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MARASCOGN Francesco Fabbri
 

I MARASCOGN, MODERNI CANTORI DI ANTICHE LEGGENDE LADINE



Questa retrospettiva è dedicata alla lunga parabola artistica dei Marascogn (il nome allude alle antiche maschere del carnevale della Val di Fassa), gruppo moenese che, a partire dall’ormai lontano 1978, ha sempre creduto nella propria piccola ma preziosa missione: riproporre il cospicuo e meritevole repertorio tradizionale affiancandogli elementi compositivi nuovi e personali. In coerenza al loro credo di Ciantastories contemporanei, i musicisti hanno dunque portato in giro se stessi e i loro dischi, facendosi conoscere e apprezzare per la pregevole valenza esecutiva e per la grande dignità con cui estrinsecano la ‘nuova cultura ladina’. Ho avuto più volte il piacere di vederli dal vivo, ma a sorprendermi più di tutto sono forse state proprio le nuove composizioni: pur senza un taglio netto col passato (impossibile e fors’anche improponibile), il folk dei Marascogn è adesso assurto a una dimensione realmente progressiva. Dialogando con i... ‘soci fondatori’ del gruppo, ossia i due fratelli Chiocchetti “del Goti”, Angela (voce, percussioni), e Fabio (voce, chitarra, autore e arrangiatore), ho scoperto che, almeno nei primi tempi, il gruppo faceva una media di dieci o dodici concerti all’anno, e che è arrivato a esibirsi addirittura in Finlandia e negli Stati Uniti, in occasione di festival dedicati alla world music! Oggi, però, gli impegni lavorativi e familiari hanno reso tutto più difficile, costringendo altresì la band a una serie di avvicendamenti e rimpasti, e nelle ultime esibizioni, a parte i due fratelli Chiocchetti, della formazione ‘storica’ è rimasto il solo Lorenzo Galbusera, contrabbassista che può vantare un diploma al Conservatorio di Trento. Una musica splendida, quella dei Marascogn, che si mantiene su garbati toni acustici o addirittura intimistici: esaminiamone le incisioni, seguendo un ordine cronologico.


“Marascogn - 20 egn”
(Leone rampante 1983-1989-1998)



In questo CD sono integralmente raccolti i primi due LP del gruppo. De roba veyes e de növes tempes risale al 1983 e comprende tredici canzoni, tutte piuttosto brevi. La struttura è sobria ed essenziale, ma il disco è ugualmente importante per svariati motivi. Innanzitutto vi si trovano alcuni pezzi di Luigi Canori (al secolo Ermanno Zanoner) diventati storia della ladinità in musica. Il... ‘trattamento rivitalizzante’ operato dai Marascogn è sempre significativo, pur nella rispettosità dell’originale. E così è un piacere riascoltare la struggente malinconia de “La Marmolada”, cui subito si contrappone la piacevole leggerezza de “La cianzon de la Vesc”. Quanto a “El lèch da le lègreme”, la bellissima melodia a cappella sfocia poi in un calzante arrangiamento strumentale che profuma di Rinascimento, mentre della leggendaria storia d’amore de “La siriöla de Saslonch” ammalia il contrasto fra la triste tematica testuale e la levità musicale. Accanto a tutto ciò, compaiono le prime notevoli composizioni a firma Fabio Chiocchetti. Assolutamente da brividi è “El faure”, su una poesia di Luciano Jellici “del Garber”: grande la suggestione del connubio, e profondo lo struggimento. Nell’“Entrada” e nel “Cumià” la materia è ben plasmata in chiave antica, e “En tel paes” si può già considerare un classico; quanto a “Le peste”, “Mijerie e maschere” e “I più i sc’iava la tera”, non è eresia affermare che vi si trovano tracce dei moderni chansonniers d’oltralpe, quelli stessi che influenzarono pure De André. Le partiture vocali soliste sono di norma affidate ai due fratelli Chiocchetti: Fabio è profondo e confidenziale, Angela acuta e cristallina, impostata in maniera naturale. Il fascino del sound dei Marascogn, diciamolo, risiede non poco nelle interpretazioni di quest’ultima.
"Audide audide!" uscì invece nel 1989. Dieci i pezzi ivi contenuti, mediamente più lunghi rispetto al passato e certo più elaborati: lo si evince fin dall’ouverture costituita dalla title-track, idealmente ricollegabile all’“Entrada” del primo disco, ma con una migliore messa a punto. Di rilievo è “La maitinada da la roda da filar”, musicata da quel Mario Färber che per molto tempo è stato il violinista del gruppo: nei cinque minuti lungo i quali si dipana la gustosa ballata, dove hanno modo di affacciarsi anche alcuni assoli, pare proprio di vedere una ruota per filare. “La osc del molin” è poi una delle migliori composizioni di Fabio: maiuscole le melodie e intriganti le armonizzazioni, per un risultato finale di squisita eleganza. Una toccante poesia di Pasolini, “Ciant da li ciampanis”, riceve un adeguato trattamento da parte di Färber, che qui accompagna al pianoforte i virtuosismi vocali di Angela. Lo stesso Färber conferma la sua naturale predisposizione alle onomatopee in musica nei pizzicati de “La piövia”, col suo violino che ben si conforma a una mesta riflessione di Luciano del Garber, e non posso esimermi dallo spendere qualche parola in più per la conclusiva “Elegia”. Tale traccia, composta da Färber oltre che dal fiatista Stefen Dell’Antonio (anch’egli, ora, uscito dalla band), è forse la più simil-prog del lotto: ben forgiata e intelligentemente rifinita, affascina nelle evoluzioni del pianoforte e del flauto. Peccato solo che, come rivelatomi da Fabio, non sia mai stato possibile eseguire il pezzo dal vivo per varie problematiche di ordine tecnico.
Cantori di leggende e di storie vere, magari con un sottofondo di catartica inquietudine, i Marascogn già piacciono, e molto. Fabio non mi sembra oggi del tutto soddisfatto di queste prime incisioni. Non dategli retta: forse la sostanza musicale è ancora un po’ in fieri, questo sì, ciò nonostante l’insieme è sincero e gradevolissimo, e la splendida voce di Angela è già ai massimi livelli.


“Pinza pinzona”
(Leone rampante 1996)



Nel corpo della discografia dei Marascogn, "Pinza pinzona" è una realizzazione che, almeno di primo acchito, parrebbe avulsa dal contesto. Lo stesso supporto è inconsueto, trattandosi di una doppia musicassetta (peraltro, ne è prevista la ristampa in CD). Ma il sottotitolo dell’opera già spiega tutto: "12 cianties ladines per i tosac - con basa musicala". Siamo dunque di fronte a un progetto nato espressamente per i bambini delle scuole, e così in una cassetta troviamo i pezzi completi, nell’altra le sole basi musicali.
Benché il fine didattico sia preminente, quelle di "Pinza pinzona" non sono però liquidabili come semplici “canzoncine per bambini”. E’ pur vero che la struttura musicale risulta volutamente scarnificata rispetto alle altre incisioni dei Marascogn: di norma, i pezzi si reggono solo sul pianoforte (dell’ospite Marika Bettin) e la voce di Angela, mentre i fiati (clarinetto, oboe, flauto) e gli archi (violino, viola, violoncello) si limitano a rifinire il tutto. Ma alcune melodie sono proprio belle. Alludo in primis a una famosa composizione di Canori, “Te cianal de legn”, e a un altro brano di ispirazione religiosa, musicato questo da Fabio, cioè “Jon a Maitin”. Mettono addosso l’allegria “La velgia ja le Nòtole” e “Le gialine” (sempre a firma Luigi Canori); carini e briosi sono pure i frammenti in cui vengono fatti partecipare gli alunni della scuola elementare e media di Moena: “Che élo po ju per sto busc?”, “La signora de Dolèda” e “Le dàrmole”, mentre spetta una citazione particolare per la fresca giocosità di “Pinza pinzona”, traccia creata da Fabio e da Stefen Dell’Antonio e spesso eseguita dal vivo.


“Fior e foa, reisc e magoa”
(Union di Ladins de Fascia 2000)



E’ nel 2000 che i Marascogn cesellano la loro gemma più fulgida. Dall’“incontro fatale” con l’ensemble di musica antica L’Albero Incantato scaturisce "Fior e foa, reisc e magoa", CD accreditato a entrambi i gruppi: diciassette le tracce complessive, per quasi un’ora di autentico godimento per i padiglioni auricolari.
Non v’è dubbio che l’ingresso dei nuovi musicisti abbia assai giovato a livello timbrico e armonico, oltre ad aver innalzato il tasso tecnico. Già nell’opener “Fior e foa” emerge un importante tassello del recente corso marascognano, ovvero la spinetta di Gabriele Micheli, che alimenta il clima di fiabesca suggestione. Stupendi i quasi cinque minuti di “Fanes”, dove Fabio omaggia il noto Minnesänger Von Wolkenstein, e la superba ricchezza strumentale ci proietta in dimensioni magicamente polverose. Seguono alcuni pezzi dedicati alla leggendaria, sfortunata storia d’amore di Osvald per la vivana Antermoia: da brividi i contrappunti vocali di “Man de fier”, e travolgente la rielaborazione denominata “L bal de la stries”, che dal vivo trascina di forza il pubblico verso antichi castelli e allegre corti. Solo il piano (dell’importante nuovo acquisto Paolo Bernard) e la voce sempre precisa e intonatissima di Angela tratteggiano il toccante “Ciant de l’aisciuda”, e dopo il convincente impianto polifonico di “El mal d’amor” la vicenda trova la sua degna conclusione nell’appassionata “Ultima ciantia”. Si prosegue con l’avvenente melodia catalana del XVI secolo di “Amor, ray de soreye”, e si passa in Engadina con i raffinati ghirigori rinascimentali di “Bös-ch rumantsch”. Ci sono poi alcuni pezzi di Luigi Canori in cui è agevole riscontrare il suo modulo compositivo. Alludo a esempio a “Le doi cascade” e a “Ciadina”: attento e calzante l’arrangiamento del doppio ensemble. “Bal fascian” è una briosa danza strumentale basata su un’aria tradizionale riadattata da Fabio, il quale firma fra l’altro il trittico finale del CD, davvero di ragguardevole caratura. “Dormi dormi” è una dolcissima ninna nanna, mentre eleggo i quattro minuti e mezzo di “Franca” tra i miei preferiti del lotto: ammalianti la chitarra e il cantato di Fabio ed eccellenti le armonie ricamate dal violino oltre che dalla voce di Angela. A metà fra gli chansonniers francesi e... Morricone! “Gigadadoi”, in ultimo, è ancora una danza, ma molto sui generis, intrisa di visionarietà e mestizia; vi si colgono inoltre alcuni elementi barocchi che, verosimilmente, costituiranno la base di partenza per la futura evoluzione compositiva dei Marascogn.
Ben inciso e riverberato nello studio del roveretano Marco Olivotto, vecchia conoscenza del mondo prog sotto le sembianze TNR, "Fior e foa, reisc e magoa" è davvero un grande disco, alla cui riuscita hanno sensibilmente contribuito Davide Monti (violino), Emiliano Rodolfi (oboe, flauti) e Margherita Dal Cortivo (violoncello), oltre ai già citati Gabriele Micheli e Paolo Bernard. Fiore e foglia, radice e frutto come metafora della vita, a significarne la sua unitarietà e nel contempo la sua perpetuazione: l’auspicio è che ciò valga anche per i Marascogn, il cui nuovo cammino si preannuncia esaltante.


“Conturina”
(Istitut Cultural Ladin 2001)



A corollario della disamina discografica, è doveroso segnalare quest’opera classica di Claudio Vadagnini in cui il nostro Fabio Chiocchetti figura come librettista. I Marascogn dunque non c’entrano, eppure "Conturina" non stona nella presente trattazione per almeno due buoni motivi. Innanzitutto il lavoro è dedicato a un’antica leggenda fassana, e proprio su tali tematiche i Marascogn hanno da sempre intessuto la loro arte. In secondo luogo anche in "Conturina" risulta agevole rinvenire un progetto di “innovazione nella tradizione”, teso ad attualizzare la cultura ladina al fine di poterla rendere interessante e ‘appetibile’ nel mondo contemporaneo.
La “piccola opera per solisti, coro e orchestra” dal punto di vista testuale tiene conto dei vecchi frammenti che, in passato, hanno contribuito a delineare la vicenda: in particolare, le quartine redatte nel 1952 sono qui utilizzate nel “Preludie”, nei tre “Interludies” e nel “Final”; accanto a ciò, Fabio ha elaborato una propria poetica ricostruzione che compone i quattro “Chèdres” (= quadri). Musicalmente il lavoro presenta una varietà tematica condotta con mano sicura, e i cambi di registro ben si adattano alle molteplici atmosfere che si succedono. Lo si desume già nel “Preludie”, dove, alla lugubre e maestosa “Introduzion”, segue il drammatico motivo di “Conturina”, che si fa elegiaco nel “Cor de la resteléris”. Poi inizia la storia vera e propria: il Principe, Signore di Contrin, canta una soave ninna nanna alla figlioletta Conturina, e, dovendo partire per la guerra, affida la propria amata alle Vivane, le quali, però, gli predicono già il triste futuro che l’attende, senza poterlo cambiare. Il Principe muore, e Conturina, rimasta con la crudele matrigna, cresce senza amore e piange la sua triste condizione. Diventata grande, la fama della sua bellezza è tale che i cavalieri giungono da lontano per ammirarla, ma la matrigna obbliga Conturina a starsene in disparte, proponendo invece ai convenuti le sue due vere figlie, brutte e sgarbate: ben si comprende come sia legittima la definizione di “Cenerentola fassana” attribuita a questa leggenda! Buona l’enfasi de “La Maerigna”, e fresca la baldanzosità de “I Cavalieres al bal”, che prelude ai due intermezzi di danza: garbato e misurato il primo, brioso il secondo. Ma Conturina è sempre la più ammirata, così la matrigna si rivolge alle Streghe di Vael: gli accenti si fanno cupi, e la velenosa soundtrack fa da sfondo all’incantesimo (“L strionament”) lanciato sulla povera Conturina, che viene pietrificata sulle rocce che sovrastano il Passo Ombretta. Il sortilegio potrebbe però essere vinto dall’amore, qualora un giovane giungesse fin lassù entro sette anni, e per questo Conturina, nelle notti di luna piena, emette il suo dolce e infelice canto: a tale momento della storia è dedicata la meravigliosa illustrazione di Manara riportata in copertina. Proprio allo scadere del settimo anno un soldato, di sentinella presso il valico, ode la desolata melodia. Ne scaturisce un intenso e appassionato dialogo (“Conturina e l’Ariman”), nel corso del quale il soldato promette di ritornare l’alba seguente, così da arrampicarsi sulla rupe e spezzare la malia. Ma il fatto che, al termine dell’episodio, la voce di Conturina si perda lontana ci fa presagire il prosieguo: l’indomani è già tardi, e la fanciulla si ritrova mutata in roccia per sempre. Nessun lieto fine, dunque? Non proprio. Nell’epico e imponente “Final” (“La cianzon de Conturina”), declamato da tutti, solisti e cori, si rinviene il senso profondo della leggenda: Conturina non si ritrova annientata, bensì immortalata e decantata per l’eternità, compenetrandosi idealmente con quella Marmolada che oggi affascina gli artisti di ogni provenienza.
Il CD è stato registrato dal vivo in occasione della ‘prima’, avvenuta al Teatro Sociale di Trento nel 2001. Benché un’opera lirica rimanga un qualcosa che è meglio vedere oltre che ascoltare, già questo disco risulta appagante per comprenderne l’indovinato connubio fra parole e musica. Buona l’esecuzione generale, con la sola riserva nei confronti della protagonista, il soprano Francesca Micarelli, la cui interpretazione appare un po’ forzata. Il lavoro ha avuto varie repliche, come la scorsa estate a Tesero (Val di Fiemme), con un cast parzialmente rinnovato.

In chiusura, vi invito caldamente a conoscere tutti i dischi qui recensiti, accattivanti anche nella grafica raffinata, nella certezza che, come il sottoscritto, attenderete poi con impazienza il nuovo CD, la cui uscita è prevista per il 2006. Non esiste purtroppo un sito Internet ufficiale dei Marascogn; è però possibile contattare Fabio tramite il suo recapito e-mail (f.chiocchetti@istladin.net). E chi volesse informazioni generali sul contesto storico-territoriale può intanto visitare il sito dell’Istitut Cultural Ladin (www.istladin.net: non preoccupatevi, c’è anche la versione in italiano!), ente di cui Fabio è il direttore.

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