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YONINBAYASHI Ishoku-sokuhatsu Tam Ax 1974 JAP
 

Chi conosce bene il mondo del progressive rock sa di certo che in Giappone c’è una sorta di culto verso il nostro amato genere. Culto che si estrinseca sia attraverso un buon numero di appassionati che collezionano dischi fin dagli anni ’70, sia con una scena locale che, da quel periodo fino ad oggi, ha portato alla luce opere di grandissimo valore e da tenere in debita considerazione. Anche nel Sol Levante chi si è cimentato in questa corrente ha permesso lo sviluppo di un movimento che ha abbracciato ogni espressione del prog, dal jazz-rock allo space-rock, dalle ramificazioni derivanti dalla scuola cosmica tedesca alle contaminazioni con la psichedelia, dall’avanguardia fino all’inevitabile rock sinfonico.
Proprio in quest’ultimo campo il gruppo giapponese dei seventies forse più celebre è rappresentato dagli Yoninbayashi. Dopo un esordio con una colonna sonora, nel 1974 la band realizza il suo album più noto, “Isshoku-Sokuhatsu”, la cui fama è alimentata parzialmente anche dal bizzarro disegno in copertina. La line-up è formata per l’occasione da Katsutoshi Morizono alle chitarre e alla voce, Hidemi Sakashita alle tastiere, Shinichi Nakamura al basso e alla voce e Daji Iwao alla batteria e alle percussioni.
Il brano d’apertura è un breve strumentale costruito tra dissonanze e suoni spacey e funge da introduzione ai cinque minuti di “Sora to kumo”, che ci fa entrare nel vivo del lavoro con un sound a cavallo tra rock sinfonico e indirizzi floydiani. Ci sono piacevoli melodie vocali, ritmi variabili, ma compassati e mai sopra le righe e dei bei momenti strumentali con una gradevolissima atmosfera sognante che fa un piacevole effetto. Gli undici minuti di “Omatsuri” sono tra i cavalli di battaglia della band, che la eseguirà costantemente nelle sue esibizioni concertistiche. La chitarra à la Gilmour fin dalle prime battute si rivela grande protagonista con temi affascinanti, brillanti spunti solistici e ottime scelte timbriche. Il canto in giapponese offre bei momenti melodici e c’è spazio anche per uno splendido keyboards-solo. Si cominciano così a notare le prime ottime interazioni tra chitarra e tastiere, che si intrecciano e si danno il cambio alla guida del brano, con una eclettica sei corde che di tanto in tanto si irrobustisce un po’ sfiorando l’hard-rock e che nel finale, accompagnata da percussioni dal sapore afro-americane, viaggia addirittura su quelle coordinate di rock “caliente” create dal grande Carlos Santana.
Il lato B del disco si apre con la title-track, subito vibrante, con ritmi molto spediti ed una chitarra assolutamente trascinante, per un serrato hard-psichedelico. Con l’entrata del cantato si rallenta un po’ e si avverte una elegante vena romantica, ma nel prosieguo ci sono continui cambi di tempo, di temi e mirabolanti parti strumentali dove nuovamente gli interscambi di chitarra e tastiere evidenziano classe, gusto e abilità. Molto suggestivo “Ping-pong dama no nageki”, pezzo strumentale i cui ritmi sono scanditi dai rimbalzi di una pallina da ping-pong e che può rappresentare un fantastico compromesso tra rock sinfonico e psichedelia, capace di rievocare ancora le atmosfere liquide dei Pink Floyd, ma anche la raffinatezza dei Camel.
Segnaliamo anche che nelle ristampe in cd sono presenti un paio di tracce in più come materiale bonus, che mantengono una certa omogeneità col materiale descritto, sia da un punto di vista stilistico che qualitativo.
Non è un caso che “Isshoku-Sokuhatsu” sia stato l’unico album di prog sinfonico giapponese ad avere avuto l’onore di essere menzionato nel libro “Japrocksampler” di Julian Cope. E’ la grande eredità lasciata ai posteri dagli Yoninbayashi. E’ una ricchezza che incanta oggi come trent’anni fa.

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Peppe Di Spirito

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