’album), un violino di ispirazione classica più che un fiddler ed in generale alle belle orchestrazioni, acquista delle interessanti connotazioni Prog. Sempre sul lato A, la “Suite de Laudeac”, con il suo bel violino, è un’allegra aria dal sapore celtico che acquista, soprattutto grazie al caldo ritmo del basso elettrico, delle colorazioni particolari. Proprio in questa canzone, e più precisamente in chiusura, potrete ascoltare in azione lo stridulo duo biniou koz e bombarda. Fra le altre canzoni da segnalare troviamo la traccia di chiusura, sempre dello stesso lato, la splendida “La Violette”, dal sapore agreste che si arricchisce via via di particolari sonori con l’intervento dei famosi fiati di Nantes. Molto graziosa è anche la traccia di apertura del lato B, “Nous sommes ici à table/Riguedao”, dal sapore cantautoriale, sostenuta da una delicata chitarra arpeggiata, con cori malinconici ed orchestrazioni leggerissime. In chiusura troviamo un cupo e ritmato duetto fra ghironda e violino dai riflessi quasi barocchi. Molto particolare anche la terza traccia di questo stesso lato, “Le coeur à lier/Place de la grille” che acquista sul finale delle impressioni quasi psichedeliche, con il rullio morbido delle tabla e sequenze acustiche che quasi ricordano i Comus. In “Melodie pour deux oiseaux” troviamo invece un bellissimo flauto, accanto alle belle orchestrazioni incentrate sul violino, il basso che dà profondità alla musica ed il clarinetto, molto particolare in questo contesto fortemente tradizionale ma dai riflessi classicheggianti. Molto più radicata nella tradizione si presenta “Scottische à Dédé/Rutabaga”, la seconda traccia del lato A, con la ghironda in primo piano, sul cui sfondo però compare un morbido pianoforte di ispirazione classica, appena percettibile, a cui fa presto eco la mandola. Il pezzo si trasforma sul finale in un gioioso ballo dal sapore pastorale. Sempre su ritmi danzanti e tradizionali si muove “Suite de Plessala”, la seconda del lato B. Bella invece per il cantato drammatico è “Les filles de la forêt”, la penultima del primo lato. Troviamo in quest’album anche alcune belle polifonie come “La Misère”, nel lato B, e la splendida “Le Faubourg De Ballazeux” sul lato opposto, presa dal repertorio del cantore Mélaine Favennec, poeta e difensore della causa bretone. Il gruppo stesso si fa a sua volta baluardo della cultura bretone, non solo attraverso la musica ma schierandosi al fianco della popolazione di Plogoff che fa resistenza attiva contro la costruzione di una centrale nucleare nel territorio selvaggio e meraviglioso del Pointe du Raz, così come fecero anche i più celebri Tri Yann con il loro bell’album “Le soleil est vert”.
Il disco, costruito su canzoni molto brevi, è decisamente gradevole, con momenti molto interessanti ed un sound ricco anche se fortemente caratterizzato da un’impronta tradizionale. Potenzialmente, lavorando su alcuni ottimi spunti e accentuando certe caratteristiche qui presenti, il gruppo avrebbe potuto prendere delle direzioni più interessanti ma purtroppo proprio i litigi interni sulla direzione artistica da intraprendere portarono presto al suo scioglimento. I vari musicisti hanno tutti trovato varie altre collaborazioni, la più importante delle quali è rappresentata da La Godinette, dove suona tutt’ora Pierrick Lemou. C’è da segnalare che questo album, che potete trovare senza troppa fatica a poco prezzo, è presente anche in una versione spagnola, con titoli in spagnolo, una scaletta sovvertita ma con un contenuto sonoro perfettamente sovrapponibile rispetto a quello dell’edizione francese.

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Jessica Attene

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