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COLLAGE Käokiri Melodiya 1978 EST
 

Il nome Collage sta ad indicare, come sicuramente immaginerete, un repertorio musicale ampio e variegato e in effetti, ascoltando i tre album della loro discografia, pubblicati fra il 1971 ed il 1978, noterete elementi appartenenti alla tradizione classica come anche al jazz orchestrale, al beat e al folk. Fu grazie ad una richiesta della televisione estone, che commissionò al gruppo cinque canzoni di matrice folk come colonna sonora di un programma etnografico, che questo genere acquisì un certo peso nella produzione dei Collage i quali scelsero di studiare e rielaborare una corrente musicale antica e molto particolare e cioè quella delle canzoni Runo (Regilaul in estone). Le Runo song si basano su ricche polifonie con un coro che ripete ciclicamente gli stessi versi della voce solista. Fino al XVIII secolo questo tipo di canzoni ha mantenuto una certa diffusione geografica per poi scomparire quasi del tutto ai nostri giorni, rimanendo attualmente appannaggio esclusivo della ristretta area di Setomaa, nel sud del paese, e dell'isola di Kihnu. L'idea di mescolare tali forme musicali al pop appare quindi abbastanza inedita e vede il suo apice artistico proprio nella prima traccia di “Käokiri” (terzo e ultimo disco dei Collage), la splendida “Mets neidude vahel”. Sono quattro le voci soliste che si alternano nell'arco dell'album e sette in totale i cantanti in azione. Nel brano appena citato è Lea Gabral, col suo timbro pacato e cristallino, a condurre, col suo canto ripetitivo, il ritmo del coro. Le atmosfere sono quasi sacrali, l'incedere del brano ha un che di sciamanico e meditativo e a spezzare questo mood dal sapore ancestrale intervengono gli elementi orchestrali (curati qui, come nel resto dell'album, dal gruppo Apelsin) con il flauto traverso vivace e moderno di Avo Joala. Un altro brano di sicuro impatto è rappresentato da Kodu Kaugel (Faraway Home). Qui la voce di Katrin Mägi come una preghiera si insinua fra il dolce rumore dello scorrere dell'acqua, il coro entra in scena con una litania lontana che gradualmente aumenta in intensità e velocità arrotolandosi in una spirale emotiva intensa. La title track (Cuckoo-Runes) si ispira ancora una volta a melodie Runo con ripetizioni quasi ossessive fra la voce solista di Ole Valgma ed i cori ma ha un andamento disteso e solare, ipnotico per la sua monotonia, rischiarato dal sax soprano di Helmut Aniko che imprime un tocco di modernità e fornisce un bell'assolo con contaminazioni pop intriganti. La marcata affinità dei Collage per la musica folk proviene inoltre dal contatto con la musica del pianista svedese Jan Johansson, che il gruppo ebbe modo di ascoltare dal vivo ai festival Jazz di Tallinn nel 1966 e del 1967, ammirando direttamente le sue riletture in chiave avanguardistica di vecchie melodie tradizionali europee, come anche con le produzioni del compositore connazionale Veljo Tormis, celebre a livello internazionale per la musica corale. Comprenderete quindi che le influenze folk nell'ambito della produzione dei Collage sono ricche e anche ad ampio raggio e condite talvolta di accostamenti inusuali. Facendo qualche esempio posso citare Laula Kuni Elad (Sing Until You Live), secondo brano del lato A, pezzo guidato dalla fisarmonica che si dipana lungo sentieri dalle marcate cadenze blues sui quali danzano lente spirali di voci femminili, un po' fuori luogo in questo contesto, ma con un effetto complessivo decisamente singolare. In Loomine (Creation Of The World), eccoci alla traccia successiva, spicca invece un rustico violino con melodie semplici e ripetitive ed atmosfere frizzanti e disimpegnate. Ci sono poi diversi esempi di fusione con altri generi musicali. Joodiku Kojukutse (Come Home, You Drunkard), ad esempio, dal piglio assai allegro ha una chiara ispirazione pop folk, con elementi elettrici ben rappresentate e influenze che fanno pensare ai primi Pesniary. In Memme Vaev (When Shall I Repay Your Trouble, Mum), prima traccia del lato B, compare un organo Hammond elegante, suonato da Alekander Vaas, a supportare una traccia ancora dominata dai cori, qui più soffusi, a dagli accattivanti riflessi psichedelici. In Suur Tamm (The Big Oak Tree) compare un assolo di chitarra bluesy e solare mentre la conclusiva Blues-Polka, di ispirazione Country/Blue Grass si muove buffa a passi saltellanti e danzerecci. Lascio volutamente in fondo a questa rapida disamina tre brani molto particolari e cioè, la brevissima Hällilaul (Lullaby), dominata dalla voce senza parole di Lea Gabral con atmosfere soft ed oniriche, Öhtu Ilu (Eventide Beauty) con voci maschili e femminili che sembrano emergere da annulla, stranianti, e le sue oscure polifonie che sembrano emergere dal buio di un fitto bosco, ed infine Kohus Koju Minna (One Has To Go Home), inquetante e sinistra, con voci questa volta cavernose che sembrano inanellare oscure preghiere o incantesimi senza tracce di musica. Sicuramente il lavoro del gruppo con le canzoni Runo è quello che viene maggiormente enfatizzato e ricordato anche per l'impatto che ebbe verso altri artisti influenzandone l'attività. Ne sono un esempio gli arrangiamenti creati da R. Dikson per il gruppo Laine e alcuni pezzi composti dai Pantokrator e dagli Ummamuudu. In effetti le articolate polifonie vocali sono la cosa che colpisce di più anche l'ascoltatore moderno e che certamente vale la pena di conoscere e scoprire. Questo album, disponibile anche in una moderna ristampa su vinile in edizione limitata potrebbe essere l'occasione giusta.

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Jessica Attene

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