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DICE Giovanni Baldi
 

Quella dei DICE è stata proprio una strana storia... il destino ha infatti voluto che questo gruppo svedese pubblicasse in origine, e più precisamente nel 1978, soltanto un unico LP, mentre nei primi armi del nostro decennio i laboriosi giapponesi hanno dapprima ristampato tale lavoro riuscendo poi a recuperare altro materiale tanto da poter pubblicare due CD: il primo, inedito, "The four riders of the apocalypse" ed un secondo "Live" con ben quattro brani mai pubblicati.
Nonostante l'abbondanza di materiale recuperato dal dimenticato mondo progressivo della fine dei seventies, le notizie a mia disposizione sul gruppo erano e restano del tutto incomplete e frammentarie; sarebbe stato quindi un insulto alla professionalità (da più parti richiestaci) se mi fossi arrogato il diritto di dichiarare questa monografia come retrospettiva. Eccovi quindi a leggere questa pseudo-retrospettiva sperando che in parte vi possa piacere o per lo meno possa dare qualche chance di popolarità a questo interessante gruppo persosi nei molti meandri dell'underground svedese della fine dei '70s.
L'inizio di tutto si ebbe nel 1972, epoca feconda per la geniale espressività della musica progressiva, quando Orjan Strandberg e Leif Larsson, rispettivamente chitarrista e tastierista, incontrandosi decisero di dare vita al gruppo che prese subito la definitiva denominazione di DICE. Entrambi provenivano da. passate esperienze musicali con differenti bands nelle quali non riuscivano però a realizzare le proprie ambizioni musicali in campo compositivo. Fu infatti chiaro fin dai primi incontri fra i due in sala prove, che l'attenzione sarebbe stata rivolta soprattutto all'elaborazione e alla complessiva costruzione di pezzi che non alla mera esecuzione degli stessi, certamente anche quest'aspetto avrebbe avuto la sua importanza, ma l'idea di partenza era quella di creare qualcosa, e non di impressionare il pubblico con stupefacenti equilibrismi esecutivi.
Il lavoro compositivo si sviluppò quindi in maniera repentina pur non evidenziando quelle indecisioni o ingenuità che una tale precocità farebbe supporre. E' proprio in questo periodo che prende corpo la suite "Follies" che poi vedrà la luce sull'unico LP pubblicato inizialmente dal gruppo. Ma la profonda anima sinfonica dei DICE non trova completo compimento per la mancanza di un soggetto, di un'idea su cui poi elaborare quella sorta di concerto rock che già da tempo avevano in mente di realizzare. Fu la vista dell'incisione di Albrecht Durer intitolata ai quattro cavalieri dell'apocalisse che illuminò il genio del duo svedese tanto che nel giro di sette otto mesi nel 1973, vide la luce il concept "The four riders of the apocalypse". Ma, nonostante le molte idee, la realizzazione pratica era impossibile dato che la complessa ambizione compositiva dei due necessitava obbligatoriamente di una completa line-up. Già in quel periodo il puzzle dei DICE si compone di un altro tassello, Per Andersson alla batteria, con il quale la band comincia a proporsi al pubblico con alcuni brevi brani... Ma fu solo due anni più tardi che viene completata la formazione, colmando quelll'unica lacuna che era rimasta nella sezione ritmica con l'apporto di Frederik Vildo al basso. E' solo con l'arrivo di quest'ultimo che la band può cominciare una più intensa attività concertistica; è infatti nel 1977 che compirono addirittura un passaggio sulla radio nazionale con una esibizione live di un'oretta circa, della quale non resta però un bel ricordo al gruppo considerando l'esecuzione un po' piatta. "The four riders..." non vide mai la luce finché nel 1992 un gruppo di uomini dagli occhi a mandorla non decise di ripescare una vecchia registrazione effettuata dai DICE allo studio Frescati di Stoccolma nel 1977. Dopo un accurato restauro sonoro ed un opportuno remixaggio, siamo in grado di apprezzare questa pregevole opera dai fin troppo evidenti connotati sinfonici.
Si aprono le danze con il primo dei quattro movimenti di cui si compone questo "The four riders of the apocalypse": "War". La "Overture" di esuberante rock sinfonico ci introduce subito verso lidi sonori di innegabile matrice emersoniana pur avendo intense parti chitarristiche capaci di offuscare le evoluzioni tastieristiche di Larsson. Uno dei notevoli pregi di questo disco è sicuramente quello di avere una forte evocatività dei brani rispetto alla situazione a cui si richiamano. Ecco quindi ascoltando le varie sezioni di "War" si possono immaginare gli eserciti che si stanno per affrontare in "Fronts", la tensione che li divora, la calma che precede la tempesta, oppure in "Battle" il cruento scontro ed infine in "Deserted battleground" si avverte la desolazione lasciata dalla violenza umana.
Nel secondo movimento "Disease" (malattia) vengono alternati a dei momenti più soffusi altri dalla grossa forza espressiva. Particolare rilievo assume qui l'uso della chitarra, sempre discreta negli arpeggi classici ma capace di esibirsi in stralci più tirati comunque mai soffocanti o spigolosi. Buono anche il bilanciamento sonoro ottenuto con le tastiere dalle timbriche esclusivamente (o quasi) primi anni '70. Molto usati sono infatti hammond e mellotron in tutto il disco, come anche nel terzo movimento "Greed" (cupidigia). Questo è forse il pezzo che più si avvicina all'esperienza compositiva di EL&P con alcuni passaggi che, se non fosse per la presenza della chitarra... sarebbero molto vicini a quelli del famoso trio. A sprazzi emergono anche alcuni "crescendo" di stampo più genesisiano ma, sia ben chiaro, la musica della band resta sempre impostata su di un ottimo gusto personale senza mai evidenziare eccessi imitativi più comuni in altri gruppi dello stesso periodo. Chiude l'opera "Death" anch'essa composta di quattro parti come l'iniziale "War". Inizia un soffuso "Requiem" a base di organo su cui entra con vigore e rabbia l'intera band per poi evolvere nel seguente "Dance of the devil" con un continuo "saliscendi" sonoro in cui a momenti di rarefazione sonora vengono alternate delle vere e proprie esplosioni strumentali. La chiusura va ad "Heaven" (preceduto dal breve "Transition") la cui bellezza rimanda, forse anche per un notevole spiegamento di mellotron ed hammond, all'intenso sound dei contemporanei ANGLAGARD. Un pezzo veramente bello, seppur un po' ripetitivo, per il cui recupero non si può che essere riconoscenti all'operosità del sol levante. Il principale difetto è costituito da un registrazione non ottimale, il suono talvolta è un po' impastato e leggermente distorto, a cui i capaci tecnici giapponesi non hanno evidentemente potuto porre rimedio.
L'attività del gruppo, come ho già detto, comincia a farsi sempre più intensa. Nonostante ciò, le notizie in mio possesso cominciano a scarseggiare. Siamo infatti nel 1978 quando alla band si presenta l'occasione di incidere finalmente il primo, ed unico, lavoro su vinile. Per l'occasione i DICE si arricchiscono di un nuovo membro: il cantante Robert Holmin. L'LP, pubblicato inizialmente su etichetta Marilla Records, è stato ristampato dalla giapponese Belle Antique con due diverse edizioni: una dalla cover raffigurante dei dadi (guarda caso...!) su sfondo giallo e l'altra un disegno vagamente somigliante a quelli di Roger Dean. Gli incomprensibili ideogrammi giapponesi non mi permettono di riportarvi le (forse) ulteriori notizie ivi contenute. Vi posso in compenso assicurare che del presente lavoro è sempre bene averne una copia in casa visti i notevoli effetti terapeutici per coloro che sono colpiti da crisi di astinenza progressiva. Il disco si apre subito positivamente con "Alea iacta est" (che guarda caso significa “il dado è tratto"...). Un pezzo dall'armonia scoppiettante che vede rinnovare quell'emersoniano modo di comporre pur rielaborato in chiave ancora più personale. Subito in mostra la discreta voce di Holmin che pur non essendo nulla di eccezionale riesce a rendere più gradevole l'ascolto delle melodie talvolta eccessivamente classicheggianti. Molto bello è anche il secondo brano: lo strumentale "Annika", nel quale viene rappresentato uno dei migliori momenti compositivi vissuti dalla band. Nella sua canonicità progressiva racchiude una potenza espressiva veramente dirompente, grazie soprattutto all'ottima esecuzione di keyboard-piano su cui si inserisce una delicata esecuzione chitarristica. Molto possente, ed oramai collaudata, la sezione ritmica la cui partecipazione viene sottolineata da un basso molto corposo e sempre protagonista. La successiva "The utopian Suntan" alterna ad uno scherzoso motivetto anni '30 dei brevi strumentali che ricordano un po', con i loro improvvisi breaks nonché per le timbriche usate, lo stile dei GENTLE GIANT. Da notare inoltre l'incredibile attualità del tema trattato visto che pur trovandoci nel 1978 il quintetto svedese parlava già di un gas, contenuto nelle bombolette spray, che distrugge l'ozono della nostra atmosfera... that's incredible! Segue a ruota lo strumentale "The Venetian bargain" con un'esecuzione pianistica degna del Wakeman più ispirato. Da ascoltarlo tutto di un fiato. Girando lato, si chiude con un gran finale: la suite di 22 minuti "Follies" che occupa l'intera facciata. Diviso in 6 diversi movimenti il brano prende progressivamente corpo. Dall'esitante parte iniziale "Esther", che come contraltare ad una stentata prestazione vocale evidenzia anche gradevoli momenti strumentali, si passa ad un "Labyrinth" dalla migliore riuscita grazie anche da una melodia da gigante gentile... Segue "At the gate of Entrudivore" che riprende un po' lo stile dell'opener "Esther" e quindi risultando un po' troppo impostato come opera rock, con parti cantate un po' pese sviluppate però su di una melodia niente male. A volte mi ricorda un po' "The myths and legends of King Arthur..." di Wakeman anche per l'ottimo gusto melodico evidenziato negli strumentali (vedi il seguente I'm Entrudivorian") seppur con una minore propensione all'uso delle keyboards. Chiudono la suite "You are?" e "You are..." che ribadiscono quanto già detto sopra. Successivamente alla pubblicazione del loro omonimo lavoro, la band si dedica ad un'attività concertistica molto intensa. Nell'estate del 1978 i cinque si trovano infatti in Danimarca per un tour. Raramente la band usava registrare i suoi concerti, ad eccezione delle tre occasioni (Femoren in Danimarca, Skindal e Stoccolma in Svezia) dalle quali poi è stato estratto il recente CD (sempre per la Belle Antique) "Live Dice". Un lavoro che, come tutti i live, si propone per un pubblico già a conoscenza delle altre pubblicazioni del gruppo. Vengono infatti riportate buone esecuzioni live di pezzi già sentiti quali "Greed" e "Disease", che già dalle prime battute dimostrano quanto abile sia stata la band anche nella performance esecutiva. Esecuzione comunque effettuata con delle leggere varianti interpretative, tali da rendere talvolta il pezzo nuovo anche per le orecchie di un conoscitore navigato delle loro musiche. Accanto a tali riproposizioni sono presenti anche delle tracce inedite quali la percussiva "The drum thing" (per suonare la quale i membri del gruppo indossavano dei nasi finti) simpatica in concerto, un po' pallosa in CD, oppure "Merchandise" dalla melodia a cavallo fra il funky e la dance anni 70. Sempre tra le nuove proposte (scusatemi il termine da "Sanremo"...) chiudono il CD "Springtime" una canzone dai contorni jazzati, intervallati da stacchi di progressive alla GENTLE GIANT, "Drowned in time" per la quale il gruppo ha cercato di inserire il Rhythm & Blues in un contesto progressivo ed infine "An urgent request" che la stessa band definisce come: "una conclusione che tutti si aspetterebbero di sentire al termine di uno spettacolo a Broadway".... Come avrete sicuramente capito, questi inediti lasciano un po' il tempo che trovano, tranne infatti alcune eccezioni non li ritengo trascendentali per chi volesse cominciare a conoscere il sound dei DICE.
Ad essere sincero quello che è capitato al gruppo in seguito resta per me un mistero, anche se, sulla base delle poche voci (e sottolineo voci) a mia disposizione, credo che si sia sciolto o, perlomeno, si sia ritirato dalle pubbliche scene. Curioso resta comunque il fatto che, sulla ristampa in CD del loro LP omonimo, appaia un articolo estratto da un giornale svedese datato 1987 con tanto di foto di gruppo... purtroppo, non conoscendo ancora lo svedese (ma sto seguendo un corso para-universitario al proposito...), non sono riuscito a decifrarlo. Richiedo quindi a chiunque ne sappia più di me, di illuminarmi al proposito... Beh, la pseudo retrospettiva finisce qua; spero di non avervi annoiato troppo...

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