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SUSPEKT ASPEKT Rösshka Muséet autoprod. 1979 SVE
 

Di tanto in tanto il mondo del prog ci regala qualche nuova esperienza, che in qualche modo ci sorprende. Se poi la sorpresa è pure positiva è il massimo.
I Suspekt Aspekt sono cinque signori svedesi ultracinquantenni, assieme fin dalla metà degli anni ’70, che qualche anno fa hanno deciso di rimettere su il vecchio gruppo e – finalmente – incidere qualcosa. Il disco in questione si chiama "Minnet Sviker" (Errori di Memoria). E pur essendo un lavoro che unisce un prog di ascolto tranquillo a certo pop nordico non è niente male. L’ascolto di quel disco mi incuriosì e mi misi a cercare notizie del gruppo, finendo sul loro sito ufficiale bilingue (svedese/inglese). Appresi parecchie cose interessanti, ma soprattutto mi colpì la frase che nel 1979 il gruppo registrò un concerto in un locale svedese, contenente i brani composti negli anni ’70, ma mai pubblicati.
Presi la mail e chiesi direttamente alla band, che con gentilezza ed estrema nobiltà d’animo, mi mandò un doppio CD, copia numerata di quel concerto, digitalizzata dal chitarrista e tastierista del gruppo Hans Antonsson, lo stesso che rispose alla mia mail spiegandomi per benino cosa rappresentasse questo lavoro e che quella era la copia n° 23 in giro per il mondo.
Il disco, il cui titolo completo è “Den Årlinga Vårlinga Konserten På Rösshka Muséet”, vive in bilico tra sinfonico scandinavo, psichedelia e Canterbury. Pensate di prendere il primo disco dei Caravan, il primo dei Camel, il primo dei Kaipa, qualcosa degli Schicke Führs & Fröhling e dei Flasket Brinner, senza tralasciare qualche delicato colpo di pennello alla Genesis di Trespass o magari di Wind and Wuthering”, la miscela che ne viene fuori è questo live dei Suspekt Aspekt. L’ascolto dei brani, che hanno anche trenta e passa anni, ci fa capire quanti gruppi blasonati abbiano da riverirli, ma preferisco non fare nomi.
Nella dimensione live il gruppo è perfetto e, soprattutto, consideriamo che a suonare non sono i cinquantenni di oggi ma i ventenni di allora. E’ tutto molto umano e spontaneo e consente di mettere in luce le buone capacità nell’utilizzare il proprio strumento e, al contempo, di evidenziare in maniera più che cruda, quei piccoli errori (pochi, pochi intendiamoci) generati da immaturità musicale, adolescenziale.
Sedici brani dai due agli undici minuti più altre sette bonus per due CD zeppi di buona musica strumentale molto ricca, dove le trame tastieristiche e chitarristiche si intersecano in maniera molto fluida e le ritmiche belle, ma mai concettualmente complesse, accompagnano e scandiscono, ora delicatamente, ora prepotentemente lo scorrere musicale, mentre organi, synth e mellotron di Stig Ankardal si avvicendano tra tappeti per la chitarra a dominatori melodici e orchestrali.
Per un motivo o per un altro i brani sarebbero tutti da citare, ma la trattazione verrebbe lunga. Voglio però ricordare, riprendendo anche un po’ le note del dettagliatissimo libretto, l’heavy tune “Hämnden är Ljuv” un brano che qualche anno dopo avrebbe potuto stare senza problemi in un disco degli Änglagård. I dolci arpeggi e la ricca melodia della lunga “Sans Och Balans” brano in cui convivono i Camel più romantici con alcune atmosfere hackettiane, senz’altro una delle perle del disco. “Chuck’a’Luck” ispirata da una scena cinematografica di Fritz Lang è uno splendido gioco ritmico che mette in bella evidenza le capacità del batterista Hans Johansson e i cui alti e bassi ne fanno un’altra perla molto prog e decisamente azzeccata. Il brano chiudeva, con una finale incredibilmente dinamico e pieno, la prima parte dei loro concerti, che riprendevano con “Känsloyttrigar” il pezzo, non solo più lungo del repertorio, ma anche quello maggiormente pretenzioso sotto l’aspetto compositivo, con una grande varietà di atmosfere e decisamente notevole. Nonostante loro, nel booklet, la indichino come: “Un brano come tanti altri”, “Citat” è forse la cosa migliore di tutto il lavoro e racchiude in soli sei minuti un mondo musicale perfetto, un brano prog da manuale, così ricco di idee che molte altre band le avrebbero sfruttate per un intero disco. Altro grande brano è “Fritt Fall”, prettamente giocato su unisono e sincopi di non mostruosa difficoltà, ma di bellissima riuscita. Altro brano cameliano/caravaniano fino al midollo “Hör och Häpna”, un gran finale, epico con chitarra solista e tastierone di fondo. I brani inseriti come bonus sono suddivisi in quattro tracce recuperate da altre incisioni live dell’epoca e tre che risalgono ad un tentativo di incisione in studio che non ebbe sbocchi discografici. Tra questi sette brani spicca sicuramente “Femkat” un brano un 5/4 risalente ad alcuni anni prima rispetto al concerto e la lunga “Kärnkraftsläten” ispirata da un incidente in una centrale nucleare di Harrisburg di quegli anni e segnata sul libretto come ultima composizione completa degli anni ’70 del gruppo. La sua composizione ruota attorno ad un cowboy-theme stravolto e reso prog da sbalzi continui, tempi dispari e sbotti tastieristici di notevole intuizione.
Restano da citare 3 scherzetti musicali inseriti nella scaletta che mettono in luce il tono anche scherzoso del gruppo rispetto alla notevole serietà della restante parte della loro musica. Così abbiamo un “Tango Jalousi” stravolto e ridicolizzato, “Sverige i Storpolitiken” un medley di inni nazionali nordici e dell’est, e un tema western “Postdiligensen” di assalto alla diligenza, memoria di quando giocavano da ragazzini.
Questo è tutto e, ciò che appare, ad onor del vero, è una gran gioia musicale, sempre che quel senso nostalgico che inevitabilmente assale l’ascoltatore, possa essere letto come espressione di una magia fanciulla, dolce, dal profumo del bosco d’autunno e dal sapore di fieno del primo bacio.

Roberto Vanali

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