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URIAH HEEP (1970-1975) Massimo Costa
 

Quanto potrà interessare ai giovani lettori di Arlequins una retrospettiva dedicata agli obsoleti Uriah Heep? E' questo l'interrogativo che mi pongo nel momento esatto in cui mi accingo a narrare le gesta dell'illustre combo di Birmingham che, nel periodo del suo massimo splendore (periodo racchiuso nell'arco di sei anni e contrassegnato della presenza del grande vocalist David Byron), ha infiammato i cuori degli hard-rockers di mezzo mondo.
La band si forma nell'anno di grazia 1970, in seguito all'incontro avvenuto fra quattro musicisti, più precisamente David Byron (lead vocals) e Mick wah-wah Box (chitarre), ex membri degli Spice, ai quali si aggiunsero il tastierista Ken Hensley ed il bassista Paul Newton, entrambi ex-Gods. La formazione venne completata col successivo innesto del batterista Alex Napier, probabilmente alla sua prima seria esperienza musicale. Firmato un contratto con la Bronze Records, etichetta del produttore e talent-scout Gerry Brown, gli Uriah Heep, di lì a pochi mesi, esordiscono su vinile con l'eccellente "Very ‘eavy, very ‘umble" (1970), vera e propria pietra miliare dell'allora nascente movimento hard-rock. Ma fin da principio gli Uriah Heep mostrarono la loro peculiarità, proponendosi addirittura come trait d'union fra Black Sabbath e Deep Purple, evidenziando immediatamente un songwriting di tutto rispetto, impreziosito com'era dall'organo di Ken Hensley, musicista dotato di un notevole bagaglio tecnico, nonché di una competente cultura classica. L'opener "Gipsy", ossianico brano dalle cadenze mortifere, è emblematica in questo senso, con drammatici, efficaci cori vocali (vero e proprio marchio di fabbrica del gruppo) ed un selvaggio organ-solo di Hensley posto quasi sul finale. Da segnalare poi, oltre alle potenti "Dreammare" e "Walking in your shadow", l'acustica, struggente "Come away Melinda", superbamente interpretata da Byron.
L'anno seguente è la volta del masterpiece hard-progressive "Salisbury", album che segna un rilevante progresso da parte del gruppo e che vede il definitivo abbandono del drummer Napier, rimpiazzato dall'ottimo Keith Baker. Apre le ostilità l'ormai classica "Bird of prey", con pregevoli inserti di heavy-keyboards, seguita a ruota dalla dolcissima, eterea "The park" (a mio parere una delle ballads più belle della storia del rock), interpretata dal Lord Byron in maniera semplicemente sublime. L'acerrimo riff chitarristico di "Time to live" ci riporta bruscamente alla realtà, mentre sulla seconda facciata trovano posto l'emozionante "High priestess" e la suite (circa 16') "Salisbury", che esplora ottimamente la vena sinfonica della band.
Superato brillantemente lo scoglio del secondo album, la band scoprì che il suo grande talento era lungi dall'essere unanimemente riconosciuto. Aspramente osteggiati dalla critica (un giornalista americano -con grande acume dobbiamo dire- giunse perfino a dichiarare: "Se questo gruppo avrà successo io mi suicido"), gli Uriah Heep erano invece molto amati dal pubblico internazionale, specialmente quello italiano e tedesco, mentre in Gran Bretagna si imporranno definitivamente solo con il terzo LP "Look at yourself", dall'originale cover a guisa di specchio. L'album in questione registra ulteriori progressi tecnici e compositivi, annoverando autentiche gemme quali l'esplosiva "I wanna be free" o la lunga, progressiva, "July morning", con il tastierista Manfred Mann in veste di ospite. Sulla seconda facciata impossibile poi non menzionare l'iniziale "Tears in my eyes", dall'eccelso break elettroacustico, e la sofferta, dardeggiante "Shadows of grief".
Il 1972 è l'anno aureo della band e vede ancora la pubblicazione di due dischi, "Demons & Wizards" e "The Magician's birthday", originariamente concepiti come un unico doppio album. Rivoluzionata la sezione ritmica con l'innesto dei virtuosi Gary Thain (basso) e Lee the bear Kerslake (batteria), gli Uriah Heep possono ora puntare ai massimi traguardi artistici. "Demons & Wizards" è dunque un disco di enorme caratura artistica, forse il migliore della loro vasta discografia: accanto alle più immediate "Traveller of time" ed "Easy Livin'" troviamo infatti autentici capolavori dello hard-prog quali la fiabesca, melodicissima "Circe of hands" e la solenne "Rainbow demon", con l'organo Hammond magnificamente in evidenza. Non da meno il successivo capolavoro "The Magician's birthday", il quale alterna anch'esso vibranti hard-rock songs ("Spider woman", "Sweet Lorraine") a momenti di più ampio respiro (vedi la profonda, drammatica "Echoes in the dark", "Sunrise" e la lunga title-track) sui quali emerge cristallina la voce calda ed emozionante di Byron.
L'apogeo è raggiunto l'anno successivo con l'uscita del fatidico doppio live, contenente buona parte dei cavalli di battaglia della band (da notare la presenza di un esteso rock & roll medley che all'epoca chiudeva tutti i loro concerti).
"Sweet freedom" è ancora una volta un grande disco, seppur oggettivamente inferiore ai due precedenti lavori in studio (e forse non poteva essere altrimenti). Esso contiene comunque una manciata di ottime songs fra le quali spiccano, per la loro rara bellezza, la title-track e la magnifica "If I had the time", una delle loro composizioni in assoluto più vicine al progressive-rock.
"Wonderworld" (1974) è l'ennesimo, convincente episodio discografico, all'interno del quale ritroviamo l'ormai consueta dicotomia stilistica: infatti all'arrangiamento orchestrale di "The easy road" ed alla pomposa title-track fanno da degno contraltare il tagliente giro di "Suicidal man" e lo hard-blues allucinogeno di "I won't mine". Proprio al tour di "Wonderworld" si riferisce poi un secondo ottimo live (questa volta singolo), pubblicato nel 1989 dall'etichetta fantasma Heep Records con il titolo di "Live at Shepperton ‘74".
Il 1975, oltre alla pubblicazione di "Return to fantasy", vede purtroppo la scomparsa del bassista Gary Thain, stroncato da un'overdose di eroina e ritrovato cadavere nel suo appartamento. Dissidi interni minarono la stabilità della gloriosa band e portarono alla conseguente estromissione di Byron dal gruppo (1976), prontamente sostituito al basso e alla voce da John Wetton.
La nostra storia termina il 28 febbraio 1985, quando Byron (che nel frattempo aveva intrapreso una non fortunata carriera solista), ormai consunto dall'abuso di alcool, povero e dimenticato da tutti, raggiunge l'amico Thain, compagno di cento battaglie.
Riposa in pace, David, in noi il tuo ricordo vivrà imperituro.

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