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GWENDAL Gwendal Pathé Marconi / EMI 1974 FRA
 

Forte di un premio ottenuto al conservatorio di Brest in flauto e musica da camera, Youenn Le Berre decide di trasferirsi a Parigi e si iscrive alla facoltà di musicologia di Vincennes. E’ qui che incontra il violinista di formazione classica Bruno Barré e con altri amici mette assieme una band. Ma Youenn si stanca presto del circuito accademico e cerca esperienze dirette con gruppi di diversa estrazione, cimentandosi anche col jazz, ma non trovando di fatto una sua collocazione. Quando ecco che arriva il colpo di fulmine: il nostro flautista (che suona anche bombarda e sassofono), assieme a Bruno Barré, al chitarrista autodidatta Jean-Marie Renard e al bassista di retaggio rock Roger Schaub, si trova ad ascoltare, ad un festival in Olanda, i Chieftains ed i Dubliners e capisce quindi che la sua band avrebbe suonato musica irlandese! Nascono così, nel 1972 e per iniziativa di Jean-Marie, quelli che di lì a poco saranno i Gwendal, e la prima occasione di farsi vedere in pubblico è addirittura in apertura di una serata folk di Alan Stivell nelle banlieue. Il passo successivo è quello di suonare assiduamente nei piccoli club folk di Parigi e tutto questo impegno è presto ripagato, nel 1973, da un contratto con la Pathé Marconi. Proprio alla casa discografica si deve la scelta del nome, che in un primo tempo era Soporific String Band, troppo ordinario per un gruppo folk, e fu così che venne preferita una parola bretone decisamente più affascinante. Il debutto arriva nell’anno successivo e offre già uno stile musicale molto personale, grazie soprattutto alle eleganti contaminazioni jazz e all’estrazione eterogenea dei musicisti che arricchiscono, in base alla propria esperienza, un repertorio che oscilla dal folk irlandese a quello bretone, substrato quest’ultimo che li accomuna tutti. Fa parte ora della formazione anche Patrice Grupallo (mandolino e percussioni) che ha alle spalle un’esperienza essenzialmente in ambito folk. La musica dei Gwendal, interamente strumentale, si dimostra così molto aperta alle influenze esterne e questa versatilità sarà sfruttata a fondo anche nelle produzioni successive. La libertà musicale del gruppo a dire il vero non piacque molto ai bretoni che accolsero questi parigini che ficcavano il naso nei loro affari con un po’ di freddezza. Il calore arriverà in seguito soprattutto in Europa, dove i Gwendal suoneranno spesso.
L’album di esordio cattura il sound nascente dei Gwendal attraverso quattordici brevi tracce, equamente suddivise fra lato A e lato B. La prima è una giga irlandese in cui i passaggi, che classicamente dovrebbero essere interpretati dall’arpa, vengono qui disegnati dal flauto e dal violino. Il flauto in particolare dà una forte caratterizzazione alla musica del gruppo con il suo stile sospeso fra jazz, classicismi e atmosfere rurali. Anche la successiva “An dro nevez”, che ci trasporta in Bretagna, presenta belle improvvisazioni in chiave jazz col flauto, contrappuntato dal violino e sostenuto da lievi arpeggi acustici. Pastorale ed evocativa appare “Sopo song” che punta invece sulla bellezza e la grazia delle melodie, così come avviene nella splendida “Planxty birke”, molto Stivelliana. Non mancano ritmi di danza più rustici, come in “Flop eared mule”, questa volta dominata dal violino e dall’arpa giudaica. “Bourée Auvergnate” ha un sapore più classicheggiante ma i suoi trenta secondi risicati la rendono semplicemente un ponte per il pezzo che chiude il lato A e cioè “Deu tu ganeme” che sfrutta un motivo tradizionale che è stato ripreso, fra gli altri, anche dagli Ys di “Madame la frontière”, qui in una delicata versione strumentale. Il secondo lato è abbastanza simmetrico rispetto al primo e nella bella traccia che lo apre, “Me meus bet plijadur”, troviamo ancora atmosfere rurali, che però vengono stemperate in un contesto psichedelico, e deliziosi ornamenti forniti dagli assoli di ispirazione jazz del flauto. Riscopriamo ancora ritmi di danza più o meno saltellanti, come in “Jackson Morning”, “Pretty brown maid” o come ancora nella veloce “Texas Quickstep”; ci sono poi le lievi e solari melodie di “Patriks Day”, ed ecco ancora una Bourée, questa volta intitolata “Bourée Saintongeoise”, a fare da preludio per la traccia di chiusura: “Irish Song”, di chiara ispirazione irlandese, come nelle preferenze del gruppo.
Un nuovo album, omonimo ma conosciuto anche col nome della prima traccia, “Joe Can’t Reel”, è già pronto per l’anno seguente, con la stessa formazione, e Schaub si dota anche di una chitarra elettrica mettendola al servizio di un sound più robusto ed eclettico che giunge qui a maturazione, pur rimanendo nello stesso solco dell’esordio. L’arricchimento degli arrangiamenti è ancora più evidente nel terzo album del 1977 (noto anche come “A Vos Désirs”), sempre designato dal nome del gruppo sulla bella copertina realizzata dal celebre illustratore Enki Bilal, e soprattutto nella lunga e complessa suite conclusiva di 17 minuti “Mon joli scooter”. I Gwendal possono ora contare anche sulla batteria di Arnaud Rogers che avrà un ruolo più decisivo con la quarta prova in studio del 1979 in cui il sound prosegue le sue evoluzioni in chiave molto più elettrica e personale, con elaborazioni jazz rock folk più ricercate. Proprio a partire da questo disco il gruppo compone tutti i suoi pezzi e, anche negli anni Ottanta, con una line-up ormai trasformata rispetto agli esordi, i Gwendal ci regalano buone soddisfazioni, con un ennesimo omonimo, noto anche come “Locomo”, ben più moderno ma pur sempre fedele al loro marchio di fabbrica. Questo disco è l’ultimo di una serie decisamente bella prima del declino che si registra con lo scadente “Danse la musique” che segna il punto più basso della carriera della band che si spinge fino al 2005 con un totale di ben nove produzioni in studio. Fortunatamente gli album in vinile non sono difficilissimi da trovare né particolarmente costosi e di quelli più recenti esiste anche il CD, quindi direi che esplorare questa bella realtà musicale non è così difficile.

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Jessica Attene

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