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TANGERINE DREAM Marco Lastri
 

Correva l’anno 1967 quando, all’interno del lisergico mondo della musica psichedelica, si affacciò per la prima volta il fenomeno Tangerine Dream, un gruppo formato inizialmente da Edgar Froese (che ne era anche il fondatore) e vari comprimari, e solo dal ’69 da Klaus Schultze e Konrad Schnitlzer aggiuntisi al fondatore. Il gruppo non aveva un’identità ben precisa: partiva solo dal presupposto di portare in musica il fascino delle arti visive. I primi esperimenti dell’ensemble si trovano nel primo disco “Electronic meditations” e lasciano di stucco l’ascoltatore medio a causa delle lunghe improvvisazioni prive di una qualsivoglia melodia, ai limiti della sopportazione sonora. Tuttavia il risultato è raggiunto: mai si era sentito qualcosa di così smaccatamente visionario, acido ed elettronico al tempo stesso. I Pink Floyd avevano già fatto uscire il loro primo album, con a capo Barrett, ma la forma canzone, nonostante i vari accorgimenti psichedelici, era rimasta nell’ambito dell’orecchiabile-accettabile-gradevole. I TD no. Avevano rotto col passato: con “Electronic meditations” ci si avvicina al rumore, ma solo di sfuggita perché dietro questo pastiche sonoro si intravede la voglia di andare al di là delle regole, di vincere la guerra con la musica tanto commerciale di quel periodo e proporre qualcosa di più intelligente e colto.
La guerra ovviamente è persa in partenza ma qualche battaglia viene negli anni conquistata, come ad esempio la conquista della top ten inglese di John Peel con “Phaedra” del ’73, il contratto decennale con la Virgin, la continua pubblicazione di materiale e le numerose nomination al Grammy (in anni recenti). La storia dei Tangerine Dream, è noto a quasi tutti i cultori di questo gruppo, si divide in sei tappe fondamentali: i Pink Years, i Virgin Years, i Blue Years, i Melrose Years, i Seattle Years e l’ultima tappa è tuttora in corso. I Pink Years vanno dal 1970 al 1973 e vedono il gruppo cambiare formazione fino al trio Froese - Franke - Baumann ma soprattutto vedono un sempre maggiore interesse del gruppo verso gli strumenti elettronici (in particolar modo verso gli allora recenti sintetizzatori, come il Moog, l’ARP o l’Elka Strings ), dai quali non si sono ancora separati dopo tutti questi anni (hanno solo aggiornato il parco - macchine!). L’unico strumento normale che viene usato nei primi dischi dei TD è la chitarra elettrica Gibson Les Paul di Froese...

Dal 1973 fino al 1983 si ha la parentesi decennale inglese del gruppo, messo sotto contratto dalla allora neonata Virgin (risale proprio al ’73 la nascita della label, con la pubblicazione di “Tubular bells” di Mike Oldfield). Il primo disco dei TD per la Virgin è “Phaedra”, impasto sonoro di 40 minuti difficilmente divisibile in canzoni: l’opera è un tutt’uno di sensazioni elettroniche e visionarie, ma si comincia a intuire un qualcosa di ritmico e di reiterativo nella musica. Gli oscillatori, sucettibili a repentini cambi di cut-off (cioè di frequenza di taglio… scusate ma è la deformazione professionale!) scandiscono in modo perfetto il tempo dei pezzi e sembra di fare un viaggio nel cosmo (ma anche in altri luoghi…), ascoltando i numerosi effetti analogici del disco. La partenza di Baumann e l’entrata di Schmoelling nel gruppo (dopo non pochi altri sostituti!) nel 1980 fa virare i TD verso l’interesse del pubblico più giovane e soprattutto verso costruzioni sonore decisamente più ritmate e soprattutto più orecchiabili e commerciali: è in questi anni che i TD cominciano a scrivere colonne sonore per i film di Hollywood (la prima però è del ’75, per il film Sorcerer di William Friedkin, lo stesso dell’Esorcista) e a scadere, a mio avviso, nella prostituzione più oscena della loro carriera. Lavori come "Thief", "Exit" e "Hyperborea" sono dei pasticci senza capo né coda che, non solo sono dannatamente banali nella
melodia e nella ritmica, ma vorrebbero in qualche situazione rifare il verso ai vari Kraftwerk e soci. Improponibili a un pubblico perlomeno senziente.

La scadenza del contratto con la Virgin porta il gruppo verso la giovane e piccola etichetta Jive Electro... e i Tangerine tornano subito grandi! Con il live "Poland", ma soprattutto con "Underwater sunlight" (che vede gettare la spugna Schmoelling ed entrare nella formazione Paul Haslinger), sebbene la linea orecchiabile e facile del gruppo venga mantenuta, si nota una maturità incredibile del gruppo nella composizione di pezzi brevi e lunghi, nel mixare la ricerca sonora al ritmo in quattro quarti, tanto che i pezzi psichedelici e angoscianti si fanno diluiti nei pezzi, cosicché la musica resta sempre colta ma diventa anche di più largo respiro e, importante, più sopportabile dall’ascoltatore medio. Anche dopo la defezione di Chris Franke subito dopo l’uscita del bellissimo "Live miles" non è che un passo verso la popolarizzazione del sound dei TD, arricchito ormai dall’apporto dei primi personal computer usati in ambito musicale (tra cui il famoso Atari ST, con installata una delle prime versioni del programma musicale Steimberg Cubase).
E’ quindi dal rinnovato duo Froese-Haslinger che nasce "Optical race", primo disco dei Melrose Years (che vanno dal 1988 al 1991), registrato per la casa discografica Private Music del vecchio membro Peter Baumann. In questo periodo dei TD si nota un avvicinamento sempre più marcato all’easy listening di classe, la psichedelia e la spazialità, rimasta in un certo senso anche negli ultimi anni, se ne vanno a sparire con la velocità di un fulmine, lo spazio per i larghi e immobili tappeti di synth diventano ormai introvabili. Il gruppo prende una piega ancora più netta quando, nel 1990, entra nella formazione il figlio di Edgar Froese, Jerome, che, complice la sua passione per il grunge, il dub e l’ambient dei moderni esponenti della musica elettronica (Orb, Aphex Twin ecc.), porta il gruppo (dopo l’abbandono nel ’91 da parte di Haslinger) verso soluzioni musicali spiazzanti per il vecchio pubblico: basi molto ritmate, ritornelli semplici, una certa vena di world music e di new age... e addirittura un doppio cd di remix (decisamente dance!) dei pezzi del periodo 92-95 (sono questi i Seattle Years, che vedono i TD stringere un contratto con la casa americana Miramar, esponente di punta, come la Private, delle edizioni di musica new age). L’entrata in formazione della bella e brava sassofonista Linda Spa nel 1994 (unita a un numero considerevole di turnisti) non contribuisce a far smuovere il gruppo dai binari intrapresi: ne sono testimoni gli ultimi dischi ufficiali, tra i quali "Goblins Club" del ’96, varie colonne sonore per video di stile new age e raccolte di musica dub, sulle quali non mi soffermo per pietà.

Riporto adesso qui di seguito delle recensioni di alcuni dischi dei quali non ho parlato già nell’articolo: è una sorta di guida all’ascolto che dovrebbe guidarvi (spero!) alla scoperta di uno dei più prolifici e storici gruppi della storia. Nota: sono quasi tutti dischi degli anni ‘70 e primi ‘80. Infatti penso che questi lavori servano a delineare il talento visionario e sperimentale dei Tangerine Dream ben più delle recenti uscite che sono di ascolto agevole anche per il fruitore medio di musica pop.

Zeit

La dissonanza la fa da padrona in questo difficile album dei Tangerine Dream, dove si percepisce chiaramente un unico filo conduttore che unisce le quattro tracce presenti. Pur essendoci temi e strumenti diversi, la scelta delle dissonanze forti non ha soluzione di continuità lungo tutto l’ascolto e si rimane colpiti dall’insistenza di certe ripetizioni e dalla durezza di alcuni accoppiamenti di note e strumenti. Resta, quasi fosse una firma evidente, la capacità di questi pezzi di crerare facilmente immagini visive: è il caso di "Nebulous dawn", che inizia con una sorta di partenza di un transatlantico virtuale, mentre "Orion of Supernatural" ricorda in certi tratti il magico balletto delle astronavi spaziali del mago Kubrick nel suo mai abbastanza elogiato 2001.

Green desert

Questo è un progetto parallelo di Froese e Franke risalente al 1973 ma pubblicato solo nel 1985. Si nota una certa differenza rispetto ai progetti ufficiali del gruppo, a causa di una certa orecchiabilità latente nella musica. Queste tracce sembrano perfette per volare con l’immaginazione o per completare l’effetto di una ottima elaborazione visiva, grazie a momenti di vera e sana ansia, tensione e buio alternati a fasi più distese. I crescendo, l’uso delle percussioni e la apparente ripetitività di certe parti celano una atmosfera continuamente mutevole, sempre legata al tema della suggestione e molto magnetica. L’ultima delle quattro lunghe tracce, pur nella sua minimalistica semplicità, caratterizzata da un andamento quasi ondeggiante, risulta ai limiti dell’ipnotico, forse non affascinante al primo ascolto ma difficile da fermare.

Phaedra

Ascoltando la prima traccia di “Phaedra”, in pratica, si è già entrati totalmente nell’atmosfera di questo storico lavoro dei Tangerine Dream. Infatti solo il display del lettore cd rivela lo scorrere dei brani, mentre per l’orecchio tutto si sussegue naturalmente in un misto di tensione, battiti ritmici, volumi diversamente modulati, fino a dissolversi con un inatteso cinguettio del secondo pezzo, molto più new age, in modo da collegare al meglio la prima e la terza traccia. Per concludere, un breve momento di sperimentazione con una efficace chiusa che viene naturale definire classica e dissonante allo stesso tempo.

Logos

Ponendo questo live su un grafico bidimensionale, probabilmente si otterrebbe una infinita alternanza di valori decisamente opposti. Chi si è immerso nello stile tridimensionale e spesso dissonante dei primi Tangerine Dream, trova momenti familiari alternati a strane scelte fin troppo orecchiabili, ripetitive e melodiche, molto legate a sonorità arabeggianti ed orientali. Purtroppo queste fasi così semplici e poco innovative finiscono per prevalere, lasciandoci l’amaro in bocca.

Poland

Con “Poland” sembra di rivivere atmosfere cinematografiche, quasi come se ci fossero, ben nascoste, citazioni di alcuni famosi lungometraggi. Ecco allora che la prima traccia sembra fare l’occhiolino ad "Arancia meccanica", così ricca di pathos grazie ad un uso mitragliante delle percussioni. La stessa cosa accade nella traccia due, che nel finale suona le campane tanto care ad Hitchcock nel suo "Gli Uccelli". Delude, invece, la traccia 3, con spunti quasi folkloristici. Per fortuna l’ultimo brano torna alla liquidità sonora che, insieme al sapiente uso di tappeti, ha fatto la fortuna dei Tangerine Dream. Da notare che proprio la traccia numero quattro è stata riutilizzata per la colonna sonora del film "The park is mine" del 1985 (l’attore principale era Tommy Lee Jones).


Adesso la mia parte l’ho fatta, signori e signore del mondo del prog... se vi ho incuriositi su questo liquido mondo di musica intelligente ascoltatevi un disco dei Tangerine Dream. Ma mi raccomando, dovete stare in silenzio e al buio, possibilmente distesi sul vostro letto. Tenete la mente sgombra e ricettiva a tutte le emozioni alle quali sarete sottoposti! Se navigate su Internet non mancate di visitare la home-page ufficiale: www.tadream.com

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