Home

 
ID Where are we going? Aura 1976 USA
 

Prima di cominciare una precisazione necessaria: quest'articolo non sarebbe mai stata scritto senza l'aiuto di Umberto Succi, grande amico nonché stimato e conosciuto collezionista di Novi Ligure. A lui va dunque un doveroso ringraziamento anche per le notizie fornitemi intorno a questo poco noto gruppo statunitense di due decadi fa; degli ID si sa infatti pochissimo: attivi dalla seconda metà dei 70s, pubblicati da una piccolissima etichetta, erano un sestetto fondato dai fratelli Gary e David Oickle (rispettivamente chitarra e Mellotron) e completato dal secondo tastierista Bob Halsall, dal bassista Kevin Orsie, dal batterista Ralph Jenkins e dal chitarrista James Albert. Copertina, titoli ed argomenti trattati nei testi descrivono il processo di autodistruzione cui si sottopone colpevolmente il nostro pianeta, rinunciando con stupidità alla difesa dei valori che veramente contano: quelli della fedeltà sincera alla terra e allo spirito ecologico, tutti temi questi di cui anche i Kansas si fecero portavoce. I brani sono solo 4, tutti di durata superiore alla media. Apre "Sunrise (a new day)", track molto bella, che ad un inizio riflessivo fa seguire una lunga serie di escursioni cosmiche, reminiscenti i Pink Floyd di "Meddle". Assai convincenti i dialoghi chitarre/tastiere, sempre ben calibrati, ora fluidi, ora epici, ora dirompenti, costantemente variegati. Vengono in mente richiami, in fondo ovvii, alla scuola del prog inglese dei primi anni 70: i nomi sono quelli dei mitici T2, dei Mainhorse - per certe tentazioni vagamente hard - e soprattutto Spring, per la ricerca insistita di giochi sonori che sappiano essere melodici e, allo stesso tempo, acidi. Tutto ciò è evidente nella lunghissima suite eponima, divisa in due parti (una per lato), la cui unica pecca è forse proprio quella di essere eccessivamente dilatata, con momenti francamente un po' ripetitivi e noiosi. Nonostante ciò, il brano è sicuramente da apprezzare: ad un incedere inizialmente romantico e rallentato (tema poi ripreso più volte durante il pezzo), gli ID sovrappongono partiture lancinanti, in cui le chitarre si librano in voli pindarici assai affascinanti, ben supportate da una doppia tastiera che si fa sentire senza risultare invadente. Il tutto è piuttosto equilibrato e l'armonia complessiva così cercata non è lontana dal venir ottenuta. Durante l'ascolto della title-track non è poi difficile scorgere dietro la sua cascata di note il fantasma dei Polyphony di "Without introduction" (nello specifico della suite "Crimson dagger"), album che, uscito 5 anni prima di questo, già metteva in mostra le trame di cui anche gli ID sono innamorati, come confermano nel conclusivo pezzo "Solar wind": al lirismo del progressive tastieristico si abbinano fughe hawkwindiane in spazi interplanetari ed ignoti. Ciò che otteniamo è una suggestiva sinfonia onirica, la quale dischiude orizzonti infiniti. In quest'ultimo brano troviamo anche la conferma di quanto avevamo già intuito nell'ascolto di tutto il disco: se il cantato è vicino a stilemi e atmosfere più west-coast, ad impressionare è semmai il basso di Kevin Orsie, forse il più preparato tecnicamente del sestetto. Il ruolo del suo strumento è essenziale nell'alchimia musicale degli ID, pulsante, quasi virtuosistico, da non far rimpiangere Chris Squire o Geddy Lee. "W.a.w.g." rimane l'unico album degli ID, un lavoro certamente di seconda fascia rispetto ad altri lavori conterranei dell'epoca, ma per nulla da evitare, opera che al contrario mi sento di poter consigliare senza temere di dovermene pentire. Chi per anni '70 intende sentieri poco battuti ma ricchi di fascino, si metta alla ricerca di questi ID; non ne rimarrà deluso.

Davide Arecco

Italian
English