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ELOY (1993) Massimo Costa
 

Stilare una vera e propria retrospettiva riguardante gli ELOY è impresa quantomeno impegnativa, visto il gran numero di album (ben 14) sfornati da questa prolifica band tedesca, ma siccome non è mia intenzione deludere le aspettative dell'amico Giovanni Baldi ho deciso di cimentarmi ugualmente in questa difficile impresa.
Codesto capitale gruppo teutonico esordisce su vinile nell'anno di grazia 1971 con un omonimo album su etichetta Philips, dall'originale copertina apribile, oggi discretamente quotato al borsino dei collezionisti (esiste comunque un'ottima ristampa ufficiale su CD e LP da parte della Second Battle). Il disco in questione si rivela però un platter di hard-rock tutt'altro che trascendentale, senza dubbio di gran lunga inferiore alle più o meno contemporanee realizzazioni di altre bands tedesche del calibro di LUCIFER'S FRIEND, ZARATHUSTRA, NECRONOMICON o 2066 AND THEN. Da registrare soltanto un paio di brani (l'opener "Today" e la sabbathiana "Song of a Paranoid Soldier" dove il duo Frank BORNEMANN - Manfred WIECZORKE, rispettivamente chitarra/voce e tastiere, tenta di imboccare strade meno convenzionali.
Dopo l'uscita del summenzionato album gli ELOY si vedono costretti all'inattività discografica per ben due anni, ma tale periodo di ibernazione permise alla band di affinare il proprio sound, assimilando nel contempo tutta una serie di influenze - in primis i PINK FLOYD di "Meddle", ma anche i VAN DER GRAAF GENERATOR cosmici di "Pioneers over C" -che le consentiranno di gettare le basi del loro originale space-hard rock, che tanti proseliti guadagnerà in futuro.
"Inside" (1973) e "Floating" (1974) sono due album molto simili tra di loro (da notare la presenza di due lunghe suites, "Land of No Body" e "The light from Deep Darkness") e segnano, oltre al cambio di etichetta (dalla Philips alla Harvest, guarda caso!) un sensibile miglioramento da un punto di vista strettamente artistico-compositivo. Le tastiere ed in particolare l'Hammond cominciano ad assumere un ruolo importante nell'economia del suono della band, le partiture si fanno più ariose ed i pregevoli contrasti chitarra-organo conferiscono un buon dinamismo all'intero contesto sonoro.
Nel 1975 vede la luce "Power & the Passion", considerato da alcuni critici come il primo autentico capolavoro degli ELOY. Trattasi di un concept-album che narra la storia di un ragazzo proiettato, per un crudele scherzo del destino, in un lontano passato, protagonista di una tormentata storia d'amore attraverso i secoli. "Power & the Passion" è senz'altro un ottimo album, e tracks quali l'emozionante cavalcata "Mutiny" lo stanno ampiamente a dimostrare, ma il meglio - a mio modesto avviso - doveva ancora venire...
"Dawn" (1976) segna la defezione dell'intera sezione ritmica e di WIECZORKE (lo ritroveremo di lì a poco con i JANE) quest'ultimo sostituito per l'occasione dall'ottimo Detlev SCHMIDTCHEN, il quale si dimostra subito valente strumentista nonché abile compositore, ed è subito un grande disco. L'album contiene infatti episodi memorabili, a cominciare dalle conclusive "Gliding into Light and Knowledge" e "Le Reveil du Soleil/Dawn", vere e proprie colonne portanti di un monumento interamente consacrato allo space-rock. Segnalazione d'obbligo per l'inesauribile Frank BORNEMANN, chitarrista dotato di innegabile classe, nonché singer in possesso di una sensibilità interpretativa assai pronunciata. La trilogia "cosmica" viene completata dai seguenti "Ocean" (1977) e "Silent Cries and Mighty Echoes" (1978), i quali confermeranno appieno gli enormi progressi evidenziati dalla band, grazie anche all'apporto - è bene non dimenticarlo - di una sezione ritmica di rara compattezza, formata dal torrenziale drummer Jurgen ROSENTHAL (già membro degli SCORPIONS nonché autore delle liriche) e dall'impetuoso bassista Klaus Peter MATZIOL. Questi due albums rappresentano a mio avviso gli episodi più riusciti dell'intera discografia degli ELOY, potendo vantare autentici capolavori dello space-hard rock quali "Poseidon's Creation", la suite "Atlantis Agony" -forti in questo caso i riferimenti floydiani - "Master of Sensation" e "Pilot to Paradise". Il ciclo in questione si chiude di lì a poco con la pubblicazione dell'imponente doppio live ('78) registrato proprio in Germania e contenente il meglio della summenzionata trilogia, più le ormai classiche "Inside" (dall'omonimo album) e "Mutiny".
L'estrema prolificità della band è ribadita dal successivo, eccellente "Colours" (1980), album sicuramente di transizione, ma che non manca certo di offrire ottimi spunti, rappresentati al meglio da episodi quali l'opener "Horizons", dagli eterei cori femminili, l'elegante "Giant", con il solito, suggestivo tappeto di tastiere, e le hardeggianti "Child Migration" e "Silhouette". Siffatto tentativo da parte degli ELOY di modernizzare il loro sound rinunciando parzialmente a strutture musicali giudicate dalla critica un po' troppo ampollose e retrodatate prosegue con i due concept-albums fantascientifici "Planets" (1981) e "Time to Turn" (1982) pubblicati anche in Inghilterra dalla etichetta Heavy Metal World Wide con le magnifiche - ed immaginifiche - copertine del noto illustratore Rodney MATTHEWS (DIAMOND HEAD, MAGNUM ed altri).
Particolarmente riuscito "Time to Turn", che vede anche il rientro all'interno della band del percussionista Fritz RANDOW - assente fin dai tempi di "Power & the Passion" - e che può contare su di una seconda side a livelli di assoluta eccellenza, con il sintetizzatore di Hannes FOLBERTH libero di spaziare a suo piacimento, soprattutto nella stupenda "End of an Odissey", vera e propria odissea cosmica.
Dopo la realizzazione di questi due concept la parabola artistica della band imbocca purtroppo la sua fase discendente, ed i successivi "Performance" (1983) e "Metromania" (1984) evidenziano un preoccupante scadimento di forma, parzialmente mitigato dalla bellezza di alcune singole composizioni, "Shadow & Light" e "Escape to the Heights" su tutte. "Performance" e "Metromania" restano comunque album dignitosi, che ripetono però schematicamente una formula un po' logora, essenziali soltanto a chi voglia completare la propria discografia. Il resto è storia recente: la band si sfalda per riemergere soltanto quattro anni dopo l'uscita dell'ultimo disco, e con il solo Frank BORNEMANN quale unico superstite. "Ra" (1988), realizzato da BORNEMANN in coppia con il polistrumentista Michael GERLACH, è un ottimo come-back e la stampa progressiva mondiale (con in testa l'elegante rivista francese Harmonie) non lesina certamente i suoi elogi, intravvedendo tra questi solchi la magia compositiva e la perizia strumentale dei vecchi ELOY. "Invasion of a Megaforce", con i suoi liquidi arpeggi ed i soliti, incantevoli cori femminili, e l'arcana ballad "Rainbow" sono gli episodi più convincenti di un disco sicuramente pregevole. Poi più nulla...
In conclusione, investite tranquillamente i vostri risparmi in un disco degli ELOY; difficilmente ve ne pentirete.

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