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MIKLAGÅRD Miklagård Edge 1979 SVE
 

Miklagård, ovvero la grande cittā, ci riporta col pensiero alla splendida ed imponente Bisanzio, spesso indicata con questo termine. Il nome scelto da questa semisconosciuta band scandinava della fine degli anni Settanta si adatta splendidamente ad una musica rigogliosa e magniloquente, ricca di barocchismi e di citazioni classicheggianti: č certo che non stiamo a parlare di precursori o innovatori del genere, ciononostante questo simpatico balocco musicale, cesellato ad arte da un trio di svedesotti provenienti dall'isola di Gotland, dai trascorsi ignoti (Thomas Sundström alle tastiere e alla voce, Björn Rothstein alla batteria e Leif Lerman al basso, sax alto e voce), desta sempre fascino fra gli amanti del prog sinfonico. Le notizie biografiche sono pių che scarse: riusciamo a ricostruire che il pluristrumentista Thomas Sundström ha fatto carriera come compositore di colonne sonore, per lo pių relative a film per la TV svedese; a parte queste note poco significative sappiamo che l'omonimo album in esame, stampato in appena 1.500 esemplari, č l'unico della band e che lo stesso Sundström č la mente e il cuore pulsante dei Miklagård, avendo dato vita alla musica e ai testi del gruppo. Al trio si affiancano ospiti in studio al violino (Jan Sandborg) e alla tromba (Jappe Lerman).

L'album si sviluppa attraverso 6 brevi tracce, che non raggiungono mai i 5 minuti, pių una traccia conclusiva di 13 minuti, "Soldaten", ispirata ad una novella di L.U. Kangas. "Kastraten" apre l'album con una solare marcetta sinfonica, dalle volute d'organo baroccheggianti e riferimenti ai Kaipa di "Ingett nytt under solen". Il cantato, in svedese, č un po' declamatorio, mentre in altre situazioni emerge una vena spiccatamente teatrale, come in "Narren", che chiude la prima facciata dell'album, o ancora come nella conclusiva "Soldaten". "Trälen" si apre con una sorta di filastrocca scandita a tempo di marcia, dai tratti folk e dal sapore un po' clownesco. Ad un intermezzo oscuro si avvicenda sul finale un buffo pianoforte strimpellato a ricordare l'ossessionante melodia di base che viene sviluppata in crescendo nelle fasi finali. Si avverte purtroppo la sommaria qualitā della registrazione che vede penalizzata soprattutto la batteria, dai suoni un po' sordi. "Astrologen" č un pezzo di atmosfera dai lineamenti abbastanza semplici, con uno xilofono che riecheggia motivetti da carillon e un organo Hammond, abbastanza timido, di sottofondo. Con "Narren" ecco arrivare l'ospite al violino che provvede subito ad introdurre il pezzo. Ancora una volta troviamo riferimenti ai connazionali Kaipa con graziosi siparietti sinfonici ma anche a certe tendenze ludiche tipiche di Lasse Hollmer. "Häxen" apre il secondo lato del vinile con toni pių cupi che si contrappongono alla giocositā complessiva della prima facciata. Basta comunque un rullo di tamburi e una sorta di formula magica a far risollevare il morale. Il cantato č forse un po' scalcinato, con sequenze recitate e un andamento complessivo del pezzo che sembra mimare "The Knife". "Mellanspel", di soli 2 minuti e mezzo, č un breve e appena movimentato intermezzo pianistico che ci prepara al pezzo di chiusura. "Soldaten" si apre con parti vocali un po' dimesse per sfociare in un intermezzo ritmato e movimentato alla Gentle Giant. Una parentesi percussiva volutamente rudimentale e quasi tribale, che potrebbe voler rappresentare la guerra, spezza il corso della canzone. Senza dubbio si tratta del pezzo pių vario dell'intero album anche se comunque le parti recitate ed i toni meditativi appesantiscono un po' la composizione.

Si tratta di una mezz'ora abbondante di buona musica per un album che potrebbe essere considerato una sorta di anello di congiunzione fra i classici svedesi ed i nuovi gruppi scandinavi.

Jessica Attene

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