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TASTIERE DEL ROCK Valter Poles
 

Mellotron, Hammond, Moog, Rhodes, Arp, ecc. sono sigle famosissime di strumenti che con il loro suono innovativo e trasgressivo hanno caratterizzato le pagine più importanti del rock progressivo, ma non tutti, specie i lettori più giovani, conoscono il significato di questi marchi importanti, senza i quali molta musica avrebbe sicuramente perso gran parte del suo fascino. Andiamo in ordine e vediamo come e quando si sono affacciati nella storia del rock.

Lo Hammond

Fino alla fine degli anni '60 la formazione rock comprendeva chitarra, basso, batteria e organo. L'organo era l'unica tastiera che poteva essere portata sul palco ed era quasi sempre uno Hammond. Questo particolare organo veniva inizialmente costruito seguendo un principio elettromagnetico: il caratteristico suono di tipo sinusoidale con armoniche sovrapposte veniva generato da delle ruote dentate che ruotavano davanti a dei magneti. Accendere uno Hammond originale è come mettere in moto un vecchio diesel: ci sono due interruttori: uno per permettere di far circolare adeguatamente l'olio, l'altro per l'accensione vera e propria. Già verso la fine degli anni '70 non era più conveniente costruire lo strumento secondo il principio elettromagnetico anche perché si erano ormai diffusi i cloni elettronici: tastiere che emulavano il timbro Hammond senza bisogno delle ruote dentate.
Bisogna dire che nonostante gli sforzi le imitazioni erano e sono tuttora molto buone ma mai eguagliano la potenza espressiva del vecchio sarcofago. Perfino il click che si udiva abbassando ogni tasto, che originariamente era un difetto elettrico è stato sfruttato a fini espressivi. Sta di fatto che verso la fine degli anni '70 cominciarono a diffondersi una miriade di tastierine marchiate Korg, Crumar, Elka e perfino la Suzuki (proprietaria ora del marchio Hammond) decise di produrre L'Hammond elettronicamente! Oltre al prezzo, un altro dei motivi che hanno favorito il successo delle imitazioni era il peso e le dimensioni! Avete idea di cosa voleva dire sollevare un vecchio C3, caricarlo su un camion e scaricarlo su un palco? Ed il suo Leslie? Per i più giovani ricordiamo che il Leslie è l'indispensabile amplificazione dell'organo: un enorme cubo di legno con un sistema di altoparlanti rotanti a due velocità. Anche lo Hammond costruito oggi è rigorosamente elettronico. Per riconoscere la natura elettromagnetica di un Hammond basta farlo suonare e poi spegnerlo senza togliere le dita dai tasti: se si ode la tipica sirena discendente che si può ascoltare anche nel famoso Hard Lovin' Man da Deep Purple in Rock al 3:24 lo strumento è autenticamente elettromeccanico, se si ammutolisce di colpo è elettronico. Lo strumento originario si è subito imposto grazie alla potenza espressiva, alla solidità e alla caratteristica presenza dei 9 drawbars ossia quella serie di cursori che permettevano di dosare la composizione armonica del timbro secondo infinite composizioni di registri. Da notare che fino alla fine degli anni '70 l'Hammond era considerato l'unico modello di organo elettronico il cui timbro poteva avvicinarsi ad un vero organo a canne: molte chiese che non potevano permettersi la consolle tradizionale a canne optavano per un Hammond almeno fino a quando la terribile nostrana Farfisa non ha avuto la brillante idea di affacciarsi sul mercato con modelli liturgici riuscendo a bidonare moltissimi parroci solo per aver stampato sui pessimi registri i ben più rassicuranti nomi di "Bordone" "Dulciana" "Coro viole" al posto dell'infernale combinazione dei nove drawbars...
Per tornare al rock, tra i grandi che sono riusciti a far sudare sangue al proprio Hammond non si può non ricordare il geniale Emerson che riesce a farlo urlare come una bestia inferocita oppure accarezzare ottenendone delicate e liquide sonorità. Inoltre era prassi non rivelare a nessuno la combinazione abituale dei drawbars che caratterizzava la sonorità propria di un grande organista. La presenza dei drawbars permetteva comunque di interagire con essi dinamicamente durante le esecuzioni: spessissimo infatti, le combinazioni venivano modificate in modo continuo durante le esecuzioni.

Il Mellotron

"A me piace il mellotron" - non esiste frase più inquietante di questa: già, perché non tutti sanno che il mellotron è stato semplicemente il primo campionatore analogico messo in commercio, famoso soprattutto per i suoni di coro lirico. Di brevetto tutto italiano consisteva in una tastiera i cui tasti azionavano in realtà degli spezzoni di nastro magnetico preregistrato. In origine venivano forniti a corredo la serie di nastri con le registrazioni di archi e coro, ma si potevano ordinare altri timbri oppure, armandosi di pazienza infinita, ci si poteva produrre i nastri in proprio registrando nota per nota, lo strumento desiderato. Una tale mole di meccaniche delicate che
dovevano garantire il perfetto scorrimento dei nastri contenuti all'interno, rendevano lo strumento fragile, stonato e poco affidabile dal vivo. La stessa esecuzione non era facilissima: il nastro associato ad ogni tasto era di lunghezza definita e non poteva produrre un suono che si prolungasse oltre un determinato numero di secondi, dopodiché il suono si interrompeva e si doveva attendere il riavvolgimento del nastro. La tastiera ovviamente non era dinamica per cui le applicazioni erano per forza di cosa ridotte. A quegli anni però si trattava di un effetto dal fascino incredibile: non vi erano alternative per portarsi sul palco il suono di una vera orchestra d'archi o di un vero coro, e si accettava di malgrado gli inconvenienti e le bizze di una tecnologia piuttosto artigianale.
Parlare di mellotron oggi non ha molto senso: i cori ieratici tanto suggestivi dei vecchi mellotron sono rozzi in confronto agli splendidi e molto più espressivi campionamenti digitali che possiamo utilizzare oggi, alcuni dei quali mettono a disposizione addirittura l'intera collezione dei suoni del vecchio mellotron con tutti i difetti, nello stesso modo in cui riportano anche il suono dei pessimi (a mio avviso) organi Farfisa e Vox Continental. È vero che con il vecchio Mellotron sono state scritte pagine indimenticabili di musica progressive ma dobbiamo tener presente che si trattava dell'unica risorsa tecnologica del genere che il musicista di allora possedeva e che dietro i tasti c'è sempre e comunque prima di tutto l'uomo, il musicista, la mente. La frase "a me piace il mellotron" indica perciò che chi la pronuncia è poco informato sulla tecnologia musicale moderna e comunque rimane legato ad una visione tradizionalista che tende ad anteporre le macchine al musicista e alla musica.

Il MiniMoog

...E fu la rivoluzione! Quando nei primissimi anni '70 lo strumento fece la sua apparizione nei concerti dei gruppi più importanti, il sound del rock si trasformò in qualcosa di nuovo e sempre imprevedibile. Il Minimoog fu la tastiera più importante e ambita: si trattava del primo sintetizzatore analogico importante che l'industria metteva a disposizione in serie ad un prezzo abbastanza abbordabile; munito di una tastiera di 3 ottave e mezza, rigorosamente monofonico (cioè poteva produrre una sola nota alla volta) e senza dinamica, (niente variazioni tra piani e forti in relazione al peso dato sui tasti) per la prima volta un suono poteva venir plasmato a piacere sia per imitare altri strumenti, sia per generare frequenze elettroniche tra le più fantasiose. Oltre al Minimoog si diffusero anche altre marche importanti come l'ARP con il suo modello più diffuso: l'Odissey, e L'EMS, questi ultimi venivano preferiti infatti dagli AREA. Il processo che portava alla creazione di un suono era comunque uguale per tutti i modelli analogici di allora: ognuno partiva da un oscillatore elettronico che generava un timbro di base morbido, nasale, o particolarmente stridulo, a seconda della forma d'onda scelta: sinusoidale, onda quadra o a dente di sega; il suono di base passava attraverso un filtro che poteva schiarirlo, scurirlo o enfatizzarlo; così modificato passava attraverso lo stadio degli inviluppi, dove si decideva se il suono doveva avere un attacco lento come nella produzione del suono degli archi, o immediato come nel caso dell'organo, se doveva decadere rapidamente come quando si suona uno xilofono, oppure prolungarsi anche dopo aver rilasciato il tasto come nel caso del suono delle campane. In questo modo era facile riprodurre le sonorità dei corni, delle trombe e praticamente di ogni strumento esistente ma anche effetti devastanti: ricordo in particolare le emozionanti performances live del Biglietto Per l'Inferno che simulava con il Minimoog esplosioni elettroniche ed il rumore crepitante del legno che si spezza.
In fase di incisione, i limiti della monofonia dello strumento venivano superati con la tecnica delle sovraincisioni: decine di Minimoog sovrapposti sono serviti infatti nel 1973 per la registrazione de "Il Banchetto" della PFM di "Per un amico" (disco d'oro per la vendita di 200.000
copie!), per la dinamica ci si doveva accontentare delle variazioni di volume di un semplice pedale collegato in uscita. Trattandosi di tecnologia analogica, a quel tempo non si poteva parlare di memorie per cui la creazione di un particolare suono poteva essere in seguito riprodotta solo ricostruendo l'esatta posizione delle manopole e degli interruttori che l'aveva generato.
La stessa tecnologia comportava dei difetti abbastanza gravi come l'instabilità nei valori elettrici dei circuiti dovuta alle variazioni di umidità nell'aria. Per limitare tali inconvenienti si accendevano i sintetizzatori parecchie ore prima del concerto, in modo che il calore generato all'interno delle macchine asciugasse l'umidità garantendo una certa stabilità nell'accordatura. Un esempio di instabilità lo possiamo vedere nel vecchio video "Pictures at an exhibition" degli ELP dove Emerson appena messe le mani sul Moog è costretto ad una repentina accordatura degli oscillatori.

Analogico e digitale

Una grandezza analogica si esprime attraverso un infinito numero di valori tra due posizioni, la tecnologia digitale permette invece di richiamare istantaneamente con un numero una qualsiasi grandezza. Nessuno strumento viene oggi costruito secondo la tecnica analogica tipica degli anni '70: i difetti sono talmente tanti da superarne i vantaggi. Il timbro analogico rimane però inconfondibile ed ambito: si tratta in genere di un suono grasso, potente, energico e tagliente, con la prerogativa di mutare, seppure in modo quasi impercettibile, rendendosi completamente differente dalla statica fissità di un suono digitale. La tecnologia moderna è comunque riuscita a riprodurre le sonorità analogiche con la tecnologia digitale, l'unica che può garantire riproducibilità e massima manipolazione. Gli strumenti moderni offrono infatti talmente tanti vantaggi che non ha molto senso portarsi sul palco uno strumento che non tiene l'accordatura per più di un quarto d'ora e con la tastiera stonata negli estremi. Per i cultori esiste comunque una versione piuttosto costosetta del MiniMoog mitizzato, provvisto di memorie e privo dei difetti collaterali del predecessore. Ma abbiamo a disposizione splendide novità con pannello analogico, tecnologia digitale ma suoni incredibilmente potenti e vibranti. Come sempre però, serve prima di tutto l'uomo, il musicista, la mente. Dopo, possono venire anche le macchine.

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