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STARCASTLE (1991) Giovanni Baldi
 

Gli Starcastle non mi sono mai apparsi come dei mostri d'inventiva, sinceramente. Lo Starcastle-sound risulta infatti impostato su di uno schema palesemente imitativo di quello dei ben più famosi e conosciuti Yes, mancando però di quella eterogeneità e creatività dimostrata da Anderson & C nel corso della loro lunga carriera.
Gli Starcastle, originari dell'Illinois, si formarono nel 1972 (guarda caso l'anno in cui usciva il capolavoro "Close to the edge") e per alcuni anni si autofinanziarono suonando le hits del momento in giro per centinaia di club, cominciando, contemporaneamente, a comporre ed arrangiare brani con l'auspicio di vederli un giorno realizzati su vinile.

Quel giorno arriva soltanto nel 1976, quando riuscirono a pubblicare il loro primo lavoro, dal titolo omonimo, sotto l'egida della major Epic-CBS. La prima impressione che si può ricavare dall'ascolto di questo LP è quella di trovarsi di fronte ad un inedito degli Yes, e non soltanto per affinità di carattere musicale e melodico, ma anche per la particolare tonalità della voce di Terry Luttrell che è molto vicina a quella di Jon Anderson. Valga come esempio il brano di apertura "Lady of the lake" (a parere del sottoscritto il migliore dell'LP), dove troviamo una ridondante presenza di tastiere (Herb Schildt) che vengono accompagnate nelle loro veloci e continue progressioni da una 6 corde dotata di grossa incisività, se non altro per la presenza di ben due chitarristi (S. Hagler e S. Tassler), e da un basso (Gary Strater) dai connotati molto marcati, suonato sullo stile di Squire. Tutto il brano, così come il resto dell'album, si sviluppa su sonorità che presentano evidenti similitudini con quelle di "Close to the edge" anche se, rispetto a queste ultime, risultano sicuramente meno articolate e più alleggerite nella sostanza. Si può inoltre notare la particolare influenza che quelle tendenze rock tipicamente statunitensi (ed in particolare il pomp-rock) hanno esercitato sul discorso musicale, ottenendo un risultato che può essere ritenuto valido da una platea alquanto eterogenea in fatto di gusti prog.
Questo LP, che vede fra l'altro l'uscita del singolo "Lady of the lake", ottenne infatti un discreto successo commerciale che valse agli Starcastle l'appellativo di Yes americani. Sono comunque molti i punti di differenziazione fra i due gruppi, sicuramente i cugini americani non hanno saputo dimostrare quella genialità e quella capacità di rinnovamento che hanno invece caratterizzato i lavori di quelli made in England. Il loro secondo album, "Fountains of light", uscito addirittura lo stesso anno (della serie: batti il ferro finché è caldo!), non denota infatti sostanziali variazioni di tema, mantenendo inalterata (oserei dire quasi alla noia) la formula compositiva e melodica del precedente lavoro. Si tratta quindi di un album sul quale non mi soffermerei più di tanto, e non perché rappresenti un'opera da screditare, bensì perché, alla luce del primo LP, non vi sono ulteriori commenti da aggiungere.

Passa il tempo ma gli Starcastle resistono. Siamo infatti nel 1977 quando questi 6 ragazzi dell'Illinois (che non presenteranno mai variazioni di organico nel corso della loro carriera) pubblicano, sempre su Epic, il loro terzo lavoro "Citadel". Questo LP segna una sostanziale variazione nella struttura dei brani che si realizza su schemi sicuramente più personali (pur rimanendo come dati di fondo quegli elementi visti nei due precedenti lavori) e sicuramente meno ripetitivi. L'album in questione risulta, a giudizio di molti, la prova più convincente fornitaci dagli Starcastle; invece la mia opinione su "Citadel" non concorda, o almeno non completamente, con quella dei molti.
"Citadel, secondo me, alterna a momenti di sicuro ed indiscutibile valore altri dove si inizia ad avvertire, da parte del gruppo, una esigenza musicale che poco ha a che fare col progressive in senso stretto. Belli sono infatti i primi due brani "Shine on brightly" (uscito anche su 45 giri) e "Shadows of song" dove lo stile elaborato dal gruppo nei due precedenti lavori viene rimodellato su schemi più concreti e meno imitativi mentre "Could this be love?", edito anch'esso su 45 giri, risulta essere molto più commerciale (con un'impronta decisamente FM-oriented) che rappresenta, a mio avviso, l'episodio che meglio identifica il cambiamento che sta trasformando il prodotto musicale degli Starcastle.

Il cammino del gruppo si esaurisce con il loro ultimo "Real to reel" (1978) che segna il definitivo abbandono del prog-style. Questo è un disco che qualcuno ha definito, sbagliando secondo me in maniera clamorosa, heavy metal. Sicuramente non possiamo parlare di prog ma neanche di heavy metal; si tratta infatti di un'opera orientata verso un rock più leggero, più fruibile e abbastanza tipico della cultura rock USA. Si denota infatti una presenza più massiccia e tentacolare della chitarra, mentre le tastiere, con le loro energiche aperture, sono oramai un lontano ricordo. Leggermente più progressivo è magari il terzo brano "We did it" (ovvero lo facemmo) che, anche dal titolo, sembra essere rievocativo del passato stilistico della band. Il resto dell'LP scorre via su temi dai connotati sicuramente commerciali ideati su modelli FM, con qualche piccola influenza pomp e AOR.

Quella degli Starcastle è stata quindi una carriera fulminante che, nel giro di tre anni ha visto l'uscita dei ben quattro LP e quattro 45 giri (quello che non ho menzionato è "Half a mind to leave ya", tratto dal "Real to reel"), il tutto accompagnato da un discreto successo commerciale per quanto riguarda i primi tre lavori. "Real to reel" si dimostrò infatti un infelice episodio, non solo dal punto di vista dei contenuti commerciali, ma anche per quanto riguarda il responso del pubblico. A testimonianza di tale successo sta la discreta reperibilità di tali opere a prezzi tutto sommato ragionevoli. Quindi, senza spendere troppo, vi consiglio di procurarvi "Starcastle" e "Citadel", mentre rimane la mia opposizione nei confronti di "Real to reel". Per quanto riguarda "Fountains..." beh... fate un po' voi.

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