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SECOND HAND Giovanni Carta
 

Nel gran calderone di talenti che era la scena britannica della seconda metà degli anni '60 non è sicuramente semplice raccapezzarsi fra i diversi gruppi musucali che si formarono durante quel periodo. Se da una parte negli USA furono piantati i semi che diedero vita in breve tempo ai rigogliosi e colorati gruppi della west-coast californiana e più in genere creato il primo movimento musicale underground ed indipendente (basti pensare ai Fugs ed alle Mothers di Zappa) nella storia della cultura giovanile, tali novità furono recepite velocemente nei paesi d'oltreoceano tanto da influenzare le più disparate tendenze musicali e non solo... basti pensare all'improvvisa conversione mistica dei Beatles!
Forse uno dei pochi gruppi inglesi che seppero realmente comunicare in musica le tensioni e l'immaginario della rivoluzione psichedelica furono i Second Hand; in due soli dischi furono in grado di segnare in maniera indelebile la storia del rock progressivo pur non raggiungendo mai vette di popolarità, anzi, costretti in breve tempo allo scioglimento prematuro. A dispetto del nome la musica suona estremamente fresca ed innovativa, sicuramente all'avanguardia rispetto ad altre forme musicali più ortodosse. Il disco d'esordio, "Reality", pubblicato nel 1968 dalla Polydor (nonostante un effimero interessamento da parte della Apple) appare quasi come un mistero nonostante la forte presenza di trame sinfoniche riecheggianti formazioni come i Procol Harum e Moody Blues: "Reality" rimane un caso unico nel suo folle articolarsi e tanto estro potrebbe essere partagonato solo ai Pink Floyd di Barret viste le capacità dei S.H. di costruire particolarissimi collage sonori nel nome della dilatazione sonora piu estrema. arte importante nel disco fu svolto dal produttore e tecnico del suono, il fido Vic Keary, mentre la parte compositiva fu ripartita in egual misura dal tastierista e cantante Kenny Elliot, probabilmente la mente del gruppo, Bob Gibson alle chitarre, Kieran O’Connor alla batteria e Nick South (futuro dell'Alexis Corner's Group) al basso. Sinfonismo esasperato e dai tratti foschi ed inquietanti, hard rock, beat e quant'altro sono focalizzati attraverso la lente distorta dei Second Hand, ed in particolar modo sono da ricordare la cerebrale psichedelia di "The World will end testarday", il degenerato hard rock di "Rhubarb!" e soprattutto la lunga, delirante, sequenza di "Mainliner" e "Reality" caratterizzate da incisive dilatazioni floydiane.
Tale energia creativa raggiunge la massima sublimazione nel secondo disco, "Death may be your Santa Claus", forse il capolavoro dei Second Hand, senza dubbio uno degli album più interessanti di quel periodo. Ridotti a trio dalla defezione di Bob Gibson i S.H. pubblicarono "Death..." nel 1970 per la Mushroom Rec. (label personale di Keary), aiutati dal cantante Rob Elliot (fratello del tastierista) e da Tony Mc Gill e Malcom Mead alle chitarre. "Funeral", il brano d'apertura del disco, nella sua magniloquenza è uno strano ibrido fra il r.n.b. ed il sinfonismo più esasperato e serve un po' da intoduzione ad un lavoro questa volta incentrato sulle tastiere multiformi di Elliot a discapito di certe durezze dell'esordio ed a favore di qualcosa di più ambiguo e disturbante. "Hangin' on a eyelid" ad esempio è un brano di difficile interpretazione per i suoi cambi di tempo, un brano fondamentalmente jazz-rock... ma che richiama alla mente ben altro, mentre "Lucifer and the egg" è un brano vicinissimo a certe cose de Crazy World di Arthur Brown ma con una massiccia dose di cattiveria in più. Il secondo lato del disco rappresenta il vertice dell'arte dei S.H. e si struttura come un'unica suite sinfonica interamente strumentale suddivisa in cinque movimenti sperimentali ed arditi nel violare qualsiasi schema precostituito, forse vicina concettualmente e spiritualmente ai King Crimson del triangolo del diavolo.
Tanta stravaganza creativa non paga, si sa, e così il gruppo in breve tempo si sfalda definitivamente. Gli unici due superstiti di quella formazione, Kenny Elliot e Kieran 'O Connor ebbero il tempo giusto per licenziare un disco come Chillium (da molti considerato il terzo disco dei defunti S.H.) e costituire successivamente i Seventh Wave, autori di due dischi il secondo dei
quali, "Psi-Fi" pubblicato nel 1975, accolto molto bene dalla critica. In realtà quello che poteva sembrare un momento di riscatto artistico in realtà non era altro che il preludio verso il definitivo ritiro dalle scene compiuto definitivamente dalla tragica morte di O’Connor dovuta dall'abuso di alcool sul finire degli anni '80.

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