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SHAA KHAN The World will end on friday Sky 1978 GER
 

La fine degli anni '70 costituisce indubbiamente un periodo molto prolifico per la musica prog in Germania e gli Shaa Khan, con questo LP, ne sono un'ulteriore conferma. Premetto che non è l'unico album della loro produzione: ne conosco un secondo dal titolo "Anything wrong?", di minor valore però. Il disco in questione è stato registrato nell'estate del '77 ed è uscito l'anno successivo, edito dalla Sky Records di Amburgo. Il gruppo teutonico è composto da sei elementi, tre dei quali hanno il nome impronunciabile. Le note che scaturiscono dai solchi di "The World will end on Friday" si adeguano ai canoni della scuola progressiva tradizionale; veniamo illuminati dunque da invenzioni melodiche di una tastiera che è la base dell'economia musicale del gruppo, da chitarre che si producono in classici assoli ed arpeggi, nonché da una brillante sezione ritmica. I testi sono in inglese ed una particolarità si riscontra proprio nelle parti cantate, dove le voci dei due cantanti si alternano felicemente. Ma veniamo ora all'analisi del disco, che si snoda attraverso 5 brani di durata medio-lunga: il primo lato si apre con "White room", un'intro in crescendo materializza il pezzo che si esaurisce poi con lo stesso giro di note. Si prosegue con la title-track che è il brano più corto ed intende essere una sorta di ballata ove chitarra acustica e voci fanno da padrone. In "Graveyard" emergono le qualità del gruppo. Ritengo sia questo il brano tecnicamente più valido in quanto si evidenziano nella loro intierezza soluzioni dinamiche di squisita fattura. Un ottimo inizio di chitarra elettrica seguito dal duo vocale alternato sfocia in un pezzo dalle sembianze blues, per poi ripartire con vigore e progressione fino all'assalto finale con annesso un assolo mozzafiato. Sì, decisamente un bel brano. Giriamo il vinile ed immettiamoci in un contesto pinkfloydiano: il verso dei gabbiani e le onde del mare che si esauriscono sulla riva costituiscono l'intro di "Ocean". Le voci si alternano in una conversazione piuttosto banale e retorica che non sminuisce comunque la tendenza evocativa e trascendente del brano; non vengono meno altresì i contenuti fiabeschi, l'atmosfera rarefatta di una tiepida primavera sulle coste dell'Atlantico settentrionale e l'anelito di una libertà suprema. Si passa così al brano di chiusura "Seasons", che ricalca musicalmente i precedenti. Sono da rilevare qui gli spunti notevoli di tastiere. In definitiva, signori, un buon disco godibile in tuttel le sue parti, da poter inserire tranquillamente nella propria discoteca, senza tema che non possa reggere il confronto con altri gruppi storici tedeschi come Eloy, Anyone's Daughter, Amenophis, etc.

Daniele Castracane

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