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ENID, THE In the region of the summer stars Private Pressing 1984 UK
 

Notevole è l'importanza storica dei britannici THE ENID nella storia del movimento progressivo anglosassone e. di riflesso, mondiale. Essi hanno infatti rappresentato l'anello di congiunzione tra vecchio e nuovo rock progressivo, muovendo i primi passi proprio al tramonto della stagione aurea del british art-rock (1976 la data del loro esordio discografico, appena pochi mesi prima dell'esplosione del flagello punk), raccogliendo in pratica l'eredità dei maestri storici EL&P, YES e GENESIS, per trasmetterla intatta a coloro che negli anni ottanta avrebbero continuato la loro opera (DAGABAND. PALLAS e MARILLION). Con ciò non voglio affermare che senza gli ENID non sarebbe esistito il new-progressive, ma semplicemente porre l'accento sulla vera e propria opera di preservazione culturale operata dalla grande, sottostimata band del tastierista Robert John Godfrey, musicista estremamente schietto e sincero, da sempre - per scelta - estraneo a qualsiasi forma di show business. Come si è già detto in apertura, la primitiva pubblicazione dell'album in oggetto risale addirittura al 1976, ma la band (in qualche modo insoddisfatta della versione originale, nel frattempo esauritasi) pensò bene di riregistrarlo e ristamparlo - questa volta in proprio - otto anni più tardi, ovvero nel 1984. E' questa l'edizione in mio possesso, corredata dalla bellissima copertina del pittore William Arkle ("Padre e Madre" il titolo del dipinto evocante l'Universo), una pietra miliare di purissimo rock sinfonico, dove il retaggio della musica classica è talmente forte da lasciare in un primo momento attonito l'impreparato ascoltatore. Opera da considerarsi nella sua piena interezza, "In the region of summer stars" presenta tuttavia un paio di picchi creativi che i novizi del rock barocco farebbero bene a scolpirsi nella memoria, vale a dire "The last day" e la mitica "Under the summer stars", entrambi dalla marcata ispirazione epico-medievaleggante. non privi comunque di soffusi e trasognanti intermezzi romantici di gusto squisitamente inglese; le tastiere magniloquenti di Godfrey la fanno da padrone - e d'altronde non potrebbe essere altrimenti - mentre alla chitarra dell'altro membro fondatore Stephen Stewart sono affidate ficcanti incursioni soliste e liquidi arpeggi, come nel caso di "The tower of Babel". la cui trama orientaleggiante non mancherà di concupirvi, di "The reaper". solenne cosi come il suo impegnativo titolo impone, e di una "The Demon King" dove - udite udite! - fa capolino persino un distorsore! Un disco sofisticato dunque, che sicuramente non piacerà a tutti, meritevole in ogni caso di una chance di ascolto e, non ultimo, di grande rispetto da parte di ogni appassionato del genere. Ricordo infine che gli ENID proseguiranno la loro carriera musicale collezionando nel corso degli anni ottanta una discreta serie di episodi discografici, fra i quali è doveroso segnalare i due volumi di "Live at the Hammersmith Odeon", nel primo dei quali è contenuta nientemeno che una rielaborazione in chiave ultra-sinfonica dell'inno "God Save the Queen".

Massimo Costa

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