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SLOCHE Stadaconé RCA 1976 CAN
 

Se dovessi scegliere un album soltanto per far capire a qualcuno che me lo chiedesse cosa è il Progressive Rock, probabilmente questo disco sarebbe uno dei possibili candidati. "Stadaconé", il secondo ed ultimo lavoro degli Sloche, racchiude in sé molti e fra i più begli aspetti del nostro genere musicale e non ha nulla da invidiare alle opere dei blasonati maestri d'oltreoceano. Mi piacciono la sua sinfonicità, il suo eclettismo e quel gusto delicato di combinare influenze diverse in un insieme equilibrato ed unico che posseggono diversi artisti della scena del Quebec. Un altro aspetto interessante è la commistione di elementi jazz e sinfonici: in molti hanno giustamente riconosciuto in questo contesto musicale influenze Canterburyane ma sicuramente è molto brillante ed originale la rilettura di questi riferimenti in chiave sinfonica, grazie anche ad abbondanti partiture tastieristiche, realizzate con un corredo strumentale di tutto rispetto comprendente Fender Rhodes, Wurlitzer, Mini Moog, Piano, Hammond B-3 e Solina, gestito dalla coppia Réjean Yacola e Martin Murray, con l'aggiunta della Celesta suonata dal percussionista Gilles Ouellet. E direi che le parti di tastiere sono assolutamente formidabili, ricche di intrecci e sfumature e caratterizzate da una scelta di registri e suoni molto variegata e particolareggiata. Un altro fattore che mi affascina di questo album è il suo continuo e progressivo mutare, per cui noterete che i paesaggi musicali variano gradualmente ed impercettibilmente con l'ascolto, come può cambiare progressivamente lo scenario che sfila sotto i nostri occhi durante un viaggio in treno, e al termine del disco ci rendiamo conto di ritrovarci in un luogo diverso da quello di partenza senza capire di come ci siamo arrivati.
E' difficile descrivere questo effetto a metafore, quindi ci conviene accendere il piatto e partire con la title track. Pare che questa canzone appartenesse al repertorio più primitivo della band e che sia stata successivamente rielaborata. Forse è questo il motivo della sua particolarità e comunque non lo potremmo mai sapere, l'unica certezza è che si tratta di una canzone briosa che presenta morbidi richiami ad Hatfield And The North e Caravan, rivisitati in un'ottica sinfonica, con deliziosi riferimenti a Gentle Giant e Genesis. Il pezzo si protrae piacevolmente per dieci minuti e l'impatto, per chi ascolta per la prima volta l'album, è davvero avvincente. Abbiamo parlato delle tastiere, che senza dubbio dominano questo album con le loro sequenze incrociate, ma il resto dei musicisti non sta certamente a guardare e possiamo apprezzare in maniera diffusa gli assolo jazzy della chitarra di Caroll Bérard o il basso pulsante e quasi alla Squire di Pierre Hébert (figlio del pianista jazz Gérard). La successiva "Le cosmophile" si apre con una delicata sequenza di Moog molto Yessiana e continua giocando con queste suggestioni. Si tratta dell'unica traccia cantata (escludendo qualche isolato intervento vocale nella title track), ovviamente in francese ed in coro, senza voce solista, con melodie vocali suadenti. Curioso è l'inserto di fiati nel contesto di un brano che, come abbiamo appena detto, sembra quasi un tributo agli Yes, ma gli Sloche riescono a far apparire tutto molto naturale. "Il faut sauver Barbara" chiude il lato A e si tratta di una traccia molto frammentata e decisamente più variegata e complessa rispetto alle due precedenti, con continui stop & go e cambi di tempo, un po' sulla scia dei Gentle Giant.
Il lato B si apre invece con una traccia breve per culminare con il pezzo più lungo dell'album: "Isaacaron", di 11:18 minuti. "Ad Hoc" è dominata da una chitarra funky che spadroneggia per l'intera durata del pezzo. La successiva "La baloune de varenkurtel au zythogala" mostra begli intrecci fra chitarra acustica e tastiere, con melodie abbastanza distese ed una parte conclusiva molto Cameliana. Abbiamo superato la fase più rilassante dell'album con queste due canzoni sicuramente intriganti ma molto più semplici rispetto al resto del repertorio. Con la traccia di chiusura torniamo su territori più complessi con arrangiamenti orchestrali imponenti ed inserti pianistici che si stagliano con superba eleganza nel contesto di trame sonore decisamente inquietanti. Questa volta si sfiora quasi, senza tuttavia raggiungerlo, il R.I.O. per le tracce ritmiche spezzettate, per l'andamento convulso del pezzo ed i riferimenti alla musica contemporanea. Rimaniamo sempre nell'ambito del rassicurante prog sinfonico, è vero, ma senza accorgercene, l'ultima stazione di questo viaggio immaginario, si colloca, come preannunciato, su territori distanti dal punto di partenza. Si tratta di un album dalle mille sfaccettature che occupa una posizione un po' particolare nel contesto della scena Prog del Quebec che ama particolarmente le tematiche sinfoniche, leggiadre ed i francesismi, ovviamente con le dovute eccezioni e senza troppo generalizzare.
L'album di debutto, del 1975 ed intitolato "J'un oeil", è su livelli equivalenti ed equiparabili, quindi se vi capitasse di vedere in giro uno qualsiasi di questi due LP potete prenderlo ad occhi chiusi e senza esitazione, senza peraltro sborsare cifre assurde. Dopo "Stadaconé" non si hanno più tracce degli Sloche a parte il fondatore Yacola che all'epoca, contattando alcuni compagni di conservatorio, tirò su la band che ha realizzato questi due album e che ora si trova al fianco di uno dei più famosi cantautori del Quebec: Raôul Duguay.

Jessica Attene

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