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KUJAKUON Yugiriro no genso ? (1990 Made in Japan / 1990 Musea) 1984 JAP
 

E’ una furente sarabanda poliritmica dal sapore mediterraneo, che da avvio a questo disco dei Kujakuon. Quintetto nipponico pressoché sconosciuto, ha dato alle stampe questo unico gioiello nascosto e datato 1984. In effetti fino al 1990 il disco è rimasto nel limbo, fino a quando, cioè, la Made in Japan, non lo ha stampato, parallelamente alla Musea in Europa. Cinque brani piuttosto lunghi, complessi e molto vari nella proposta tematica e nel risultato. L’opener “Elixir” è esemplare di questa varietà, infatti dopo l’avvio sopra accennato ecco partire un jazz rock dai vaghi tratti zeuhliani, dominato dalla ciclicità del basso di Morihiro Takeshi che fa tappeto, prima per uno straordinario assolo di violino di Yasushi Kozuka, subito dopo per quello del saltellante e funambolico piano elettrico di Masumi Ishikawa. Crollo tonale nella sezione centrale e un riemergere lungo e sofferto, dai tratti free e improvvisati e quando riparte il basso con il suo riff ripetitivo e ipnotico ecco il guitar solo di Hiroaki Mastumoto, spezzato, sincopato che insegue tracce indefinite e dalla difficile lettura. Sarà la poliritmia scandita dal batterista Shiro Kato a riportare al tema iniziale per chiudere in un unisono di rara maestria. “Tamashizume No Uta” ha l’andamento del jazz rock settantiano degli Arti & Mestieri, e sapientemente miscela un poderoso giro di basso che fa da legante alle scorribande del violino, talvolta vicino a sonorità gitane e di chitarra, in continui ondeggiamenti lirici, sospinti da sinuosi tappeti di synth, il tutto gestito con estrema delicatezza, senza irruenza e mantenendo un tono rotondo ed elegante. La chiara ispirazione a temi mediterranei e in particolar modo italiani e francesi, appare evidente un po’ in tutti pezzi, però è forte anche la spinta a proporre suoni della tradizione, magari celati tra una distorsione di violino e improvvisata al piano elettrico, come nella movimentata e “Evening Mist”. I Kujakuon riescono a mantenere alta l’attenzione, dando all’ascoltatore una grande varietà stilistica e una serie di cambi inaspettati quanto coinvolgenti e di break ritmici che preludono a solo di violino molto accattivanti, parzialmente avvicinabili a cose di Jean Luc Ponty dei tardi anni ’70, introducendo, come da insegnamenti, alcune battute vagamente funky, poche, per poi tornare nel turbinio di jazz rock complessi e trascinanti. Per i due brani finali il clima si fa più sbarazzino e giocoso, con stacchi che sembrano usciti da opere teatrali degli anni ’20 dove il violino assurge a protagonista di stranite e improbabili melodie, perfette, ma sul ritmo sbagliato, generando così una piacevole quanto anomala diversità musicale. In “Megitsune”, ben celata, mentre il piano sbrodola note su note, in una atmosfera di istantaneo jazz elettrico salta fuori persino una brevissima citazione di “Someday My Prince Will Come”. La conclusiva “Kirisame” continua su questa atmosfera di scanzonata e ironica danza, rubacchiando temi crocieristici, da balera, da lounge bar, per trasformarli, degenerandoli a piacimento.
Disco molto interessante, da una band tecnicamente validissima, con idee varie e piacevoli, sicuramente da cercare.

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Roberto Vanali

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