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AN TRISKELL Harpe celtique Le Chant Du Monde 1978 FRA
 

La più antica arpa celtica giunta fino a noi risale al quattordicesimo secolo ed è conservata al Trinity College di Dublino. La sua cassa armonica è stata intagliata da un unico grande tronco di salice, trenta sono le sue corde e le chiavi sono in argento. L’arpa, un tempo molto diffusa in tutti i paesi di cultura celtica, svanisce gradualmente dalla Bretagna nel tardo medioevo, allorché il ducato, un tempo indipendente, viene inglobato nel regno di Francia. Dopo secoli di oblio arriviamo infine nel 1953, anno in cui Jord Cochevelou ricrea, dopo anni di studio appassionato e usando tecniche ormai dimenticate, la Telenn gentañ, un modello di arpa con corde in nylon. Proprio il suono di questa arpa, nelle mani del talentuoso figlio Alan Stivell, guiderà la rinascita di questo affascinante strumento, facendo rifiorire in Bretagna una antica tradizione.
Attualmente troviamo due tipi di arpa in Bretagna, quella bardica, creata ad immagine dello strumento conservato nel Trinity College, con corde metalliche, e quella celtica, con la cassa di risonanza semicircolare e le corde in nylon o budello. I due modelli hanno un fascino diverso: la prima è più brillante e cristallina e la seconda più dolce e vellutata. Gli arpisti e fratelli gemelli Hervé e Pol Quefféléant, originari di Brest, seguendo la scia aperta da Stivell, fondano un proprio gruppo ispirato alla tradizione bretone. Per loro non è difficile firmare per una major e nel 1973 e ‘74 pubblicano rispettivamente gli album “Musiques Celtiques” e “Dans Plinn” che recuperano bei motivi della tradizione bretone seguendo uno stile abbastanza semplice ed essenzialmente acustico ma che vengono tuttavia accusati di rincorrere la moda folk del momento, riproponendo arrangiamenti non proprio originali, sebbene impreziositi dalla splendida presenza dell’arpa celtica che fa qua e là capolino. Le vendite non sono buone e la casa discografica li invita a cambiare musica e a cantare in francese. Il gruppo, che non vuole certamente scendere a compromessi, approda così ad una piccola etichetta locale, la Vélia, e la sua impostazione, quasi come per reazione, cambia radicalmente facendosi più ricca, complessa e personale. L’elegante violoncello di Patrick Lehoux prende il posto del violino e si aggiungono anche l’organo, il clavicembalo ed il pianoforte grazie all’arrivo di Jean-Louis Nouvel. Le arpe bardica e celtica, suonate rispettivamente da Hervé e Pol, diventano protagoniste assolute. Le arie tradizionali celtiche acquistano degli arrangiamenti delicati ed elaborati che possono essere apprezzati negli album “An Triskell” (1975) e “Kroaz Hent” (1976), la cui title track tra l’altro, una composizione per due arpe e violoncello, è un omaggio dichiarato a Jord Cochevelou.
Dopo questo exploit la carriera degli An Triskell si interrompe per due anni ma questa pausa permette ai due fratelli di perfezionare gli studi con l’arpa celtica che si concretizzano nel 1978 con la pubblicazione di un album strumentale, intitolato appunto “Harpe Celtique”. La formazione è parzialmente rinnovata e accanto a Hervé (arpa bardica, chitarra, bouzouki, voce) e Pol (arpa celtica, chitarra, voce) troviamo sempre il violoncello di Lehoux ma anche il flauto irlandese di Yann Quefféléant, Yann Huillery alla cornamusa, bombarda e flauto irlandese, Yann-Fanch Ar Merdy alla batteria scozzese e Pascal Goarant al basso elettrico. La nuova creazione è un vero e proprio omaggio all’arpa celtica, a partire dalla bellissima copertina apribile, ricca di aneddoti, foto ed informazioni su questo strumento. La durata totale è abbastanza contenuta con dodici pezzi per una trentina circa di minuti in totale che rappresentano però un autentico concentrato di grazia e di eleganza. Il suono prevalente è ovviamente quello delle due arpe: quella bardica, dal suono scintillante come un chiaro cielo estivo, è spesso in primo piano, mentre l’arpa celtica, spesso in sottofondo, ricorda le gentili carezze delle onde del mare. Il violoncello offre un tocco di eleganza classicheggiante mentre il basso elettrico dona corpo alla musica, quando necessario.
Ogni traccia offre un richiamo poetico alla cultura celtica, partendo dall’incipit “Tir na n’Og”, il paradiso dei Celti, che i fratelli Quefféléant immaginano di poter raggiungere grazie alla guida spirituale di questa musica, dominata dalle due arpe che si intrecciano soavemente. “Inizi Hebrides” (Le isole Ebridi, seconda traccia del lato B) evoca invece il mito dell’isola promessa che ricorre fra le popolazioni celtiche. Molto evocativa è anche “Diaspora” che chiude il lato A, dedicata ai celti dispersi per il mondo. Al suono dolce delle due arpe si affianca quello solenne della cornamusa su una base malinconica e spirituale fatta da un coro di voci che sembra quasi ricordare una base di Mellotron. Analoghe parti corali vengono inserite in maniera molto suggestiva su “Ar hakous”, un’aria tradizionale bretone. “An Hader”, la seconda del lato A, ci porta verso la Scozia, con la classica cornamusa sostenuta dalla tradizionale batteria e deliziosi inserti di flauto che danzano sull’onda del basso elettrico che dona una piacevole profondità alla musica. La successiva “Gavotten Menez-Arre”, una creazione di Hervé, si basa invece su colori e ritmi di danza tipicamente bretoni, con ritmi delicatamente sostenuti e incalzanti che si alternano ad aperture liriche e sognanti. “Distro ar mab prodig” (il ritorno del bambino prodigio) è una vecchia cantica composta da un monaco dell’abbazia di Landevennec in cui emergono influenze gregoriane. “B.A.I.”, un omaggio ai pionieristici traghetti che attraversavano la Manica, ci fa ripercorrere idealmente questo viaggio portandoci rapidamente dalla Bretagna verso l’Irlanda. Si parte quindi da un’aria bretone molto famosa, che celebra i bei campanili della cattedrale di Saint-Pol-de-Léon, si passa quindi ad una giga allegra con arpa e flauto irlandese e si termina infine con una vivace reel.
I due pezzi che aprono e chiudono il lato B ci riportano a due classici temi letterari celtici, quello di Tristano e Isotta in “Tristan hag Isild” e quello di Viviana, nell’omonima traccia, la quale teneva Merlino prigioniero di un cerchio magico da qualche parte nella foresta di Brocéliande. Il primo pezzo ha un sapore quasi rinascimentale e corrisponde in particolare al momento in cui Isotta, rappresentata dall’arpa, giunge a guarire Tristano ferito, il violoncello. I due strumenti si intrecciano in modo appassionato alternando momenti di tenerezza all’esuberanza dell’arpa con le corde di metallo pizzicate in modo veloce e preciso. “Viviana” offre invece atmosfere più dilatate e sognanti, dai contorni quasi incantati. “An dro” è un omaggio musicale alla regione di Vannes, in Bretagna, mentre “Envorenn” ha infine la particolarità di ispirarsi per i suoi giochi ritmici alle tecniche degli arpisti dell’America centrale.
L’album vola leggero come un soffio, per la sua musica leggiadra e sognante, per la sua brevità che lo rende ancora più sfuggevole e inafferrabile ma nella sua fragilità e delicatezza racchiude in sé tutto l’incanto della tradizione celtica e l’amore per uno strumento splendido che ha rischiato di scomparire dal suolo bretone. Questa non è certamente la produzione più prog oriented del gruppo ma senza dubbio è un passo quasi obbligato per cogliere alcuni aspetti del folk e del prog-folk tipico di queste terre. Devo far notare che esiste anche una compilation su CD, fatta uscire sempre dall’etichetta Le Chant Du Monde nel 1990, intitolata “La harpe celtique”, in cui sono contenute tutte le tracce di questo LP. Riguardo al gruppo, bisogna dire che il suo percorso musicale continua a lungo, seguendo anche altri percorsi di contaminazione, come avviene per esempio in “Tron Doue” del 1979 in cui vengono inseriti elementi jazz. Ma questo è un altro capitolo che forse un giorno vi racconterò.

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Jessica Attene

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