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PENTWATER Pentwater Beef 1978 USA
 

So di aver già parlato dei PENTWATER e sospetto anche di avervi annoiato con la mia passione per questo vecchio gruppo dal nome sconosciuto. Desidero comunque chiudere definitivamente la parentesi con la recensione dell'unico Lp pubblicato dalla band di Chicago nel lontano 1978. La leggenda racconta che i PENTWATER fossero uno dei gruppi più dotati tecnicamente che il progressive abbia mai avuto. Già in giovanissima età Ron LeSaar, Phil Goldman (poi sostituito da Ron Fox), Tom Orsi, Ken Kappel e Mike Konopka erano in grado di ascoltare e riprodurre in pochi minuti qualsiasi brano musicale, non importa quanto complicato fosse. E tale abilità è emanata ancor oggi da molte delle loro composizioni, dal modo in cui gli strumenti si inseguono, si allontanano e poi tornano di nuovo ad avvicinarsi in incastri che passano quasi inosservati tanto sono perfetti. L'Lp d'esordio, a detta degli stessi PENTWATER, fu però il risultato di molte pressioni interne ed esterne. Conseguenza di tali pressioni fu che tra gli oltre 50 brani disponibili vennero scartati forse i più rappresentativi delle reali capacità del gruppo, privilegiando le composizioni più lineari nella speranza di far presa su un pubblico che già si preparava all'esplosione della disco-music e del punk. Ecco allora che degli 8 pezzi dell'album solo un paio sembrano tenere il passo con "Out of the abyss" (compilation di inediti uscita per la Syn-Phonic nel 1992), che ad oggi rappresenta sicuramente la miglior cosa mai pubblicata dalla band. Tenendo presente ciò, è fuor di dubbio che i PENTWATER riescono a dare il meglio di sé nei momenti in cui possono far decollare i propri strumenti - comprendendo in essi anche la voce - creando vortici degni dei migliori GENTLE GIANT (ascoltare a questo proposito "Living room displays", che ad un inizio ed una conclusione piuttosto anonime contrappone una sezione centrale di assoluto valore). Come qualcuno ha avuto modo di dire, i cinque musicisti sembrano provare un grande piacere nell'ascoltarsi, correndo il rischio di arrivare a suonare più per se stessi che per il pubblico. Se però la tecnica riesce a sposarsi con un ottimo senso melodico, ecco allora che il connubio che ne scaturisce è frutto assai prezioso. Risultato ne sono brani come "Orphan girl" o "Gwen's madrigal", e quest'ultimo in particolare, rappresenta forse il momento più alto dell'intero Lp, mettendo in mostra quelle accelerazioni e quegli intrecci vocali che il gruppo riesce a creare con incredibile naturalezza e che tuttavia sembrano spesso latitare all'interno dell'album. Menzione particolare merita inoltre il frenetico strumentale "Was", un'autentica bolgia di cambi di tempo che permette di apprezzare le straordinarie abilità esecutive della band, pur rischiando di cadere nel mero esercizio di stile (non a caso qui il riferimento palese è a EL&P). A posteriori il disco rappresenta comunque un'occasione sprecata. Se al posto di composizioni come "AM", "Memo", "Frustration mass" ne fossero state utilizzate altre del calibro di "Necropolis", "Oceans" o "Billboard smiles", ascoltate ed apprezzate in "Out of the abyss", forse il nome del gruppo sarebbe oggi ricordato con maggior entusiasmo. Ed il consiglio vuol essere esplicito: meglio spendere un trentone per un CD uscito un paio di anni fa che scialacquare soldi ed energie nella ricerca di un disco che, per quanto buono possa essere (mi rendo conto di averne dato un'impressione negativa, ma non era nelle mie intenzioni), risulta comunque ad esso inferiore.

Riccardo Maranghi

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